Sospendendo i brevetti avremmo più vaccini?

26 Maggio 2021 di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

All’inizio di maggio, gli Stati Uniti hanno colto di sorpresa il mondo intero quando hanno annunciato l’intenzione di sostenere un’esenzione dalle norme che regolano la proprietà intellettuale e che proteggono i vaccini. Norme che sono state definite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio [1]. La sospensione dei brevetti sui vaccini contro Covid-19 consentirebbe a ciascuna nazione di produrli senza il consenso delle aziende farmaceutiche titolari del brevetto.

“Questa è una crisi sanitaria globale e le circostanze straordinarie della pandemia Covid-19 richiedono misure straordinarie”, ha detto Katherine Tai, rappresentante degli Stati Uniti per il Commercio. “L’obiettivo dell’amministrazione è quello di fornire il maggior numero di vaccini sicuri ed efficaci a quante più persone il più velocemente possibile”. A Tai ha fatto eco il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Ghebreyesus, che ha definito il pronunciamento del Presidente Joe Biden “un momento monumentale della lotta a Covid-19” e un passo straordinario verso l’equità delle cure [2].

Chi “inventa” i vaccini? Centri di ricerca privati o istituzioni pubbliche?

Quasi sempre, le tecnologie mediche come vaccini e farmaci sono frutto del lavoro di entrambi. Le relazioni tra istituzioni e imprese, anche riguardo la proprietà intellettuale, sono degli elementi costitutivi della produzione e della commercializzazione di molti vaccini.

Come spiega un articolo pubblicato nel maggio 2021 su un’importante rivista come Nature Biotechnology [3], “la tecnologia sottostante utilizzata per sviluppare un vaccino può essere protetta da brevetti, mentre i metodi e le tecniche di produzione (know-how) possono essere protetti da segreti commerciali. […] a tecnologia fondamentale necessaria per sviluppare un vaccino potrebbe essere inventata nel laboratorio di un’università o in start-up”.

Dottore, mi scusi: cos’è una start-up?

Una start-up è un’azienda nata da poco, quindi di solito di piccole dimensioni e quasi sempre caratterizzata da obiettivi raggiungibili a breve o medio termine, legati all’innovazione di specifici prodotti o di processi di produzione. L’originalità degli obiettivi e le potenzialità di innovazione attraggono spesso capitali privati utili all’avvio dell’attività, che in caso di successo si sviluppa secondo canoni più tradizionali.

Know-how e brevetti

Come leggiamo nella direttiva del Parlamento Europeo numero 2016/943 sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate, “le imprese e gli enti di ricerca non commerciali investono nell’acquisizione, nello sviluppo e nell’applicazione di know-how e informazioni, che sono la moneta di scambio dell’economia della conoscenza e forniscono un vantaggio competitivo. L’investimento nella produzione e nello sfruttamento del capitale intellettuale è un fattore determinante per la competitività e la capacità innovativa delle imprese sul mercato e per il rendimento dei loro investimenti, motivazione sottesa alle attività di ricerca e sviluppo delle imprese.”

L’espressione know-how indica sia le conoscenze tecniche relative ai metodi e ai processi per la preparazione di prodotti industriali quelle che riguardano l’organizzazione e le dinamiche aziendali necessarie per ottenere il prodotto. Il know-how è considerato alla stregua degli altri diritti di proprietà intellettuale, quali i brevetti, i diritti su disegni e modelli o il diritto d’autore.

Cosa succede dopo che una nuova tecnologia è stata messa a punto in un laboratorio di ricerca?

Succede che possa essere protetta tramite brevetti e successivamente concessa in licenza a una società più grande, capace di svilupparla, perfezionarla e infine utilizzarla per scopi commerciali.

Cosa è successo nel caso dei vaccini contro Covid-19 che ricorrono ad una tecnologia innovativa?

I vaccini messi a punto dalle società Moderna, Pfizer/BioNTech e CureVac – solo per citare le più conosciute – utilizzano molecole di acido ribonucleico messaggero (mRNA) che contengono le istruzioni perché le cellule della persona che si è vaccinata sintetizzino le proteine spike [4] (per maggiori informazioni su questo argomento, potete leggere la nostra scheda sulle diverse tipologie dei vaccini contro Covid-19). Ma lo studio dell’mRNA come nuova tecnologia biomedica non è una novità di oggi: ha avuto inizio negli anni Novanta del secolo scorso [5]. Tuttavia, è stato solo nel 2005 che un gruppo di ricercatori dell’Università della Pennsylvania ha pubblicato i risultati sulla tecnologia dell’mRNA che da allora sono stati considerati fondamentali per lo sviluppo di terapie basate appunto sull’mRNA [6]. Da allora però si è verificata una serie di passaggi che mostra chiaramente la complessità dello scenario nel quale ci troviamo oggi. “L’Università della Pennsylvania ha concesso in licenza i brevetti esclusivamente a mRNA RiboTherapeutics, che li ha poi concessi in sublicenza alla sua affiliata CellScript. A sua volta, CellScript ha dato in sublicenza i brevetti a Moderna e BioNTech” [3]. Ma, fanno osservare gli autori dell’articolo su Nature Biotechnology prima citato, i numeri dei brevetti sono oscurati in tutte le domande, rendendo difficile determinare quali siano davvero rilevanti per la produzione di vaccini contro Covid-19.

