Nelle prime fasi della pandemia alcuni farmaci già impiegati per il trattamento di specifiche malattie hanno acceso l’interesse di medici e ricercatori per la possibilità di essere utilizzati contro SARS-CoV-2. Fra questi si è parlato molto di clorochina e idrossiclorochina, attualmente impiegate come antimalarici e nel trattamento di alcune patologie autoimmuni, anche sulla scia dell’enorme popolarità mediatica ricevuta dall’idrossiclorochina dopo essere stata “raccomandata” come possibile terapia preventiva di Covid-19 dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Ma esistono prove scientifiche che questo farmaco sia davvero efficace nella prevenzione di SARS-CoV-2? Di recente l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato un documento, in continuo aggiornamento, in cui non giudica utile l’impiego dell’idrossiclorochina nella prevenzione di Covid-19. Vediamo di cosa si tratta.
Dottore, come si è arrivati a queste conclusioni sull’idrossiclorochina?
La revisione dell’OMS, pubblicata sul British Medical Journal, rivista ufficiale dell’associazione dei medici britannici, ha considerato validi per essere presi in esame sei studi clinici, che hanno coinvolto in totale più di seimila persone [1]. Tre di questi studi sono stati realizzati su individui che erano venuti in contatto con persone risultate positive al SARS-CoV-2, permettendo ai ricercatori di approfondire il ruolo preventivo del farmaco nella Covid-19.
I risultati hanno smentito una volta per tutte l’ipotesi che l’idrossiclorochina protegga dal rischio di contrarre la malattia e che diminuisca le probabilità di ammalarsi gravemente. Infatti, una volta contratta l’infezione, i partecipanti a cui era stata somministrata idrossiclorochina avevano le stesse probabilità di venire ricoverati in ospedale o di morire a seguito di complicazioni rispetto a chi aveva ricevuto il placebo – una sostanza inerte indistinguibile dalla compressa di cui si sta testando l’efficacia, ne abbiamo parlato in una scheda dedicata proprio al cosiddetto “effetto placebo”.
Sulla base di queste evidenze, il gruppo internazionale di esperti dell’OMS raccomanda fortemente di non somministrare idrossiclorochina in via preventiva agli individui che non hanno Covid-19.
Dottore, allora perché l’idrossiclorochina è stata proposta come terapia preventiva nella Covid-19?
Ci sono diverse ragioni per cui questo farmaco è stato considerato come possibile strumento di prevenzione contro Covid-19.
Già nei primi mesi della pandemia studi realizzati in vitro (quindi in laboratorio, e non su esseri umani o animali) avevano dimostrato che l’idrossiclorochina, così come la clorochina, era in grado di bloccare la replicazione di SARS-CoV-2, probabilmente interferendo con il meccanismo che consente al virus di entrare nella cellula [2,3]. Questa scoperta era in linea con le aspettative di molti ricercatori, considerato che l’azione antivirale dell’idrossiclorochina era nota da tempo e che il farmaco era stato utilizzato in passato per indicazioni diverse da quelle per le quali è stato approvato (anche di questo abbiamo parlato in una scheda sull’uso off-label) in assenza di terapie specifiche.
“L’idrossiclorochina e la clorochina sono state tirate in ballo anche in precedenti situazioni epidemiche o in situazioni in cui mancava una terapia contro un virus”, conferma Antonio Addis, membro del comitato tecnico-scientifico dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), “e per giunta si tratta di farmaci su cui c’è una larghissima esperienza clinica”.
Le osservazioni in laboratorio, dunque, complici l’assenza di terapie specifiche per trattare l’infezione da SARS-CoV-2 e la necessità di arginare velocemente il contagio, hanno suggerito di ricorrere all’idrossiclorochina nei soggetti a rischio di contrarre Covid-19.
Ma esistevano prove della sua efficacia nell’uomo?
