La risposta immunitaria al vaccino è sempre uguale?

12 Aprile 2021 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Prima di tutto è importante ricordare che la risposta immunitaria al vaccino contro Covid-19 “può essere acquisita in modo naturale e attivo (quando, cioè, il sistema immunitario conserva il ricordo di malattie già avute, detta immunità acquisita naturale attiva), in modo naturale ma passivo (dovuta, ad esempio, ad anticorpi preformati di origine materna, detta anche immunità acquisita naturale passiva o immunità del neonato), in modo artificiale (mediante la somministrazione di vaccini e sieri, detta anche immunità acquisita artificiale)” [1].

La risposta immunitaria è l’insieme delle risposte attivate dal sistema immunitario verso i microrganismi patogeni

Dottore, cosa succede al mio organismo dopo la vaccinazione?

I vaccini che abbiamo in questo momento prevedono prevalentemente due dosi.

Dopo la prima dose “si osserva generalmente una buona risposta immunitaria che si attiva entro circa due settimane dalla prima dose” spiega Katherine O’Brien sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [2].
La seconda dose accresce la risposta immunitaria, e lo fa in un periodo di tempo più breve rispetto alla prima dose.

“Non sappiamo ancora quanto dura l’immunità indotta dai vaccini che abbiamo a portata di mano in questo momento. Stiamo seguendo le persone che hanno ricevuto vaccinazioni per scoprire se la loro risposta immunitaria dura nel tempo e per quanto tempo sono protette dalle malattie. Quindi dovremo davvero aspettare che passi del tempo per vedere la durata della protezione indotta da questi vaccini”.

La risposta immunitaria alla vaccinazione è uguale per tutti?

La risposta immunitaria al vaccino non è sempre uguale: fiale di vaccinoProbabilmente no, perché può essere influenzata da diversi fattori. Sappiamo per esempio che le persone che soffrono di una forma di cancro, o di malattie infiammatorie, o di malattie del rene o del fegato, o che stanno subendo un trapianto di cellule staminali possono essere maggiormente a rischio di complicanze gravi in seguito all’infezione da SARS-CoV-2.

L’introduzione dei vaccini è quindi particolarmente apprezzata per questi gruppi di persone più vulnerabili. Però, come spiega l’Imperial College di Londra – un istituto di ricerca molto autorevole – “queste condizioni e le terapie che tali pazienti ricevono come parte della cura, possono indebolire il sistema immunitario. Le prove di cui disponiamo mostrano che le persone con queste patologie potrebbero non ottenere una protezione ottimale da alcuni vaccini” [3].

Fino ad oggi i pazienti con significative malattie concomitanti sono stati generalmente esclusi dagli studi sui vaccini per Covid-19, per cui è venuto il momento di valutare la risposta di questi pazienti.

Con questo obiettivo, l’Imperial College ha deciso di collaborare allo studio OCTAVE che valuterà l’efficacia dei vaccini contro Covid-19 utilizzati nel Regno Unito nel 2021, arruolando un massimo di 5.000 persone all’interno di popolazioni di pazienti vulnerabili. Utilizzando diversi test immunitari all’avanguardia eseguiti su campioni di sangue prelevati prima e/o dopo la vaccinazione, i ricercatori determineranno la risposta immunitaria dei pazienti e quindi la probabilità che i vaccini proteggano completamente questi gruppi dall’infezione da SARS-CoV-2. I ricercatori hanno iniziato a selezionare pazienti nel Regno Unito e confronteranno i risultati del gruppo di studio con gruppi di controllo di persone sane, che non soffrono di alcuna di queste malattie sottostanti, e che hanno ugualmente ricevuto vaccini contro Covid-19.

A parte le persone più fragili, la risposta immunitaria può essere diversa da individuo a individuo?

Intervistato dal quotidiano statunitense Washington Post, Chunhuei Chi, direttore del Center for Global Health presso l’Oregon State University, ha affermato che “le risposte immunitarie variano da persona a persona. Le persone che hanno una risposta immunitaria più forte a un vaccino produrranno più anticorpi e linfociti T e quindi avranno un’immunità più forte. Ma attualmente non ci sono prove per dimostrare che una risposta immunitaria più forte aumenterà la durata dell’immunità” [4].

