Gli smartphone fanno male alla salute?

17 Maggio 2023 di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Che il cellulare – e oggi lo smartphone – possa far male alla salute è uno di quegli argomenti che non passano mai di moda: del resto, c’è sempre un motivo per scoprirsi sospettosi [1] e la tecnologia, e soprattutto l’innovazione, ci affascinano e ci impauriscono. Quindi, la domanda è giustificata, vuoi dalla preoccupazione di molti di noi, vuoi da qualche dato scientifico che merita, però, delle precisazioni.

Dottore, quindi è vero che lo smartphone fa male alla salute?

gli smartphone fanno male alla saluteSe posso darle un consiglio, la prima cosa da chiarire è che non è lo smartphone in quanto oggetto a poter nuocere alla nostra salute. In caso, è l’uso che facciamo dello smartphone che può condizionare il nostro benessere. Noi di Dottore ma è vero che non perdiamo occasione per ricordare l’importanza di farsi le domande giuste per avere risposte di cui poterci fidare. Ciò premesso, disponiamo di sufficienti evidenze per poter dire, per esempio, che l’uso dello smartphone non giova all’efficienza della nostra memoria.

Consideriamo anche che lo smartphone si aggiunge ai diversi altri strumenti che hanno reso superfluo l’esercizio della memoria: non è più necessario ricordare esattamente la ricetta della carbonara perché basta chiedere a Google (attenzione: puoi prevedere la cipolla solo se sei uno chef stellato, ma forse neanche in quel caso) e anche l’indirizzo e-mail del collega puoi tranquillamente dimenticarlo perché ci pensa il tuo servizio di posta elettronica a proportelo automaticamente. Lo stesso vale per gli appuntamenti segnati sul calendario e ovviamente – forse in primo luogo – per i numeri di telefono di amici, amiche e fidanzati.

Dunque la nostra memoria sta peggiorando per l’uso eccessivo dello smartphone?

Un importante quotidiano britannico, il Guardian – famoso per la competenza della propria redazione scientifica – ha parlato di “smartphonizzazione della vita”: fenomeno che potrebbe essere stato “accelerato dalla pandemia, così come l’uso di Internet in generale. Periodi prolungati di stress, isolamento ed esaurimento – temi comuni dal marzo 2020 – sono ben noti per il loro impatto sulla memoria” [2].

Indubbiamente, gli anni in cui la pandemia di Covid-19 è stata più intensa hanno contribuito a determinare quelle che in alcuni casi somigliano a vere e proprie forme di dipendenza dallo smartphone. Consultare costantemente lo smartphone, “vivere sui social media” è una forma di compensazione fin tanto che ci garantisce una distrazione dai pensieri della vita quotidiana, dalle preoccupazioni e dallo stress di tutti i giorni: distrazione tanto più facile da ottenere se non abbiamo l’obbligo di ricordare. Da qui nascerebbe quella che il quotidiano inglese ha definito la digital amnesia.

Quindi secondo “la Scienza” c’è davvero di che preoccuparsi?

gli smartphone fanno male alla saluteIn realtà, come spesso accade, medici e ricercatori non hanno posizioni univoche al riguardo. Tra quelli ascoltati dal Guardian, Chris Bird – docente di Neuroscienze cognitive all’Università del Sussex in Gran Bretagna – ricorda come abbiamo sempre abbiamo sempre avuto bisogno di dispositivi esterni per memorizzare le cose: basti pensare agli appunti che ci hanno sempre permesso di non dimenticare il sale grosso o il detersivo facendo la spesa al supermercato. Prendere nota su un foglietto o sullo smartphone non cambia la sostanza delle cose.

E aggiunge: “Non ho problemi a usare dispositivi esterni per migliorare la mia capacità di pensare. Tutti lo facciamo sempre di più, ma questo ci permette di liberare tempo per concentrarci, focalizzarci e ricordare altre cose”. Un punto di vista interessante anche perché il ricercatore inglese si spinge oltre: a suo giudizio, infatti, l’evoluzione del nostro cervello non sarebbe stata guidata dalla necessità di ricordare cose troppo specifiche.

Però lei accennava anche a pareri preoccupati, o sbaglio?