Agli studi in vitro e sui modelli animali si sono poi aggiunti i risultati dei primi studi clinici svolti per valutare l’efficacia e la sicurezza dell’idrossiclorochina nel trattamento di Covid-19. Nel frattempo, infatti, l’agenzia regolatoria del farmaco degli Stati Uniti (la Food and Drug Administration – FDA) e quella europea (la European Medicines Agency – EMA) avevano approvato l’impiego in via emergenziale del farmaco nei pazienti con forme gravi di malattia. I dati di alcune di queste ricerche avevano contribuito ad alimentare un certo entusiasmo, dal momento che sembrava esserci la possibilità che l’idrossiclorochina fosse in grado di bloccare la diffusione del virus anche nell’uomo [4,5]. Si trattava, però, di prove deboli.
Perché si trattava di prove deboli?
I primi studi clinici avevano grossi limiti metodologici, a partire dal fatto che prendevano in considerazione un numero insufficiente di pazienti e non prevedevano l’esistenza di un gruppo di controllo. Anche noi di Dottore ma è vero che? abbiamo spiegato come valutare se uno studio è affidabile. In un secondo tempo è stato possibile valutare efficacia e sicurezza di clorochina e idrossiclorochina in studi clinici randomizzati condotti su un numero di pazienti più ampio: “Quanto più questi studi erano disegnati in modo rigoroso e quanti più malati coinvolgevano, tanto più confermavano l’assenza di efficacia”, prosegue Addis. Date queste nuove evidenze scientifiche, sia la FDA sia la EMA hanno poi revocato le autorizzazioni all’uso di emergenza di clorochina e idrossiclorochina non soltanto per la prevenzione di Covid-19 ma anche per il suo trattamento.
Gli studi clinici più rigorosi hanno anche messo in luce un altro aspetto di cui tenere conto, ossia il fatto che l’impiego dell’idrossiclorochina nella Covid-19 non sia una scelta priva di rischi. I dati raccolti in quattro dei sei trial clinici citati nella revisione dell’OMS hanno infatti associato al trattamento con idrossiclorochina una frequenza maggiore di reazioni avverse rispetto a quelle verificatesi nel gruppo di controllo, tale da rendere necessaria la sospensione immediata del trattamento prima che la sperimentazione fosse conclusa. Gli effetti indesiderati possono interessare gli apparati cardiovascolare, emopoietico (relativo al sangue e alla sua formazione) e gastrointestinale, il sistema nervoso, il fegato e la pelle, e portare conseguenze anche gravi [6].
Sulla base di questi risultati, ricercatori e istituzioni hanno concluso che l’idrossiclorochina non sia più una priorità nella ricerca su Covid-19 e suggeriscono di valutare l’opportunità di proseguire gli studi clinici già avviati alla luce delle nuove evidenze scientifiche. “In questa fase ha poco senso esporre i pazienti a rischi evitabili e qualsiasi rischio, per quanto sia di poco conto, a fronte di una mancata efficacia che ormai sembra conclamata, è da considerarsi un rischio inutile”, conclude Addis.
Questo vale sia per l’uso di clorochina e idrossiclorochina per la prevenzione, sia per l’uso terapeutico. Infatti, in un altro documento, pubblicato sempre sul BMJ, l’OMS ha ritenuto inutile l’utilizzo di idrossiclorochina anche nelle persone già contagiate [7]. Analizzando le evidenze scientifiche a disposizione, è stato possibile concludere che la somministrazione di idrossiclorochina non riduce la mortalità da Covid-19 né diminuisce la necessità di ricorrere alla ventilazione meccanica in caso di complicazioni, e potrebbe non avere alcun effetto nemmeno sulla durata del ricovero in ospedale. Nonostante i dati analizzati siano caratterizzati da un certo margine di incertezza, gli esperti hanno giudicato il rapporto tra rischi e benefici derivante dall’impiego specifico di questo farmaco su Covid-19 sbilanciato a favore dei rischi, anche considerato che i risultati degli studi clinici hanno evidenziato, nei pazienti trattati con idrossiclorochina, un maggior rischio di effetti collaterali come vomito e diarrea, che potrebbero portare a situazioni cliniche più gravi.
Argomenti correlati:
CoronavirusFarmaciPrevenzione