Secondo il rapporto UNICEF “The State of the World’s Children 2023”, negli anni della pandemia è calata quasi ovunque nel mondo la percezione di quanto sia importante vaccinare i bambini contro le principali malattie prevenibili [1]. Questa attitudine negativa da parte dei cittadini si somma agli effetti di una crisi sanitaria come quella da Covid-19, senza precedenti nella nostra epoca, per entità ed estensione.
Come abbiamo segnalato già l’anno scorso nella scheda “Con la pandemia sono calate le vaccinazioni dell’infanzia?”, in molti Paesi, soprattutto i più poveri, la necessità di rispondere all’emergenza ha infatti sottratto alle vaccinazioni di routine personale, strutture e risorse, mentre la ritrosia dei genitori a recarsi in ambienti sanitari per paura del contagio ha fatto il resto. Se ora la loro sfiducia dovesse rallentare il recupero del tempo perduto, si teme che il crescente numero di bambini vulnerabili a diverse malattie infettive possa farle tornare, come nel caso della poliomielite [2], o aumentare di diffusione, come potrebbe facilmente accadere per il morbillo [3].
Era già successo in passato?
Anche dopo la pandemia da influenza A(H1N1) del 2009 – impropriamente chiamata “suina” – la fiducia dei genitori nelle vaccinazioni dell’infanzia era crollata in molti Paesi, con un conseguente calo delle coperture vaccinali. In Francia, in particolare, mentre fino al 2005 era contro le vaccinazioni dei bambini meno del 10% degli intervistati, nel 2010 la percentuale era salita al 38,2% [4].
Allora si attribuì la colpa del fenomeno alla pessima gestione della crisi pandemica a livello globale, soprattutto per quanto riguardava la comunicazione: da un lato era mancata trasparenza sui possibili conflitti di interesse dei consulenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per cui si era sospettato che la pandemia fosse stata dichiarata su pressione delle aziende farmaceutiche; dall’altro, nella promozione della campagna vaccinale, non si era stati capaci di riconoscere che l’infezione si era rivelata nel tempo molto meno aggressiva di quanto non sembrasse in un primo momento. Ciò, insieme ad altri fattori concorrenti, contribuì a minare la fiducia del pubblico nelle autorità sanitarie, non solo in riferimento al vaccino antinfluenzale, ma anche quando raccomandavano le vaccinazioni dei più piccoli, che già preoccupano molti genitori.
Mentre nel 2009 è probabile che i vaccini – arrivati tardi, contro una malattia non particolarmente letale – non abbiano fatto una grande differenza nel bilancio della pandemia, nel caso di Covid-19 si stima che abbiano salvato la vita a circa 20 milioni di persone. Perché quindi questa reazione così negativa? Il rapporto dell’UNICEF chiama in causa le incertezze sulla qualità della risposta alla pandemia da parte dei governi, la sempre più diffusa disinformazione sull’argomento – portata avanti su vecchi e nuovi media – per cercare di sminuire i meriti e amplificare i rischi dei vaccini, la perdita di fiducia negli esperti, la polarizzazione politica, tutti fattori che hanno riguardato in varia misura l’opinione pubblica di molti Paesi, non solo quella italiana.
I vaccini hanno ridotto la mortalità infantile?
Nel 1980 un bambino su dieci moriva prima dei 5 anni per cause prevenibili, ma nel 2018 questa quota era scesa al 3%, soprattutto grazie alle grandi campagne di vaccinazione condotte nei Paesi più poveri. Il progresso degli scorsi decenni però sembra essere stato ridimensionato dall’impatto del coronavirus.
A oggi, infatti, l’UNICEF stima che siamo tornati indietro di una dozzina di anni, con 67 milioni di bambini che nel mondo, tra il 2019 e il 2021, hanno perso una o più somministrazioni rispetto al calendario previsto. Tra questi, i cosiddetti “zero dose”, che non hanno mai ricevuto un vaccino, sono 48 milioni, concentrati soprattutto in India e Nigeria, ma in preoccupante aumento anche in Myanmar e nelle Filippine.
