Un clistere al caffè fa bene alla salute?

24 Gennaio 2020 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Qualcuno potrebbe pensare a uno scherzo, ma purtroppo a questo genere di pratiche talvolta ricorrono persone che soffrono di malattie gravi, per le quali spesso non esistono cure efficaci e che sperano, cedendo ai solleciti che giungono in molti casi da personaggi famosi, di trovare un’imprevedibile soluzione ai propri problemi di salute. La risposta alla domanda è in questo caso scontata: “No, un clistere al caffè non fa bene alla salute. Anzi, può aggiungere problemi a quelli di cui già una persona soffre”. Ma è il caso di dire qualche parola in più.

Quando è nata la convinzione che un clistere al caffè possa essere “disintossicante”?

Anche se può sembrare paradossale, per contestualizzare una bufala “new age” dovremmo risalire a diversi secoli fa. Agli Egizi, per esempio. “All’ombra delle piramidi”, ci racconta Stefano Cagliano, medico della ASL di Viterbo e autore di diversi libri di divulgazione scientifica tra cui il memorabile L’impronunciabile bisogno [1], “tra gli egiziani esercitava il suo mestiere il custode dell’ano, uno specialista, diremmo oggi, somministratore di rimedi per via anale e curatore di molteplici ricette di enteroclismi e lavacri intestinali, ricordato anche dagli storici antichi. Né si può pensare che la specializzazione fosse equiparabile a una qualificazione infermieristica dato che del titolo di custode dell’ano si fregiano medici dal nome estremamente altisonante come Khuy, l’interprete designato all’insieme degli organi del corpo nascosti alla vista, nonché conoscitore dei liquidi e degli umori, più o meno fisiologo ante litteram. Ma questo è un solo un esempio del fatto che per secoli la medicina ha coltivato una sorta di religione delle evacuazioni”.

Passando all’antica Roma, si dice che l’imperatore Nerone, oltre a giocare col fuoco, si facesse praticare clisteri per garantirsi – addirittura – una voce forte e squillante [2]. Inoltre sembra che la civiltà Maya praticasse l’uso del clistere come mezzo di purificazione. Ancora, alla metà del 1600 Reinieer de Graaf, medico olandese, pubblicò un libro la cui parte centrale è interamente dedicata alla descrizione della procedura e ai benefici arrecati [3]. Dal volumone scritto in latino possiamo leggere un passo grazie alla traduzione del curatore di un blog che è una vera e propria miniera di informazioni su questa pratica millenaria: “L’utilità del clistere è che esso mantiene il ventre libero senza d’altra parte causare alcun disturbo; non nuoce alla salute generale, non diminuisce le forze e non procura nessun dolore intestinale. Così, dopo averne fatto uno, non sono da temere le stitichezze che si manifestano dopo una purga. Si sa che più un purgante procura l’evacuazione, più il malato diverrà stitico nei giorni seguenti” [4].

Questa passione ha praticamente attraversato la storia intera sino ai giorni nostri”, dice Cagliano. “Ogni epoca ha coniugato a suo modo l’imperativo di tener pulito l’intestino o di recuperare la salute con una pulizia drastica e meccanica dell’intestino”.

La procedura del clistere è stata sempre la stessa?

A parte le precauzioni igieniche, che oggi sono sicuramente migliorate, anche diversi secoli fa la procedura non era molto diversa dalla attuale, prevedendo l’immissione di liquido nell’intestino tramite il retto con un irrigatore munito di cannula flessibile. Una vescica di vitello o di maiale alla quale era applicato un terminale più rigido.

In epoca rinascimentale (per le arti, ma non per la medicina), a seconda dello status sociale della persona che avrebbe subìto il trattamento – o, pardon, che si sarebbe “giovata” di esso – le cannule potevano essere in legno o nell’assai più prezioso avorio, a conferma che la grande questione della disuguaglianza di fronte alla salute è da tempo un problema irrisolto. Alcune fonti raccomandano di non trascurare dettagli importanti, come il prevedere che l’ampolla rettale si trovi a un’altezza maggiore dell’addome, ma la pruderie delle nobildonne francesi – tra le più affezionate alla procedura – spesso obbligava servi e valletti ad armeggiare al buio sotto le ampie gonne delle signore mollemente adagiate sui loro divani.

“Purgare significava purificare, è stato uno dei modi in cui si è declinata l’idea della catarsi”, spiega Cagliano. L’idea che un lavaggio della parte terminale dell’intestino potesse “purificare” è la conferma che anche una convinzione intuitiva può essere sbagliata. In più, al clistere si attribuivano proprietà curative ulteriori rispetto a quella, assai generica, dell’essere “disintossicante”: avrebbe potuto combattere la melanconia, guariva coliche, dolori addominali e meteorismo, problemi renali e cardiaci. Con questa convinzione, venivano aggiunte sostanze diverse all’acqua purificatrice…

Quali componenti venivano aggiunti?

