Il Festival di Sanremo è ogni anno un appuntamento fisso per milioni di telespettatori italiani. All’indomani della prima, attesa serata non poche persone sono rimaste sorprese per il numero di canzoni i cui testi hanno parlato o direttamente toccato argomenti riguardanti la salute. Un’edizione, questa, che mette la salute al centro, anche con la testimonianza diretta di chi sta vivendo una patologia importante.
Dottore, è una novità che la musica affronti il tema della salute o della malattia?
Assolutamente no, anche se canzoni che trattano esplicitamente la malattia sono sempre più rare nella musica contemporanea. Mentre in passato i cantautori affrontavano senza esitazione i dettagli fisici e psicologici legati ai sintomi, oggi la malattia viene spesso usata soprattutto come metafora per esplorare temi più ampi. Ecco che malesseri fisici e disturbi diventano il simbolo di ferite emotive, di relazioni tormentate, di delusioni amorose o di disagi esistenziali. Ma alcune eccezioni non mancano, anche in questo Festival.
Questa edizione di Sanremo è stata un po’ una sorpresa da questo punto di vista?
Certamente. Esistono molti artisti capaci di raccontare la malattia con autenticità e dettaglio, pur mantenendo uno sguardo ampio e simbolico. Queste opere diventano preziose testimonianze che, senza nascondere il dolore, ci invitano a riflettere sulla nostra fragilità e sul rapporto tra corpo, mente e società.
Consideriamo però che nel corso della storia del Festival di Sanremo ci sono state occasioni in cui la salute, attraverso disparate sfumature, è stata protagonista. Nel 2020, Amadeus presentò il brano del giovane Cristian Pintus, “Io sono Paolo”, scritto dal musicista Paolo Palumbo, un ragazzo colpito dalla sclerosi laterale amiotrofica. La canzone racconta proprio la sua esperienza con la malattia. Fu un momento di grande intensità emotiva, che trasmise un forte messaggio a tutte le persone che vivono questa condizione o affrontano altre patologie che rendono difficile la vita di ogni giorno.
Un altro caso eclatante risale a un’edizione meno recente, quella del 2007, quando Simone Cristicchi vinse il Festival con il brano “Ti regalerò una rosa”. I problemi psichiatrici erano al centro di questo testo, che consiste in una lunga lettera che un uomo scrive da un ospedale psichiatrico alla sua amata, anche lei un tempo ospite della struttura. “Le difficoltà di coltivare l’amore in queste situazioni, il trattamento disumano riservato da sempre alle persone che soffrono di problemi psichiatrici si intrecciano in una canzone bellissima e coraggiosa, giustamente premiata” [1].
La sofferenza psichica, del resto, è un tema ricorrente. Sempre al Festival di Sanremo, nel 2023 ne hanno parlato “Supereroi” di Mr. Rain e “Vivo” di Levante, quest’ultimo dedicato in particolare alla sua esperienza con la depressione post partum. Ed è un bene, anche se occorre sempre molta prudenza nel parlare di certi argomenti [2]. Anche quest’anno se ne parla con Fedez e il suo brano “Battiti”, in cui il rapper, raccontando la sua esperienza personale, ha messo in luce una realtà con cui molti possono identificarsi: la solitudine interiore che spesso accompagna chi soffre di depressione.
Dottore, prima ha citato Simone Cristicchi: anche quest’anno ha portato al Festival una canzone che parla di malattia?
Il brano “Quando sarai piccola” affronta il tema dell’amore tra genitori e figli con grande delicatezza. La mamma, infatti, è stata colpita da un’emorragia cerebrale che ha avuto non poche conseguenze. E l’opera di Cristicchi ha avuto il sostegno del presidente della Società italiana di Neurologia, Alessandro Padovani, che ha dichiarato che la canzone “è un inno all’amore, quell’amore che unisce oltre la malattia e che nella malattia trova il suo senso più vero. Il brano del cantautore romano ha il merito di portare alla ribalta tutti coloro che si dedicano ogni giorno a chi soffre, a quelli che si ammalano, e soprattutto a chi perde la salute del cervello” [3]. Salute del cervello che, come la salute mentale, è stato altre volte protagonista di alcune canzoni, tra cui quella di Elvis Costello, ispirata alla malattia di Alzheimer di sua nonna, scritta insieme a Paul McCartney.