Una cosa interessante, però, sembra essere emersa a proposito delle differenze tra protezione data dal vaccino rispetto a quella garantita dalla malattia. In altre parole, la risposta immunitaria conseguente alla vaccinazione potrebbe avere delle differenze rispetto a quella successiva al contagio…

I linfociti T sono cellule del sangue che stimolano la produzione di anticorpi in grado di indurre la distruzione delle cellule batteriche o le cellule riconosciute come estranee all’organismo

Può dirmi di più, dottore?

Sembra che le persone che hanno sofferto di forme più gravi di Covid-19 abbiano sviluppato una reazione immunitaria più forte rispetto a quelle che hanno avuto forme più lievi della malattia. E poiché l’immunità indotta dal vaccino sembra essere più simile all’immunità naturale che deriva da gravi infezioni da Covid-19, si ritiene che le persone che si sottopongono alla vaccinazione contro il Coronavirus possano essere meglio protette della maggior parte delle persone con immunità naturale [4].

L’entità dei disturbi che si provano dopo la vaccinazione è indice di una maggiore o minore risposta immunitaria?

Sembra di no, a giudicare dagli studi condotti [5]. In generale, si tratta di una risposta simile a quella che proviamo quando stiamo combattendo una vera infezione: mal di testa, febbre, brividi, stanchezza (affaticamento), dolori muscolari o articolari, diarrea e sensazione di malessere. Può capitare anche di provare dolore, gonfiore, arrossamento o prurito nel sito di iniezione o gonfiore delle ghiandole (linfonodi) sotto l’ascella. È un segno che il sistema immunitario sta entrando in azione per proteggerti dall’infezione.

Dottore, la diversa risposta può influire anche sulla durata della protezione?

Quello che si può dire ad oggi è che osservando i risultati degli studi sull’immunità naturale dal coronavirus, si ritiene che l’immunità protettiva dai vaccini durerà almeno dai sei agli otto mesi [6].
E qualora l’immunità da SARS-CoV-2 finisse per essere simile a quella da altri coronavirus stagionali, come il “raffreddore comune”, è anche possibile che i vaccini possano fornire protezione fino a un anno o due prima di rendere necessario un richiamo.

Dottore, il vaccino può indurre una risposta utile anche a proteggere dalle varianti?

La risposta immunitaria al vaccino non è sempre uguale: fiale di vaccino: ricercatori in laboratorioLe persone che hanno ricevuto due dosi del vaccino Pfizer/BioNTech hanno dimostrato di avere una forte risposta dei linfociti T contro le varianti Kent e sudafricane di Covid-19, suggerendo che il vaccino continuerà a proteggere da malattie gravi nei prossimi mesi, come leggiamo nelle pagine dedicate alla medicina del quotidiano britannico The Guardian [7].

In uno studio citato nell’articolo, disegnato per valutare le risposte immunitarie contro le varianti circolanti nella popolazione, “i ricercatori hanno scoperto che sebbene le risposte anticorpali contro le nuove varianti fossero attenuate, potrebbero essere ancora abbastanza elevate da proteggere la maggior parte delle persone dall’infezione, dopo che è stata somministrata una seconda dose di vaccino” Buone notizie, insomma.

“Sebbene studi precedenti avessero suggerito che gli anticorpi di quelli vaccinati con il vaccino Pfizer/BioNTech” prosegue l’articolo, “potessero riconoscere e neutralizzare i virus portatori di alcune delle singole mutazioni trovate nelle varianti Kent e sudafricane – anche se a livelli leggermente inferiori rispetto alle varianti precedenti – questi sono stati valutati su virus ingegnerizzati piuttosto che isolati da pazienti reali”.

Anche Astrazeneca sta aggiornando i propri vaccini in modo da renderli efficaci nei confronti delle nuove varianti. Nel frattempo, Moderna ha dichiarato di essere in attesa dell’approvazione delle autorità di regolamentazione per iniziare a sperimentare una versione modificata del suo vaccino che avrà come obiettivo la variante sudafricana [8].

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Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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