Infatti: il professor Oliver Hardt, che studia la neurobiologia della memoria e dell’oblio alla McGill University di Montreal in Canada, è molto più cauto: “Una volta che si smette di usare la memoria, la situazione peggiora e questo ci spinge a usare ancora di più i dispositivi. Li usiamo per tutto. È molto comodo, ma la comodità ha un prezzo. È bene far lavorare il cervello almeno ogni tanto”.

La nostra capacità di ricordare dipende dal cambiamento di abitudine o all’interno del cervello stesso potrebbero avvenire dei cambiamenti?

gli smartphone fanno male alla saluteIl professor Hardt sostiene che l’uso prolungato dello smartphone – come di molti altri dispositivi che rendono superfluo l’esercizio della memoria – possa ridurre la densità della materia grigia di quella parte del cervello, l’ippocampo, deputata alla memoria. “La riduzione della densità di materia grigia in quest’area cerebrale si accompagna a una serie di sintomi, come l’aumento del rischio di depressione e di altre psicopatologie, ma anche di alcune forme di demenza” [1].

Alcuni studi svolti in persone che hanno da molti anni l’abitudine di utilizzare i navigatori quando guidano hanno mostrato una riduzione delle abilità di memoria spaziale che richiedono l’attivazione dell’ippocampo [3]. E i risultati ci spiegano che l’impatto dei navigatori sulla capacità di orientarsi della persona è, come si suol dire, “dose dipendente”: in altri termini, più si usa il navigatore, più si perde la capacità di orientamento.

Ma non potrebbe essere che il navigatore sia più usato dalle persone che già hanno una minore capacità di orientamento?

La domanda è corretta e i ricercatori delle università canadesi che hanno condotto uno degli studi più citati hanno verificato proprio questa ipotesi. Ebbene, non esiste alcuna correlazione tra la sensazione soggettiva individuale di scarsa capacità di orientamento e il maggiore utilizzo di un navigatore [3]. La lettura delle mappe è una cosa abbastanza complicata ed è per questo che ricorriamo ai dispositivi con tanta facilità. Ma le cose difficili fanno bene, sostiene il professor Hardt, perché impegnano processi cognitivi e strutture cerebrali che hanno altri effetti sul funzionamento cognitivo generale. Lo dimostrano gli studi… sui tassisti londinesi.

Gli studi sui tassisti londinesi? A cosa si riferisce, Dottore?

Mi riferisco a una cosa divertente. Allora: nel centro di Londra ci sono 26 mila strade. Sì, ha capito bene: 26 mila. E se uno conta anche la periferia le strade diventano 60 mila. Ebbene: c’è una cosa che rende unici i tassisti londinesi che possiedono la licenza ufficiale, ed è il fatto che devono essere capaci di guidare utilizzando solo la propria memoria, senza fare affidamento su mappe fisiche o dispositivi di navigazione. L’ippocampo dei tassisti di Londra è stato studiato e la loro materia grigia cresce di volume con l’aumentare del numero degli anni di esperienza [4].

Dottore, è possibile uscire da questa forma di dipendenza che in certa misura ci condiziona?

gli smartphone fanno male alla saluteCertamente: occorre buonsenso ma può essere utile anche conoscere qualche tecnica specifica che può venire in nostro aiuto. Se parliamo della dipendenza dai navigatori, per esempio, la capacità di apprendimento dei tassisti inglesi è stata studiata scientificamente scoprendo che per riuscire a ricordare un numero così grande di strade è indispensabile costruirsi delle mappe mentali degli spazi del mondo reale. Le strategie essenziali includono tecniche di memoria, strategie basate su mappe di singole zone limitate legate a dei punti strategici, costruite per visualizzare mentalmente luoghi e percorsi sulla base delle esperienze vissute [5].

