Il rumore fa male solo all’udito?

17 Novembre 2023 di Roberta Villa

L’inquinamento acustico purtroppo riceve meno attenzione rispetto a quello atmosferico o delle acque, mentre meriterebbe di essere considerato un altro importante caposaldo della prevenzione in sanità pubblica. L’esposizione cronica a un rumore di intensità, frequenza e durata tali da danneggiare l’udito può provocare infatti anche altre conseguenze sulla salute: alcune dipendono a loro volta dal danno uditivo, altre si sviluppano in maniera indipendente, anche senza che questo si sia manifestato.

Il rumore può provocare nel tempo una perdita parziale o totale dell’udito (rispettivamente, ipoacusia o sordità) danneggiando le cellule che ricevono e trasportano lo stimolo sonoro. Si parla in questo caso di ipoacusia o sordità di tipo neurosensoriale, di solito irreversibile, che determina un grado variabile di disabilità e può compromettere, specialmente nell’anziano, la capacità di interagire con gli altri, favorendo l’isolamento, il declino cognitivo e la comparsa di sintomi depressivi. Al calo dell’udito si accompagnano spesso acufeni, cioè fischi o ronzii nell’orecchio, intermittenti o continui, che contribuiscono a peggiorare la qualità della vita.

Nei più giovani, poi, anche lievi perdite di udito possono avere effetti importanti sul linguaggio e la comunicazione, l’apprendimento in classe e lo sviluppo sociale [1,3].

Dottore, l’inquinamento acustico danneggia anche il cuore?

Vivere in un ambiente rumoroso può fare male, indipendentemente dal danno all’udito. Prima di tutto, infatti, se nemmeno durante la notte c’è silenzio (ne abbiamo parlato nella scheda “Luci e rumori in città stanno alterando il nostro sonno?”), si possono ridurre la durata e la qualità del sonno, con importanti ricadute sul rendimento quotidiano e la salute in generale, ma soprattutto quella del cuore. Esiste infatti una ricca letteratura scientifica a supporto di quanto influisca sul benessere del sistema cardiovascolare dormire bene e per un adeguato numero di ore [4].

Dopo i disturbi del sonno, la reazione più frequente all’esposizione cronica al rumore è la frustrazione che deriva dal disturbo alle proprie attività quotidiane, dalla rabbia nei confronti dell’origine di questo rumore e dalla consapevolezza di non poter far nulla per evitarlo. Tutto questo si aggiunge all’azione diretta del rumore nel favorire la produzione di una quantità superiore alla norma di cortisolo, l’ormone dello stress, che permette di reagire meglio a situazioni immediate di pericolo, ma col tempo potrebbe facilitare la comparsa di ipertensione.

Sono stati quindi condotti centinaia di studi per verificare se chi abita o lavora in un ambiente più rumoroso ha un maggior rischio di malattie di cuore, ma, a dire la verità, è spesso difficile isolare il ruolo del rumore rispetto ad altri fattori ambientali concomitanti, per esempio i gas di scarico delle auto o le sostanze usate nell’industria. I dati più convincenti sembrano riguardare il legame tra la residenza in un’area ad alto traffico e il rischio di malattie delle coronarie e infarto. Meno solidi, ma meritevoli di ulteriori approfondimenti, quelli che suggeriscono un possibile aumento del rischio di ictus, diabete e obesità [5].

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Anche ascoltare la musica ad alto volume può fare male?

Concerto Il rumore non fa male solo all’uditoL’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che circa la metà dei giovani tra 12 e 35 anni nel mondo sono esposti a livelli sonori pericolosi per il loro udito tramite l’uso dei dispositivi individuali e il 40% circa nei luoghi di ritrovo e intrattenimento. Per approfondire l’argomento potete leggere la nostra scheda “La musica troppo alta in cuffia rende sordi?”.

Per le orecchie, una discoteca non è diversa da un’officina. La differenza tra “suono” e “rumore” è infatti solo soggettiva. Dal punto di vista fisico si tratta sempre della percezione sensoriale scatenata da onde sonore di diversa lunghezza e frequenza, che a livello individuale possiamo gradire o no; il rock heavy metal, che qualcuno può aver piacere di ascoltare per ore al massimo volume in cuffia, non sarebbe altrettanto apprezzato da molti altri. Ma, a parità di decibel, i danni che questa abitudine può fare all’organismo sono gli stessi, che si tratti di musica classica o del macchinario di una fabbrica.

Dottore, i bambini e gli adolescenti rischiano di più?

Dal momento che la maggior parte dei danni provocati dal rumore si esprime in seguito a una lunga esposizione nel tempo, prima si inizia più precoci e gravi possono esserne le conseguenze. Per questo preoccupa che sia in calo l’età a cui si comincia a fare uso di dispositivi per l’ascolto individuale della musica, senza un adeguato controllo del suo volume.

Nei bambini, comunque, è più facile che il rumore provenga dall’ambiente, in casa come a scuola. La mancanza di silenzio rende più difficoltosi i compiti in cui occorre memorizzare o richiamare alla memoria e quando il rumore è forte produce effetti sulle funzioni cognitive (oltre alla memoria, anche attenzione e tempi di reazione) che durano anche dopo che è tornato il silenzio. In un ambiente rumoroso è più difficile comprendere quel che spiega l’insegnante o che dice il compagno, e tutto ciò inevitabilmente si riflette sull’apprendimento.

Per questo, raccomanda l’American Academy of Pediatrics, già dai primi mesi e anni di vita è importante avere riguardo per i più piccoli, per esempio evitando di tenere accesa la televisione in sottofondo, quando non la si guarda, e cercando di evitare giochi e ambienti troppo rumorosi, come se si trattasse di proteggerli da una sostanza potenzialmente tossica [6].

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Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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