Comunque, è interessante seguire il Festival, indubbiamente un’occasione di svago e spensieratezza, facendosi raggiungere anche da piccole o grandi sollecitazioni a riflettere su questioni gravi, che destano preoccupazione, come appunto la malattia: e questo non avviene soltanto ascoltando i testi di alcune canzoni.
A cosa si riferisce, Dottore?
Mi riferisco al fatto che certe riflessioni emergono in superficie anche semplicemente scoprendo alcuni ospiti del Festival, che hanno avuto la propria vita drammaticamente segnata da episodi di malattia, come nel caso di Bianca Balti, operata per un tumore all’ovaio lo scorso autunno, che però ha tenuto a sottolineare come la sua presenza non fosse da interpretare come quella di una persona malata di cancro: “voglio che la mia partecipazione sia un inno alla vita” [4].
“Noi diciamo sempre ai pazienti, quando iniziano un percorso di terapia, che il nostro desiderio è che possano fare una vita il più possibile normale, e che questa per noi è una grande soddisfazione”, ha detto a Dottore ma è vero che Massimo Di Maio, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica. “Ovviamente in certi casi le storie cliniche sono complesse e i percorsi più difficili, ma un personaggio pubblico che si espone mentre vive una vita normale o quasi normale dimostra che si tratta di un obiettivo in molti casi realizzabile”.
Di patologia oncologica – anche se più precisamente di prevenzione – parlerà anche il ministro della Salute Orazio Schillaci proprio oggi, giovedì 13 febbraio, partecipando al talk show “La prevenzione in dieci note”, organizzato a Casa Sanremo dal dicastero in collaborazione con la Rai e la direzione artistica del Festival. E nella serata finale è prevista la partecipazione di Edoardo Bove, il giovane calciatore attualmente in forza alla Fiorentina, che ha dovuto di recente interrompere l’attività sportiva per un arresto cardiaco durante un incontro di calcio. C’è poi un’altra grande frontiera, quella della disabilità.
Artisti in condizione di disabilità hanno partecipato al Festival?
C’è una lunga storia, a questo proposito. Uno dei momenti più significativi fu la presenza del grande cantante statunitense non vedente Stevie Wonder nel 1969, in coppia con Gabriella Ferri, che interpretò la canzone “Se tu ragazzo mio”. Solo due anni dopo, José Feliciano, artista portoricano, arrivò secondo con la canzone “Che sarà”, insieme ai Ricchi e Poveri. Venti anni dopo – era il 1991 – il cantautore Pierangelo Bertoli – da bambino colpito dalla poliomielite – arrivò quinto con il brano “Spunta la luna dal monte”, suscitando una forte ondata di emozione nel pubblico. Anche il 1994 è stato un anno chiave, con la presenza di Aleandro Baldi con “Passerà”, prima classificata nella classifica generale, e di Andrea Bocelli con “Il mare calmo della sera”, canzone vincitrice per le nuove proposte.
Per questo, sono state importanti le parole del vicepresidente della Camera dei Deputati, Sergio Costa, che lo scorso autunno – intervenendo da Montecitorio durante la conferenza “Entusiasmabilità, musica e inclusione” – manifestò il desiderio “che il palco del Festival di Sanremo 2025 diventasse un simbolo di inclusione, offrendo spazio ad artisti con disabilità, selezionati non per suscitare compassione, ma per il loro talento e le loro qualità artistiche” [5]. Alla fine nessun cantante con disabilità è in gara nel concorso canoro. Tuttavia, come avvenuto in precedenti edizioni, la disabilità verrà trattata come tema sociale durante la terza serata del festival, giovedì 13 febbraio. Sul palco dell’Ariston salirà il Teatro Patologico, fondato dall’attore e regista Dario D’Ambrosi. Come sottolineato dal comunicato Rai, “il Teatro Patologico rappresenta una vera rivoluzione culturale, un simbolo di inclusione capace di abbattere le barriere della società e della cultura tradizionale. D’Ambrosi ha saputo trasformare la disabilità, spesso considerata un limite, in una risorsa che arricchisce e rinnova il linguaggio teatrale” [6].
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