Sospendendo i brevetti avremmo più vaccini?Però, la produzione di un vaccino implica numerosi brevetti e questa complessa matrice di licenze e di accordi tra entità diverse – aziende private ed enti pubblici – sottolinea come lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti biofarmaceutici siano processi intricati e di difficile lettura. Per farla breve, i progressi tecnologici chiave sono stati immaginati, “disegnati” e messi a punto in laboratori universitari o in piccole aziende biotecnologiche e poi concessi in licenza a società più grandi per lo sviluppo dei prodotti. Questo insieme di passaggi, fatto di brevetti, segreti commerciali e know-how (vale a dire competenze e tecniche di alto livello) può contrastare se non impedire lo sviluppo ulteriore di nuove tecnologie, creando barriere legali che limitano l’accesso all’innovazione.

Non tutti sanno, per esempio, che lo scorso 8 ottobre 2020 la società statunitense Moderna – d’accordo con il Governo degli Stati Uniti – ha deciso unilateralmente di sospendere temporaneamente il brevetto sul proprio vaccino: ma nessuna società ha voluto o è stata in grado di produrlo [7].

Perché non è stato possibile produrre il vaccino Moderna nonostante la sospensione del brevetto?

“In settori ad alta tecnologia come la biomedicina, le moderne domande di brevetto raramente contengono le conoscenze necessarie per produrre l’invenzione” spiega il giornalista d’inchiesta Alexander Zaitchik nell’articolo prima citato. “Il gioco dei brevetti è quello di scoraggiare la riproduzione, anche e soprattutto da parte dei più ‘provetti’. Gli aspetti chiave di un’invenzione e della sua traduzione in pratica sono sistematicamente protetti, spesso indefinitamente, da una barriera di proprietà intellettuale stratificata che coinvolge brevetti, diritto d’autore e ‘informazioni riservate’, una categoria ampia, opaca e relativamente nuova della proprietà intellettuale che contiene tre sottocategorie vitali per produrre cose come i vaccini: know-how, segreti commerciali e dati. È all’interno di queste categorie, non nel brevetto depositato pubblicamente, che vengono custoditi i segreti più preziosi” [7].

Insomma, anche una volta liberata dal brevetto, un’innovazione è comunque protetta da una serie di “lucchetti” che non sono altro che queste “informazioni riservate” riconosciute da due documenti pubblici degli Stati Uniti [8] integrati nel regime di proprietà intellettuale applicato dall’Organizzazione Mondiale del Commercio: “Tutte le forme e i tipi di informazioni finanziarie, commerciali, scientifiche, tecniche, economiche o ingegneristiche, inclusi modelli, piani, compilazioni, dispositivi di programma, formule, progetti, prototipi, metodi, tecniche, processi, procedure, programmi o codici, se tangibili o intangibili, e se o come immagazzinato, compilato o memorizzato fisicamente, elettronicamente, graficamente, fotograficamente o per iscritto.”

Insomma, anche secondo Thomas Cueni, presidente dell’associazione delle industrie farmaceutiche internazionali, “con i vaccini si tratta solo di know-how e non c’è mai stata una licenza obbligatoria per i vaccini: non per niente, non risolve davvero il problema” [7].

Allora la sospensione dei brevetti non è la via giusta per diffondere capillarmente il vaccino?

Sospendendo i brevetti avremmo più vaccini?Secondo alcuni osservatori, la sospensione dei brevetti non sarebbe necessaria perché l’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPs) consente già flessibilità [9]. Lo ha spiegato anche Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri: “L’articolo 31 del TRIPs prevede il diritto, per gli Stati membri della World Trade Organization, di disporre, per legge, in condizioni di emergenza, l’uso del brevetto senza autorizzazione del titolare, pagando una congrua royalty. Questo permetterebbe di produrre un maggior numero di vaccini e anche di esportarli in Paesi che non hanno le strutture per fabbricarli in proprio. Le condizioni di emergenza ci sono e l’obbligatorietà della licenza sarebbe circoscritta alla durata della pandemia. Come detto dalla stessa amministrazione USA, il contesto straordinario della pandemia invoca misure straordinarie” [10]. Dunque, i Paesi possono concedere licenze obbligatorie (cioè senza il consenso del titolare) a determinate condizioni. Alcuni lo hanno fatto durante la pandemia. Beninteso, come detto, la licenza obbligatoria prevede comunque il riconoscimento di un compenso per chi detiene il brevetto.

