In molti casi la diagnosi di diabete di tipo 2 è preceduta da quella di “prediabete”, una condizione caratterizzata da livelli di glucosio nel sangue superiori al normale, ma non così elevati da indicare un diabete conclamato. Diversi studi hanno dimostrato che modificare il proprio stile di vita, per esempio praticando più esercizio fisico, già in questa fase può riportare la glicemia a livelli normali, evitando una delle patologie croniche più diffuse. Ma qual è la probabilità che un adulto con una diagnosi di prediabete in futuro si ammali di diabete?
Dottore, cos’è esattamente il prediabete?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito il prediabete come uno stato di “iperglicemia intermedia” fra il diabete conclamato e la condizione di normoglicemia [1].
La comunità medico-scientifica considera normali le concentrazioni di glucosio nel sangue inferiori a 110 mg/dL a digiuno, e utilizza come criterio per la diagnosi di diabete valori glicemici superiori a 126 mg/dL.
Ma come comportarsi se i valori rilevati cadono nell’intervallo compreso fra questi due estremi? In questo caso la glicemia non risulta sufficientemente elevata da indicare la presenza della malattia, ma nemmeno così bassa da escludere uno squilibrio nel metabolismo del glucosio che, in futuro, potrebbe dare luogo a un diabete conclamato. L’iperglicemia a digiuno è infatti uno dei criteri utilizzati per diagnosticare il prediabete (ne avevamo parlato anche nella nostra scheda “Il prediabete è una malattia?”).
Se ho il prediabete, prima o poi avrò anche il diabete?
Stando a un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet nel 2012, ogni anno solo in una piccola minoranza (5-10%) di pazienti prediabetici l’iperglicemia intermedia evolve in diabete, ma con simili percentuali può anche regredire a normoglicemia [2]. Nella maggior parte dei casi ricevere una diagnosi di prediabete non implica affatto che in futuro ci si ammalerà di diabete (questa è anche una delle principali argomentazioni sostenute da chi si oppone all’utilizzo del termine “prediabete”).
Ciononostante è stata avanzata l’ipotesi che esista un collegamento fra questa condizione e le gravi complicazioni del diabete. Come ha confermato di recente uno studio firmato da un team internazionale di ricercatori, il prediabete può provocare il danneggiamento delle arterie coronariche (i vasi sanguigni che irrorano il cuore) [3], aumentando il rischio di infarto e di altre malattie cardiovascolari. “La conseguenza più importante di questa scoperta”, scrivono i ricercatori su Nature Communications, “è che gli interventi mirati a prevenire le cardiopatie collegate al diabete potrebbero risultare più efficaci se avviati prima dell’insorgenza del diabete”.
È possibile prevenire il diabete curando il prediabete?
È un’ipotesi in discussione. Da una parte, alcuni dati sembrano dimostrare che tenere sotto controllo l’iperglicemia – con l’impiego di farmaci o attraverso uno stile di vita più sano – sin dalla fase di prediabete contribuisca a ritardare o addirittura prevenire l’insorgenza del diabete di tipo 2. In particolare, i risultati di un ampio studio di follow-up statunitense (il Diabetes Prevention Program Outcomes Study [4]) hanno rivelato che le persone con prediabete tornate a una condizione di normoglicemia avevano dimezzato il rischio di ammalarsi di diabete [5]. Rischio che, al contrario, rimaneva sorprendentemente elevato in coloro che risultavano ancora prediabetici. Questi dati, sottolineavano i ricercatori, erano la prova che intervenire precocemente e in maniera drastica controllando il prediabete poteva rivelarsi efficace nella prevenzione del diabete a lungo termine.
Tuttavia, secondo una rassegna pubblicata sul World Journal of Diabetes nel 2015, i dati provenienti dal Diabetes Prevention Program Outcomes Study, così come quelli ottenuti da altri studi che hanno cercato di misurare l’incidenza del diabete nei prediabetici, restituiscono percentuali diverse a seconda non solo dei criteri utilizzati per definire il prediabete, ma anche in base alle caratteristiche della popolazione di volta in volta analizzata [6]. La rassegna si concludeva evidenziando la necessità di una valutazione sistematica sia delle conseguenze del prediabete sulla salute sia degli eventuali benefici derivanti da un suo precoce trattamento.
Dottore, quindi sapere di essere prediabetici potrebbe non sempre essere utile?
Alcuni ricercatori hanno suggerito che la diagnosi di prediabete potrebbe avere una rilevanza clinica solo fino a una certa età. Come dimostra uno studio appena pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine, nelle persone più anziane il rischio che il prediabete progredisca in diabete conclamato è estremamente basso [7]. Anche se per queste persone è molto frequente, per via dell’età avanzata, avere valori glicemici lievemente alterati, i ricercatori hanno osservato che solo una piccolissima percentuale (3%) di persone di oltre 75 anni al momento della diagnosi si ammalava di diabete nei cinque anni successivi: nella maggior parte (71%) di queste persone la glicemia si stabilizzava su valori normali e una percentuale relativamente alta (19%) non faceva in tempo a presentarsi al monitoraggio successivo perché nel frattempo era deceduta. Di conseguenza, in questa categoria di pazienti sarebbe necessario riconoscere che il trattamento del prediabete non ha la stessa priorità di quello da mettere in atto per altre patologie, che magari sono già presenti al momento della diagnosi di prediabete, ed evitare di considerarlo un fattore di rischio come altri.
Se è senz’altro utile intervenire nel paziente che sa di essere prediabetico già a 55-60 anni e che ha quindi una speranza di vita ancora lunga, discutendo e implementando il trattamento migliore per scongiurare il rischio di diabete, nel paziente molto anziano sarebbe più opportuno discutere prima l’eventualità che il prediabete influisca davvero sulla qualità della vita del paziente e sul rischio di morire a seguito delle complicanze di un eventuale diabete, e poi decidere se vale la pena intervenire [8].
Dottore, ma quindi cosa mi consiglia di fare?
L’indicazione più utile da tenere in considerazione è che, se hai tra i 55 ed i 60 anni e i valori della glicemia iniziano a presentare delle alterazioni, è il caso di parlarne con il tuo medico di medicina generale per individuare la migliore strategia per il tuo caso.
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