Si può capire dal sangue l’etnia di una persona?

13 Maggio 2022 di Roberta Villa

Si può capire dal sangue l’etnia di una persona?A cavallo tra il tardo Mesolitico e l’alba del Neolitico, in Danimarca, qualcuno davanti a un fuoco stringeva tra i denti il catrame ottenuto scaldando resina di betulla, forse per modellarlo o attribuendogli capacità medicinali. Quasi 6.000 anni dopo, grazie alla genetica, un pezzetto di quel materiale segnato da un’impronta di denti ha raccontato agli archeologi che a masticarlo era stata una donna. Dall’esame del DNA rimasto intrappolato con i resti di saliva in quel che sembra un sassolino nero, gli esperti hanno poi potuto trarre moltissime altre informazioni oltre al sesso dell’antenata, arrivando a ipotizzare che molto probabilmente avesse gli occhi azzurri, come gran parte delle popolazioni scandinave di oggi. Capelli e pelle erano invece probabilmente scuri, segno che non si era ancora verificato l’adattamento alla scarsa irradiazione solare di quelle latitudini, che ha portato millenni dopo ad avere al nord soprattutto capelli biondi e pelli chiare [1].

Dottore, come è stato possibile arrivare a queste conclusioni?

Si può capire dal sangue l’etnia di una persona?Siamo abituati a pensare che nel DNA siano scritte tutte le caratteristiche di ogni individuo: in parte è vero ma in parte no, perché moltissimi fattori ambientali contribuiscono a determinare ciò che siamo e come ci comportiamo. Tutte le nostre caratteristiche più importanti, dalla predisposizione al cancro o alle malattie cardiocircolatorie, al girovita, ai tratti della personalità, dipendono in buona parte, e alcune volte in gran parte, da fattori ambientali, e dall’interazione di questi fattori con i geni. E comunque non siamo ancora in grado di leggere le nostre caratteristiche nel DNA al punto di riprodurre in maniera affidabile l’identikit della persona a cui appartiene il materiale genetico prelevato da una goccia di sangue.

Il colore di pelle, occhi e capelli dipende infatti dall’interazione tra moltissimi geni che determinano la quantità e il tipo di pigmenti prodotti dalle cellule specializzate per quest’uso presenti nella pelle (melanociti) e nei bulbi piliferi [2]. Negli ultimi anni, diversi studi hanno passato al setaccio enormi banche dati di soggetti provenienti da diverse parti del mondo, trovando una correlazione tra alcune varianti genetiche, in particolari punti del DNA (SNP), e il colore di occhi, pelle e capelli [2]. Sulla base di queste informazioni è stato messo a punto un sistema basato su metodi dell’intelligenza artificiale, chiamato HIrisPlex-S, che dal materiale genetico riesce a dedurre con una certa approssimazione quali siano le probabilità che il soggetto abbia colori scuri o chiari [3]. Il metodo, messo a punto a scopo di medicina forense, come si è visto si rivela utile anche in paleoantropologia, ma, pur indirizzando verso un aspetto o l’altro, non permette di identificare la razza di un individuo. Perché? Perché la specie umana, dal punto di vista strettamente biologico, al di là di qualunque considerazione etica o culturale, non si divide in razze [4].

Dottore, mi sta dicendo che le razze non esistono?

Si può capire dal sangue l’etnia di una persona?Qualcuno si ribella all’idea che le razze umane non esistano. Tutti pensano di saper riconoscere un norvegese da un senegalese, e che quindi sia “ovvio” definire un individuo come “caucasico”, “africano” o “asiatico” [5]. In realtà non è così. Determinare con certezza, solo guardandolo, l’etnia o l’origine geografica di un individuo è spesso difficile, o talvolta impossibile, anche avendo di fronte persone provenienti da diverse parti del mondo: molti nativi sudamericani hanno tratti simili a quelli di chi ha avuto origine nel sud-est asiatico e non tutti saprebbero distinguere un indigeno australiano da un africano. Viceversa, tra le persone che “a occhio” riconosciamo come chiaramente africane, ci sono enormi differenze, talvolta maggiori di quelle che separano qualunque africano da un europeo.