Altre voci autorevoli, però, sono convinte che le protezioni dei brevetti non siano la causa principale del collo di bottiglia nella fornitura di vaccini. Semmai, una sospensione dei brevetti potrebbe addirittura impedire che le materie prime indispensabili alla produzione dei vaccini raggiungano gli impianti di produzione già attivi e funzionanti, per non parlare dell’effetto di scoraggiare gli investimenti delle aziende private, indispensabili per scongiurare future pandemie [11]. In realtà, questo argomento non sembra convincente, dal momento che una sospensione dei brevetti in favore dei Paesi poveri non modificherebbe in modo sostanziale l’ampiezza del mercato e, di conseguenza, i profitti delle industrie [12].

La licenza obbligatoria, però, potrebbe permettere una più intensa produzione di vaccini?

In realtà, sembra che le dieci aziende maggiori produttrici abbiano obiettivi di produzione per il 2021 sufficienti a vaccinare il 93% della popolazione mondiale. Il problema sarebbe nella prudenza delle industrie ad attivare la loro massima capacità di produzione senza impegni di acquisto da parte delle nazioni [7].

Attualmente c’è un grande divario tra il numero di dosi che potrebbero essere prodotte e il numero che è stato preordinato. Ma c’è un abisso tra la disponibilità di vaccini dei Paesi ricchi (che in molti casi hanno ordinato più dosi del necessario e quindi hanno vaccini non utilizzati in magazzino) e i Paesi a basso reddito. In queste circostanze, spiega Zaitchik, “gli sforzi per aumentare la capacità allentando le tutele dei brevetti non farebbero nulla per accelerare le vaccinazioni nei Paesi a basso reddito. Una strategia molto più promettente consiste nell’aiutare i Paesi a basso reddito ad acquistare i vaccini, convogliando le dosi in eccesso dai Paesi più ricchi ovunque siano più necessarie”. O facendo – come sembra si ripromettano di fare gli Stati Uniti – delle donazioni ai Paesi poveri [13].

Cosa potrebbe aiutare la diffusione capillare dei vaccini?

Primo, decidere finanziamenti aggiuntivi all’alleanza COVAX AMC, nata proprio per sostenere la diffusione delle vaccinazioni [14]. Secondo, la Banca mondiale potrebbe fare migliori condizioni sui prestiti per i preacquisti di vaccini, consentendo che i finanziamenti possano essere usati anche per acquistare vaccini diversi da quelli approvati dalle agenzie regolatorie delle nazioni del “primo mondo”. Infine, un cambiamento potrebbe giungere dopo l’approvazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del vaccino prodotto dalla società cinese Sinopharm e dal Beijing Institute of Biological Products [15]. Il vaccino può essere conservato in un frigorifero normale e le “esigenze di facile conservazione” lo rendono particolarmente adatto a un utilizzo in contesti economicamente e socialmente poveri.

In conclusione, la decisione del Presidente Biden e l’appello di organizzazioni come Medici senza Frontiere ha un forte valore etico e riafferma il principio della salute per tutti. Come ha sottolineato Avril Benoit, direttore di MSF USA, la richiesta di superamento dei brevetti e di licenza obbligatoria potrebbe non essere la via più breve per garantire la più ampia diffusione dei vaccini. “Se gli Stati Uniti vogliono veramente porre fine a questa pandemia devono anche condividere le proprie dosi di vaccini in eccesso attraverso il meccanismo COVAX e colmare il divario di forniture fino a quando nuovi produttori non saranno in grado di aumentare la produzione. Gli Stati Uniti devono inoltre esigere che le aziende farmaceutiche che hanno ricevuto significativi finanziamenti dai contribuenti statunitensi per creare i vaccini condividano la tecnologia e il know-how con altri produttori per proteggere più persone in tutto il mondo” [16].

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Autore Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Luca De Fiore è stato presidente della Associazione Alessandro Liberati – Network italiano Cochrane, rete internazionale di ricercatori che lavora alla produzione di revisioni sistematiche e di sintesi della letteratura scientifica, utili per prendere decisioni cliniche e di politica sanitaria (www.associali.it). È direttore del Pensiero Scientifico Editore. Dirige la rivista mensile Recenti progressi in medicina, indicizzata su Medline, Scopus, Embase, e svolge attività di revisore per il BMJ sui temi di suo maggiore interesse: conflitti di interesse, frode e cattiva condotta nel campo della comunicazione scientifica. Non ha incarichi di consulenza né di collaborazione – né retribuita né a titolo volontario – con industrie farmaceutiche o alimentari, di dispositivi medici, produttrici di vaccini, compagnie assicurative o istituti bancari.
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