A maggio dello scorso anno uno degli argomenti più dibattuti sul tema Covid-19 riguardava la possibilità di utilizzare come trattamento il siero convalescente dei pazienti in fase di remissione. Si era ipotizzato che il plasma iperimmune – così viene chiamato il sangue ricco di anticorpi di chi ha già superato la malattia – potesse rappresentare una svolta nella gestione dell’emergenza [1]. L’ipotesi aveva poi guadagnato consensi in seguito alle dichiarazioni di alcuni medici che sostenevano, per lo più sulla base di poche esperienze preliminari, che la cura con il plasma fosse efficace [2,3].
Si era poi diffusa la convinzione che fossero le istituzioni a non voler puntare su questa terapia, alimentando dubbi e polemiche [4]. L’ipotesi dell’esistenza di una sorta di complotto ai danni del trattamento con il plasma delle persone già guarite da Covid-19 (ne abbiamo parlato nella scheda L’uso del plasma di convalescenza nella Covid-19 è ostacolato da “Big Pharma”?) si è poi ulteriormente amplificata in seguito alle dichiarazioni di alcuni personaggi pubblici ed esponenti politici che ne supportavano l’adozione. In realtà l’utilizzo del plasma iperimmune per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2 era in quel momento in fase di studio in diverse parti del mondo, così come moltissime altre opzioni terapeutiche. I risultati di queste ricerche, tuttavia, hanno messo in evidenza come il sangue dei pazienti guariti non sia efficace nel ridurre il rischio di peggioramento o decesso nei pazienti affetti da Covid-19.
Dottore, in cosa consiste la terapia con plasma iperimmune?
La terapia con plasma iperimmune prevede il prelievo di sangue da persone guarite da una data patologia, ricco di anticorpi, e la sua successiva somministrazione a pazienti affetti da quella stessa patologia. Gli anticorpi sono proteine coinvolte nella risposta immunitaria che aiutano l’organismo a combattere un agente estraneo, come ad esempio un virus, legandosi a esso e neutralizzandolo. L’idea alla base del trattamento con plasma iperimmune, quindi, è che gli anticorpi presenti nel sangue di una persona guarita possano contribuire a sconfiggere la malattia in chi lo riceve, secondo un meccanismo noto come “immunizzazione passiva” [5].
La procedura è però più complessa di quanto possa sembrare. Prima di essere somministrato a un paziente, infatti, il plasma iperimmune deve essere processato e sottoposto a una serie di test di laboratorio utili a quantificare il numero di anticorpi presenti e a garantire un elevato livello di sicurezza. Non tutti i pazienti guariti da una data patologia, poi, possono donare il proprio plasma iperimmune: è necessario rispondere a requisiti di idoneità sia demografici che clinici [6]. Infine, va ricordato che le terapie che prevedono una trasfusione di sangue non sono prive di possibili effetti collaterali, come infezioni e reazioni allergiche anche gravi [7].
Perché il plasma iperimmune è stato proposto come trattamento contro Covid-19?
Il plasma iperimmune viene utilizzato per il trattamento delle malattie infettive da più di un secolo, quando la sua applicazione è stata studiata nel contesto dell’influenza spagnola [8]. Al momento, tuttavia, l’unica patologia in cui il suo impiego è associato a un reale beneficio clinico è la febbre emorragica argentina, per cui è attualmente considerato lo standard di cura [9].
Ciò non significa però che nel frattempo il plasma iperimmune non sia stato studiato come trattamento per altre malattie. Alcune ricerche, ad esempio, hanno individuato dei benefici associati a questo approccio terapeutico in diverse patologie con caratteristiche in parte simili a quelle di Covid-19 come la SARS, l’influenza suina, l’influenza aviaria ed ebola [10,11,12,13].
In tutti questi casi i benefici associati all’impiego del plasma prelevato da pazienti guariti non sono stati però confermati in studi clinici randomizzati: quelli in cui si valuta l’efficacia di un trattamento rispetto a un placebo o a un altro trattamento assegnando i pazienti in modo casuale all’una o all’altra opzione, gli unici in grado di stabilire se una terapia funziona davvero. Ciononostante, sulla base di queste esperienze, si è ipotizzato che la terapia con plasma iperimmune potesse avere un ruolo anche nel trattamento di Covid-19.
Dottore, la terapia con plasma di persone guarite è efficace contro Covid-19?
Anche nell’ambito dell’infezione da SARS-CoV-2 l’impiego del plasma iperimmune è stato inizialmente valutato in studi non randomizzati, senza un gruppo di controllo. Un’analisi condotta negli Stati Uniti su 20.000 pazienti con Covid-19 sottoposti al trattamento, ad esempio, mostrava come nei soggetti ricoverati questo fosse sicuro e, se somministrato nelle prime fasi della malattia, “probabilmente in grado di ridurre la mortalità” [14]. In modo simile un’analisi, i cui risultati sono stati pubblicati in forma di preprint su MedRxiv (vale a dire senza che l’articolo avesse superato il controllo della revisione tra pari, la cosiddetta peer review), ha preso in considerazione un campione di oltre 35.000 pazienti Covid-19 sottoposti a terapia con plasma iperimmune, evidenziando un possibile vantaggio in termini di mortalità nei pazienti a cui era stata somministrata la procedura entro tre giorni dalla diagnosi rispetto a quelli in cui in cui era stata effettuata dopo il quarto giorno. Inoltre, l’analisi mostrava una relazione tra la quantità di anticorpi presenti nel plasma iperimmune e la mortalità: maggiore il numero di anticorpi, minore la probabilità di morire [15].
Ma cosa dicono, invece, gli studi clinici randomizzati?
A ottobre è stato pubblicato l’aggiornamento di una revisione della Cochrane Library sull’efficacia e la sicurezza del trattamento con il plasma iperimmune che includeva 19 studi, di cui 2 randomizzati. Si tratta di una revisione sistematica, vale a dire la sintesi dei risultati di tutti gli studi svolti e pubblicati dei quali è riconosciuta l’affidabilità metodologica. Sulla base dei risultati di questi 2 studi randomizzati – per un totale di 195 pazienti, 85 dei quali sottoposti alla terapia – gli autori della revisione concludevano che “non è chiaro se il trattamento con plasma proveniente da persone guarite da Covid-19 sia efficace per le persone ricoverate con questa patologia” [16]. In seguito sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati di un altro studio randomizzato che aveva messo a confronto un gruppo di 228 pazienti sottoposti a trattamento con plasma iperimmune e 105 sottoposti a un placebo. Anche in questo caso non sono emerse differenze tra i due gruppi in termini di mortalità [17].
Sul tema sono stati recentemente presentati anche i risultati dello studio randomizzato Tsunami, promosso dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Agenzia Italiana del Farmaco. Questo ha messo a confronto un approccio terapeutico basato sull’utilizzo del plasma iperimmune (con una quantità elevata di anticorpi) in aggiunta al trattamento standard, e uno basato unicamente sul trattamento standard. Il campione di studio era composto da 477 pazienti – 231 sottoposti alla terapia con plasma e 246 al solo trattamento standard – con infezione da SARS-CoV-2, polmonite e difficoltà respiratorie da lievi a moderate. I risultati non hanno messo in evidenza un beneficio associato al plasma: la probabilità di morire o di andare incontro a un peggioramento nei primi trenta giorni è risultata paragonabile tra i due gruppi [18].
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