Più in generale, esistono anche strategie per iniziare a ridurre la dipendenza dallo smartphone, come quelle di cui ha parlato Catherine Price, giornalista scientifica e autrice di un libro di successo negli Stati Uniti dal titolo How to Break Up With Your Phone, che in italiano potremmo tradurre con “Come far pace col tuo telefono”: [6]. “Un numero crescente di persone si sta rendendo conto che il rapporto con il telefono non è esattamente quello che un terapeuta di coppia definirebbe ‘sano’” ha spiegato al New York Times [7].

gli smartphone fanno male alla saluteUna persona media trascorre quattro ore al giorno interagendo con il proprio telefono. Price ha studiato per un anno e mezzo le proprie abitudini e il cambiamento del suo comportamento fino a sviluppare una strategia completa per “rompere” con il suo telefono: non per farne definitivamente a meno ma per creare una relazione più sana e sostenibile. Col tempo, dice Price, “quando inizieranno ad arrivare più dati, credo che si dimostrerà quello che abbiamo intuito, vale a dire che i telefoni hanno un impatto sulla nostra salute mentale, sulla nostra attenzione, sulla nostra capacità di formare ricordi” [8].

Oltre a mettere in crisi la nostra memoria, ho sentito dire che l’uso dello smartphone aumenterebbe anche la pressione arteriosa: è così?

Se ne è parlato perché è stato da poco pubblicato uno studio che aveva l’obiettivo di esplorare la relazione tra l’uso del telefono cellulare per effettuare o ricevere chiamate e il rischio di ipertensione [9]. La ricerca ha usato i dati della UK Biobank, una banca dati in progress aperta ai ricercatori di tutto il mondo, che possono interrogarla a scopo di ricerca. In questo caso lo studio è stato condotto da ricercatori della Repubblica popolare cinese, che avrebbero dimostrato una relazione positiva tra la frequenza d’uso dello smartphone e l’insorgenza di ipertensione. Tanto più spesso si fanno o si ricevono telefonate, tanto più è probabile che la persona abbia la pressione arteriosa elevata. Non conterebbe la lunghezza delle telefonate ma il loro numero.

Dottore, perché usa il condizionale nel riportare i risultati di questo studio?

gli smartphone fanno male alla saluteUso il condizionale per due ragioni. La prima è la plausibilità del dato statistico. In parole povere, la correlazione tra due fenomeni dev’essere credibile. Pensiamo per esempio alla velocità delle automobili in un tratto di strada e alla frequenza (o alla gravità) degli incidenti stradali: è ragionevole possa esserci un rapporto di causa-effetto.

Guardando ai dati che emergono dallo studio dei ricercatori cinesi, perché mai il numero delle telefonate – e non la loro durata, peraltro – dovrebbe determinare di per sé un aumento della pressione arteriosa? È probabile si tratti di quella che viene chiamata una “correlazione spuria”, l’osservazione di due fenomeni che sembrano essere legati ma in realtà sono indipendenti l’uno dall’altro. Un esempio classico è l’associazione tra numero di matrimoni e presenza delle rondini in cielo, semplicemente legati dal fatto che i matrimoni si celebrano più di frequente in primavera.

La seconda ragione per cui uso il condizionale è legata alla prima ed è la presenza, in uno studio osservazionale di questo tipo, di un gran numero di fattori di confondimento che potrebbero influenzare l’interpretazione dei risultati. Per esempio, il maggiore uso dello smartphone potrebbe essere collegato a professioni più stressanti o usuranti o a relazioni familiari o affettive complicate, e questi fattori – non l’uso del telefono – potrebbero essere all’origine di un aumento dei valori della pressione. Di questi limiti metodologici sono consapevoli anche gli autori, che hanno infatti concluso il loro articolo sottolineando come i dati raccolti non possano portare a conclusioni ma debbano essere considerati solo come un punto di partenza di ricerche più rigorose.

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Autore Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Luca De Fiore è stato presidente della Associazione Alessandro Liberati – Network italiano Cochrane, rete internazionale di ricercatori che lavora alla produzione di revisioni sistematiche e di sintesi della letteratura scientifica, utili per prendere decisioni cliniche e di politica sanitaria (www.associali.it). È direttore del Pensiero Scientifico Editore. Dirige la rivista mensile Recenti progressi in medicina, indicizzata su Medline, Scopus, Embase, e svolge attività di revisore per il BMJ sui temi di suo maggiore interesse: conflitti di interesse, frode e cattiva condotta nel campo della comunicazione scientifica. Non ha incarichi di consulenza né di collaborazione – né retribuita né a titolo volontario – con industrie farmaceutiche o alimentari, di dispositivi medici, produttrici di vaccini, compagnie assicurative o istituti bancari.
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