Per questo la scienza oggi afferma che le razze umane non esistono, ma sono solo un costrutto culturale, un tentativo dell’Europa colonialista di catalogare tutto ciò che era “diverso da sé”. Decine di studiosi hanno tentato di redigere un inventario delle “razze” umane, usando, oltre ai colori, altre caratteristiche antropometriche, dalla forma del naso alla struttura corporea. Le conclusioni a cui giungevano, tuttavia, venivano puntualmente smentite da chi li seguiva, trovando nuove particolarità e sottogruppi. La variabilità individuale infatti sfugge, anche a livello morfologico, a qualunque tentativo di essere imbrigliata in categorie, a meno di considerarne tante quanti sono gli individui mai comparsi sulla Terra. Tutta l’umanità deriva da un primo nucleo proveniente, a più ondate, dal continente africano. Successive migrazioni e intrecci di popolazione rendono impossibile identificare un numero definito di “razze” accomunate da tratti morfologici comuni [6].  È vero, infatti, che all’interno dell’umanità siamo tutti diversi, e che alcuni tratti (per esempio i capelli ricci) sono più frequenti in Africa che in Giappone, o che, per assorbire la maggior quantità possibile di vitamina D nelle poche ore di sole disponibile, le popolazioni nordiche tendono ad avere la pelle più chiara di quelle meridionali. Ma poi arrivano gli Eschimesi a mandare all’aria anche questo schema.

Che cosa ci dice la genetica?

Alcune combinazioni del DNA si trasmettono e possono essere ricorrenti in una determinata famiglia o in certe aree del mondo, ma non caratterizzano in maniera univoca quella che chiamiamo “etnia”, individuabile su base culturale, più che biologica.

Si può capire dal sangue l’etnia di una persona?Lo studio della genetica ha infatti permesso di confermare che la grande variabilità umana si declina in un continuum che non riguarda soltanto le caratteristiche esteriori più eclatanti. “Solo il 25% del genoma umano cambia da un individuo all’altro”, spiega Guido Barbujani, genetista dell’Università di Ferrara, “ed è noto che alcune di queste varianti si trovano più frequentemente in alcune popolazioni o famiglie. Ma si parla sempre in termini di probabilità, non di certezza”. I geni legati al cromosoma Y, per esempio, derivano dal padre, che a sua volta li ha ricevuti dal proprio padre, e via così, seguendo la linea dei nonni paterni. Lo stesso può valere per il DNA contenuto nei mitocondri, che arrivano solo dalla madre. Ma poi ci sono tutti gli altri geni, rimescolati tra loro ogni volta che si produce un ovocita o uno spermatozoo, dal cui successivo incontro avrà origine un nuovo individuo.

“Alcune singole mutazioni nel DNA sono responsabili di malattie genetiche ereditarie”, prosegue Barbujani, “le quali possono essere più frequenti in popolazioni che per molti secoli hanno avuto pochi contatti con l’esterno, per barriere geografiche o culturali. La malattia di Tay-Sachs, per esempio, che si manifesta con diversi livelli di gravità, è sempre stata considerata tipica degli ebrei ashkenaziti, ma studi più recenti hanno scoperto che la sua frequenza è superiore alla norma anche tra gli irlandesi” [7,8].

E allora perché fare i test del DNA per individuare le proprie origini?

Si può capire dal sangue l’etnia di una persona?Anche i test disponibili online che assegnano a chiunque lo chieda la provenienza in percentuali del proprio materiale genetico non hanno molto senso. “Si basano infatti sul confronto tra il DNA da esaminare con quello ‘medio’ ottenuto da popolazioni di riferimento” spiega il genetista. “Ma i criteri con cui queste popolazioni sono raggruppate tra loro sono del tutto arbitrari e cambiano da un test all’altro. Ciascuna azienda ha i suoi algoritmi, tenuti segreti, per cui non sono valutabili. Quel che sappiamo è che in molti casi si sono dimostrati poco riproducibili, per cui la stessa persona o gemelli identici hanno ricevuto da diversi fornitori di test risultati diversi” [9,10].

“Io appartengo all’unica razza che conosco, quella umana”. La frase, attribuita ad Albert Einstein, si basava probabilmente su criteri etici e di valore, che già ai tempi in cui fu pronunciata non consentivano di affermare la superiorità degli uni sugli altri, indipendentemente dall’aspetto esteriore, dalla cultura o dalla religione. Ma la scienza è andata oltre: la razza umana è l’unica di cui abbia senso parlare perché né in base ai tratti esteriori, né in base all’analisi dei geni, è possibile determinare obiettivamente gruppi a cui l’uno o l’altro debba inequivocabilmente appartenere. I RIS potranno quindi risalire da una goccia di sangue ai colori di chi quella goccia ha versato, ma senza poter affermare con certezza che quei capelli neri siano di un europeo, di un indiano, di un africano o di un nativo americano. Altri elementi genetici possono essere più comuni in Africa che in Europa, o essere tipici di certe parti dell’Asia, ma senza mai poter escludere che la persona in questione venga da altrove. Nei geni per le emoglobine ci sono varianti tipiche della Sardegna o del delta del Po, ma sono varianti patologiche e rare. Chi, in queste popolazioni, porta la variante più comune può averla ricevuta da antenati che sono vissuti ovunque.

Insomma, un giorno impareremo a leggere più agevolmente tutto quel che c’è scritto nel nostro DNA. Ma ciò non basterà a fargli dire quel che non c’è.

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Medicina

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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