Bisogna prendere antibiotici contro Covid-19?

8 Settembre 2021 di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Nei pazienti Covid-19 è necessario somministrare antibiotici“La scienza propone evidenze misurabili, dimostrabili, riproducibili. La politica ha semmai il compito di utilizzare tali dati per prendere decisioni a favore della collettività. Da qui l’invito a tutti a rispettare le verità scientifiche, come indice di progresso della nostra società” [1]. Le parole di Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri sono un punto fermo al termine di giornate difficili, nel corso delle quali alcuni piccoli gruppi di manifestanti sono tornati a sostenere l’efficacia dei cosiddetti protocolli di cura domiciliare per Covid-19, rispetto ai quali hanno preso le distanze sia il Ministero della Salute, sia l’Agenzia Italiana del Farmaco. Dal momento che le prove che derivano dagli studi clinici condotti in molti Paesi del mondo sono in continuo divenire, conviene fare il punto sulle evidenze di cui si dispone a proposito di una delle classi di farmaci della quale con maggiore forza si sostiene l’utilità nella terapia della Covid-19: gli antibiotici. Di altri due medicinali da qualcuno ritenuti “opportuni” nelle fasi iniziali del contagio – idrossiclorochina e ivermectina – abbiamo già parlato nelle schede “L’idrossiclorochina può essere usata per prevenire Covid-19?” e “L’ivermectina cura Covid-19?”.

Dottore, quanto sono utilizzati gli antibiotici nei pazienti Covid-19?

Sebbene non siano molto numerosi i pazienti ricoverati in ospedale con Covid-19 portatori di un’infezione batterica concomitante, uno studio recente ha dimostrato che un’ampia percentuale di malati trattati negli ospedali del Regno Unito ha ricevuto antibiotici che spesso non erano necessari [2].

In questo studio, i ricercatori hanno analizzato i dati di quasi 49.000 pazienti ricoverati con Covid-19 confermato o sospetto in uno qualsiasi dei 260 ospedali del Regno Unito tra febbraio e giugno 2020. È molto interessante vedere che al 37% dei pazienti era stato prescritto un antibiotico prima del ricovero e l’85% dei pazienti inclusi nell’analisi ha ricevuto un antibiotico o più antibiotici durante la degenza ospedaliera. Eppure solo 1.107 dei pazienti avevano un’infezione batterica confermata correlata a Covid-19 e la maggior parte di queste si è instaurata più di 48 ore dopo il ricovero.

Va detto che la prescrizione di antibiotici era più intensa nelle prime settimane di pandemia, probabilmente quando le informazioni sulla gestione della malattia erano ancora allo stato iniziale.

Un altro studio [3] ha rilevato che circa il 75% dei pazienti ricoverati in ospedale con Covid-19 aveva ricevuto antibiotici anche se solo l’8% aveva effettivamente una co-infezione batterica. In questo caso si tratta di una metanalisi, vale a dire uno studio capace di combinare tra loro i risultati di altre ricerche condotte con metodi e obiettivi omogenei, dando in questo modo più forza ai risultati ottenuti.

A ogni modo, per valutarne l’appropriatezza è importante distinguere il momento in cui avviene la prescrizione di antibiotici.

Perché è importante sapere quando l’antibiotico viene eventualmente prescritto?

La prescrizione di un medicinale è appropriata quando il “giusto” farmaco è prescritto al “giusto paziente” al momento “giusto”. Ragionando sull’utilità di un antibiotico nel trattamento di Covid-19, le evidenze raccolte dagli studi condotti fino ad oggi dicono che nella malattia non grave – che quindi non rende necessario il ricovero del malato – la prescrizione di un medicinale appartenente a questa classe non è, nella maggior parte dei casi, necessaria. Emanuele Nicastri, direttore della divisione di Malattie infettive ad alta intensità di cura e altamente contagiose dell’Istituto nazionale per le Malattie infettive ‘Lazzaro Spallanzani’ di Roma precisa: “Solo l’8% dei pazienti ha una condizione batterica e a casa questa percentuale è ancora più bassa”. Nicastri conferma i dati segnalati nello studio di Langford e collaboratori [3].

Se il paziente Covid-19 è ricoverato la prescrizione di un antibiotico è invece necessaria?

Avremo un futuro senza antibiotici intMolti gruppi di ricerca stanno lavorando per rispondere a questa domanda.

I risultati preliminari di uno studio svolto in alcuni ospedali della Svizzera italiana hanno mostrato che gli antibiotici somministrati precocemente non sembra abbiano un impatto significativo sulla mortalità o sulle infezioni ospedaliere successive nei pazienti critici e mettono in dubbio l’utilità del trattamento precoce di una presunta superinfezione batterica nei pazienti con Covid-19 [4].

