La recente segnalazione della possibilità di una rarissima, ma potenzialmente grave, reazione avversa che si può verificare entro 10-15 giorni dalla vaccinazione con Vaxevria, il vaccino contro Covid-19 di AstraZeneca, o con Janssen di Johnson&Johnson, ha molto preoccupato il pubblico. Il grande rilievo mediatico dato alla vicenda ha poi alimentato una comprensibile apprensione.
Dottore, può dirmi meglio in cosa consiste questa reazione avversa al vaccino contro Covid-19?
Il campanello di allarme del sistema di vaccinovigilanza è scattato per il riscontro, in diversi Paesi del mondo, di una serie di casi simili, caratterizzati da un calo del numero di piastrine nel sangue (trombocitopenia), a cui si accompagna la formazione di coaguli (trombosi). Questi sono tipicamente localizzati laddove si raccoglie il sangue proveniente dal cervello (seno venoso cavernoso cerebrale) o dell’addome (distretto splancnico). Coesistono quindi paradossalmente un’eccessiva coagulazione del sangue (trombosi) e una scarsità di piastrine, circostanza questa che in genere favorisce, al contrario, le emorragie.
Gli ematologi conoscevano già una situazione simile nei pazienti trattati con eparina, un anticoagulante usato anche nel trattamento di Covid-19 e, da prima della pandemia, in molte occasioni in cui il paziente rischia la formazione di coaguli nel sangue, per esempio per essere costretto a una prolungata immobilità. In rari casi, alla somministrazione di questo farmaco segue la produzione di anticorpi diretti contro un fattore prodotto dalle piastrine (PF4). Ciò determina contemporaneamente trombosi e trombocitopenia (HITT, Heparin-induced thrombocytopenia and thrombosis). La formazione di tali anticorpi è abbastanza frequente (fino alla metà dei pazienti trattati con eparina), ma solo una quota che va da 2 su mille a 1 su cento sviluppa la sintomatologia, che può essere da lieve a grave.
La reazione indesiderata al vaccino, simile a questa e perciò denominata VITT (Vaccine-induced thrombocytopenia and thrombosis), è ancora meno frequente, essendo stata riscontrata in circa un caso su 100.000 somministrazioni di Vaxevria.
Dottore, chi rischia di più?
L’allarme ha riguardato soprattutto le giovani donne, ma la maggior frequenza di casi in questa fascia di popolazione non è stata tale da giustificare per l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) una controindicazione specifica. Alcune agenzie regolatorie nazionali però – come l’AIFA in Italia – per maggior prudenza hanno, almeno per ora, preferito raccomandare l’uso di questi vaccini, indipendentemente dal genere, oltre i 60 anni di età.
Non sono invece stati accertati altri fattori di rischio, nemmeno di quelli che normalmente determinano una maggiore tendenza alla formazione di trombosi: né l’uso della pillola anticoncezionale o della terapia ormonale per la menopausa, né predisposizioni genetiche (come il fattore V di Leiden o la mutazione MTHFR) o casi di trombosi in famiglia o nella propria storia personale. Chiunque si ritrovi in una di queste situazioni non ha maggiori probabilità di avere la rarissima reazione avversa descritta (VITT) rispetto alla popolazione generale, proprio perché non si tratta di un caso di trombosi come quelle venose che si verificano nelle gambe o che colpiscono le arterie che irrorano il cervello, provocando ictus. È un altro fenomeno, che dipende da diversi meccanismi, di tipo immunitario.
Neppure le persone che soffrono di malattie autoimmuni hanno però un maggior rischio di andare incontro a questa reazione, che capita eccezionalmente ed è del tutto imprevedibile.
Non sarebbe più prudente fare un esame del sangue o prendere farmaci per prevenire questa reazione al vaccino contro Covid-19?
“Trattandosi di una condizione così rara e particolare, su base immunologica e non assimilabile ad altri fenomeni trombotici, nessun esame del sangue è in grado di segnalare un maggior rischio o escludere la possibilità di subire questa reazione.
Non serve contare il numero di piastrine né valutare la tendenza alla coagulazione del sangue”, spiega a Dottore ma è vero che? Rossella Marcucci, professoressa associata di Medicina interna all’Università di Firenze e a capo del Centro di riferimento regionale per la trombosi dell’Ospedale Careggi. “Lo stesso si può dire per il dosaggio di autoanticorpi caratteristici di malattie autoimmuni, che, come si è detto, non rappresentano uno specifico fattore di rischio”.
Per le ragioni spiegate sopra è del tutto inutile anche assumere aspirina o eparina prima o dopo la vaccinazione per cercare di azzerare il rischio, già minimo, di questa reazione. Nessuno di questi medicinali può infatti raggiungere questo obiettivo, mentre, assumendoli, si aggiunge al rarissimo rischio di effetti collaterali del vaccino quello molto maggiore di questi medicinali, senza che possano apportare alcun beneficio. Anzi, l’eparina potrebbe creare a sua volta la reazione descritta all’inizio (HITT), e farlo molto più spesso del vaccino.
Lo stesso vale per gli antistaminici: nel raro caso di una reazione allergica, sarà il medico vaccinatore a intervenire o a prescrivere la cura necessaria.
Anche cercare di prevenire i sintomi più comuni che si possono verificare in seguito alla vaccinazione – come febbre, mal di testa, dolori muscolari – non serve. Il paracetamolo o l’ibuprofene, infatti, vanno assunti solo nel momento in cui si sviluppano i sintomi e non in maniera preventiva.
Argomenti correlati:
CoronavirusFarmaciVaccinazioniVaccini