Per questo, l’agenzia delle Nazioni unite ha deciso di dedicare interamente il proprio report annuale alle vaccinazioni dell’infanzia, che da sole salvano circa 4,4 milioni di vite l’anno. Se si raggiungessero tutti gli obiettivi dell’Agenda per l’immunizzazione 2030, però, questo numero potrebbe salire a 5,8.
Viceversa, se l’ostilità dei genitori dovesse frenare queste iniziative, la mortalità infantile potrebbe tornare a salire ai livelli del secolo scorso. Già nel 2022, per esempio, il numero dei casi di morbillo nel mondo (ma non in Europa) sono più che raddoppiati rispetto all’anno precedente e quello dei bambini paralizzati dalla polio è aumentato del 16%, con un incremento che nel triennio 2019-2021 è stato di otto volte rispetto al triennio precedente.
Dottore, ci sono differenze tra i vari Paesi?
Nel rapporto UNICEF colpisce quanto sia ubiquitaria a livello globale in questo momento la reazione negativa delle persone nei confronti dei vaccini dell’infanzia. Tra tutti i Paesi considerati dall’inchiesta gli unici controcorrente, in cui cioè durante la pandemia è cresciuta la consapevolezza sull’importanza dei vaccini, sono la Cina e, in misura minore, India e Messico. Minimo il calo in Svezia e Vietnam, due Paesi lontanissimi sulla mappa, per PIL e tradizioni culturali, che tuttavia hanno resistito meglio di tutti gli altri all’ondata di sfiducia paradossa che segue la più grande ed efficace campagna vaccinale della storia.
Il crollo più rovinoso nell’attitudine alla vaccinazione si è visto in Corea del Sud (-44%), Papua Nuova Guinea, Ghana, Senegal, Giappone e Sudafrica, seguiti da molti Paesi dell’Europa orientale, Pakistan e Filippine. Ricchi e poveri, a diverse latitudini e longitudini, in diverse fasi di sviluppo e con diversi livelli medi di reddito, tutti sembrano aver aumentato negli ultimi anni la quota di persone scettiche tra i loro cittadini. In Olanda come in Russia una persona su cinque in più, negli ultimi anni, ha perso fiducia nelle vaccinazioni per l’infanzia, e le cose non vanno molto meglio in Belgio o negli Stati Uniti, dove l’effetto è stato doppio che in Italia.
Per confrontare come l’approccio della popolazione ai vaccini sia cambiata nel tempo in molti Paesi del mondo, già a partire dal 2015, è possibile utilizzare la mappa interattiva del Vaccine Confidence Project, che distingue tra i livelli di adesione a diverse affermazioni sull’importanza, l’efficacia, la sicurezza e la compatibilità dei vaccini con i propri valori.
Dottore, ma l’Italia è più scettica di altri Paesi?
Secondo i dati del Rapporto UNICEF, tra gli italiani c’è una consapevolezza del ruolo dei vaccini dell’infanzia superiore a quella di molti altri grandi Paesi occidentali, una consapevolezza che ha resistito meglio di altri anche alla pandemia. Il calo del 6,8% registrato in Italia è infatti superiore in Europa solo a quello della Svezia, e quasi alla pari con quel che è accaduto in Portogallo e Irlanda. Hanno perso più fiducia che da noi in Spagna, Germania e Francia, e perfino in Paesi del Nord Europa come Finlandia e Danimarca.
Al di là dei cambiamenti di percezione degli ultimi anni, conta però soprattutto quale sia la situazione attuale. L’Italia si ritrova oggi con l’85% di adulti convinti dell’importanza delle vaccinazioni dell’infanzia, meglio che nel 2015, quando era all’82%, ma peggio che nel 2019, quando questa quota era salita al 92%.
La situazione è molto più grave in Russia, Giappone e Corea del Sud, dove poco più o addirittura meno della metà dei cittadini si dice a favore delle vaccinazioni dell’infanzia. Ma anche nell’Unione Europea ha fiducia nei vaccini solo il 60% degli abitanti di Croazia, Slovacchia e Lettonia, circa il 70% di olandesi, lituani, sloveni e maltesi, il 75% di austriaci e francesi, l’80% di tedeschi, polacchi e greci. Tutti meno che da noi.