Un altro studio svolto in diversi centri ospedalieri italiani informa che – dei pazienti inclusi nella ricerca, tutti ricoverati in terapia intensiva per polmonite da Covid-19 – oltre un terzo ha sviluppato almeno un episodio di grave infezione batterica. Il picco di incidenza dell’infezione è stato registrato tra 8 e 14 giorni dopo il ricovero in terapia intensiva. Nei pazienti critici con infezione da Covid-19 l’incidenza di infezioni batteriche è elevata e associata a esiti peggiori [5]. Le conclusioni a cui arriva lo studio suggeriscono la regolare sorveglianza microbiologica e rigorose misure di controllo delle infezioni. Non necessariamente una prescrizione, che sarà valutata caso per caso dai medici che seguono il paziente.

Cosa induce il medico a prescrivere un antibiotico a un paziente Covid-19?

È stato condotto uno studio al riguardo da medici di una Unità di Malattie infettive della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia [6]. Lo studio ha consistito in un’indagine rivolta a oltre 600 medici e più di 400 hanno risposto.

“I nostri dati – spiega il direttore dell’Unità operativa, Raffaele Bruno – mostrano che la prescrizione di antibiotici nei pazienti Covid-19 è guidata dalla compresenza di altre patologie, dall’isolamento di determinati batteri, dalla valutazione dei livelli di procalcitonina, dalla radiografia del torace e dell’ecografia, dal peggioramento della malattia o dal ricovero in terapia intensiva [6]. Inoltre, abbiamo visto che nella maggior parte delle occasioni gli specialisti in Malattie infettive tendono a non prescrivere gli antibiotici, essendo ben consapevoli dell’emergere del problema della resistenza. Ancora, abbiamo ulteriormente approfondito la valutazione per capire se il peso attribuito a ciascuna variabile potrebbe variare a seconda dell’esperienza lavorativa e abbiamo scoperto che gli specialisti di Malattie infettive più giovani tendono a non prescrivere antibiotici in pazienti maschi, in pazienti diabetici e in pazienti obesi”.

Le infezioni secondarie che si verificano dopo il ricovero raramente sono specifiche dell’infezione da Covid-19, ed è probabile siano da considerare simili alle infezioni che tipicamente si osservano nelle unità di terapia intensiva. I medici e il personale sanitario impegnato nelle Unità Covid-19 e di Terapia intensiva sono consapevoli dell’importanza di monitorare in modo attento e intelligente i pazienti ospedalizzati nei quali la suscettibilità alle infezioni batteriche può essere maggiore.

A quali conclusioni possiamo giungere?

In linea di massima occorre prudenza, come conferma una sintetica ma utile panoramica pubblicata sulla rivista dei medici statunitensi [7]. “Le condizioni di alcuni pazienti Covid-19 richiederanno la prescrizione di antibiotici, principalmente per infezioni secondarie che si sviluppano dopo il ricovero in ospedale, ma i nostri dati mostrano che non a tutti i pazienti Covid-19 dovrebbero essere prescritti antibiotici”, precisa Antonia Ho, docente di Malattie infettive presso il Medical Research Council, in un documento pubblicato dalla università di Glasgow, in Scozia [8].

Sicuramente, l’ansia e l’incertezza che circondano la pandemia e l’assenza di trattamenti antivirali di comprovata efficacia probabilmente “contribuiscono alla diffusa ed eccessiva prescrizione di antibiotici” scrivono gli autori di una nota di commento uscita su un’importante rivista internazionale [8]. “Ma il problema della resistenza agli antibiotici è talmente grave che anche in un periodo critico come quello che stiamo attraversando per l’emergenza pandemica dovrebbe essere evitata qualsiasi inappropriatezza nella prescrizione di antibiotici” [9].

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Autore Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Luca De Fiore è stato presidente della Associazione Alessandro Liberati – Network italiano Cochrane, rete internazionale di ricercatori che lavora alla produzione di revisioni sistematiche e di sintesi della letteratura scientifica, utili per prendere decisioni cliniche e di politica sanitaria (www.associali.it). È direttore del Pensiero Scientifico Editore. Dirige la rivista mensile Recenti progressi in medicina, indicizzata su Medline, Scopus, Embase, e svolge attività di revisore per il BMJ sui temi di suo maggiore interesse: conflitti di interesse, frode e cattiva condotta nel campo della comunicazione scientifica. Non ha incarichi di consulenza né di collaborazione – né retribuita né a titolo volontario – con industrie farmaceutiche o alimentari, di dispositivi medici, produttrici di vaccini, compagnie assicurative o istituti bancari.
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