All’acqua che avrebbe dovuto irrigare il retto e il colon erano aggiunte le sostanze più diverse. Come scriveva un autore medico “classico” del Seicento, Francesco Redi, “sebbene ho detto che i clisteri si debbono fare di puro brodo, soggiungo che invece di brodo si può servirsi dell’acqua pura di fontana, dell’acqua di Nocera, dell’acqua di orzo, della bollitura di cocuzza e di altre cose simili. Quegli diacattoliconi, quei diafiniconi, quelle benedette lassative, quei lattuari di Hiera, che come sacri dal volgo vogliono essere fitti nei Clisteri, si debbono fuggire come un veleno o come una peste, siccome ancora tutti quegli altri Olj di Ruta, di Camomilla e d’Aneto. Non mi meraviglio che i Clisteri di latte sieno riusciti dannosi: imperrocché entrato il latte negli intestini, qualche parte di esso latte per l’aspersione di qualche acido si coagula, e diventa caciosa, e ritenuta tra le rughe di essi intestini acquista maggiore acrimonia e maggior acidità, e per conseguenza può cagionare il danno” [5].

Senza contare che alcuni studiosi ritenevano che il clistere potesse avere anche una finalità nutritiva, qualora il liquido iniettato nell’ano riuscisse a raggiungere l’intestino tenue o, addirittura, lo stomaco: al punto che la Chiesa si interrogava sulla possibilità che la pratica del clistere potesse causare l’interruzione di un digiuno osservato per motivi religiosi.

Ma… il clistere al caffè?

Un clistere al caffè fa bene alla saluteCome abbiamo visto, la componente predominante del clistere è in prodotti emollienti: nella sua opera Consulti medici Francesco Redi scriveva che “per staccare, strappare, espellere, evacuare gli umori, occorrerà una purga molto forte; ma prima di tutto ritengo opportuno impiegare dei rimedi più blandi, cioè dei lavativi emollienti e detergenti” [6]. Ma non solo, anche tabacco: “il grande Thomas Sydenham e altri inglesi”, racconta Cagliano, “propagarono il clistere al tabacco che offriva la possibilità di scegliere tra l’introduzione di un infuso, purtroppo mortale in qualche caso, o l’insufflazione di fumo, considerato un provvedimento efficace per rianimare affogati e persone colpite da morte apparente o, più semplicemente per promuovere i movimenti intestinali.”

La questione del caffè, invece, è legata alle teorie del medico tedesco Max Gerson, laureato in medicina nel 1907 e successivamente espatriato a Vienna, poi a Parigi e infine negli Stati Uniti nel 1936 per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste. Convinto che il cancro fosse una malattia metabolica, elaborò e propose una dieta a basso contenuto di grassi – non prevede l’uso di olio, a eccezione dell’olio di lino – e ricca di potassio, sconfessata nel 1949 dalla American Medical Association, la società più rappresentativa dei medici statunitensi. Il trattamento proposto dal dottor Gerson associava alla dieta la pratica di clisteri al caffè e alla camomilla, considerandoli un’importante arma per l’eliminazione delle tossine responsabili della condizione di malattia.

Dottore, il clistere al caffè funziona?

Come ben spiegato dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) [7] non si dispone di prove che abbiamo dimostrato che la dieta proposta (come qualsiasi altra terapia dietetica) sia in grado di far regredire una patologia oncologica, neanche se seguita scrupolosamente dal paziente. “La pratica di clisteri di caffè, l’uso di enzimi pancreatici come supplemento e di estratti di fegato crudo (oggi sostituiti da integratori di vitamine del gruppo B e dal coenzima Q10) avrebbe dovuto aiutare la guarigione dell’organo” (il fegato, ndr), precisa l’AIRC. I clisteri di caffè avrebbero la funzione di dilatare i dotti biliari, ma non esistono risultati di studi che possano confermare questa convinzione.

In generale, non è mai stata provata l’utilità in termini di salute della pratica della pulizia del colon [8].

Se volessi provare, rischierei qualcosa?

Un clistere al caffè fa bene alla saluteSì, un clistere di caffè può causare problemi. Dobbiamo considerare che chiunque soffra di un disturbo gastrointestinale corre maggiori rischi: malattia diverticolare, malattia di Crohn o colite ulcerosa, emorroidi possono essere esacerbate dall’irrigazione rettale [9].

Possono emergere effetti avversi anche importanti: nausea, vomito, diarrea, vertigini, disidratazione, squilibri idroelettrolitici, insufficienza renale, pancreatite, perforazione dell’intestino o infezioni [9].

Ma se non esistono prove di efficacia, perché queste pratiche vengono proposte?

Queste pratiche – per lo meno stravaganti, anche se come abbiamo visto talvolta radicate nella storia – tornano di moda perché qualcuno ci guadagna. Uno degli strumenti più pubblicizzati è in vendita su alcuni siti a un prezzo a partire dai 135 dollari statunitensi. Altri prodotti a esso collegati possono essere “aggiunti al carrello”. Meglio lasciarlo vuoto, però.

Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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