Nell’ultimo periodo tra i contagiati dal virus SARS-CoV-2 c’è chi si è accorto di una stranezza rispetto ai primi anni di pandemia: si manifestano sintomi compatibili con quelli di Covid-19 ma il tampone risulta negativo (soprattutto quello antigenico), per diventare positivo solo quando i sintomi si sono affievoliti o quando addirittura sono del tutto scomparsi. Uno scarto temporale, questo, che rischia di incrinare ulteriormente il già fragile sistema di contenimento dei contagi e che anche per questo ha attirato l’attenzione della comunità scientifica.
Dottore, quanto è frequente che il tampone sia negativo anche in presenza di sintomi?
È difficile stimare quanti casi riguardi, e quali persone siano più a rischio, soprattutto perché sempre meno ci si sottopone ai test ufficiali che vengono poi tracciati dalle autorità sanitarie, ritenendo più pratici i tamponi fai-da-te da effettuare a casa. Aggiungiamo anche che molte persone potrebbero essere asintomatiche e quindi non accorgersi mai di aver contratto la malattia.
Dottore, quali potrebbero essere le cause?
Che questo ritardo sia reale e non solo una suggestione sembra ormai certo, ma allo stesso tempo restano parecchie incertezze sulle cause. Anche in questo caso speriamo arrivino presto le risposte, dal momento che diversi ricercatori in tutto il mondo stanno studiando l’argomento. Le prime ipotesi sono ben spiegate in un articolo uscito su The Atlantic [1] e ripreso in Italia dal Post [2] e da Wired [3].
L’ipotesi più popolare tra i ricercatori è legata al comportamento del nostro sistema immunitario: si pensa che i sintomi precedano il risultato positivo ai test perché oggi il sistema immunitario si attiva molto più velocemente contro il virus. La comparsa dei primi sintomi sarebbe la conseguenza dell’attivazione del sistema immunitario che combatte l’infezione. All’inizio della pandemia, infatti, i contagi avvenivano esclusivamente tra persone che non avevano mai preso prima SARS-CoV-2 e che non erano vaccinate, e il virus poteva agire indisturbato per diversi giorni nell’organismo prima che l’infezione fosse tale da essere rilevata dal sistema immunitario. Oggi, invece, con la maggior parte della popolazione vaccinata o già esposta al virus, la reazione immunitaria avviene più rapidamente e può portare a casi in cui si hanno sintomi, ma non si risulta positivi a un test antigenico, perché la carica virale non è ancora sufficiente rispetto alla sensibilità del test [4,5]. Contro questa ipotesi, tuttavia, c’è l’evidenza che anche persone che incontrano per la prima volta il virus manifestano comunque il ritardo nella positività dei tamponi.
Un’altra ipotesi riguarda la diversa dinamica con cui le più recenti varianti di SARS-CoV-2 (Omicron e le sue sottovarianti) circolano nell’organismo. Alcuni studi, infatti, hanno rilevato un minore accumulo delle particelle virali nelle cellule del naso, rendendo più probabili i falsi negativi perché durante il prelievo con tampone non si raccoglie una quantità sufficiente per risultare positivi al test [6,7,8]. Altri studi hanno anche scoperto che Omicron può, in alcune persone, essere rilevato in bocca o in gola prima che nelle narici [9,10]. Inoltre, i sintomi di Covid-19 sono meno specifici che in passato. Ad esempio, è oggi meno probabile che le persone positive perdano odori e sapori, mentre più spesso la malattia si manifesta con un semplice raffreddore. In alcuni casi quindi viene confusa con altro e non si può escludere che in alcuni casi i sintomi siano dovuti effettivamente ad altro, con solo una successiva infezione da coronavirus che viene poi rilevata con la ripetizione dei test.
Una terza possibilità è che il ritardo sia il riflesso di come è cambiato nel tempo il modo in cui il tampone nasale viene eseguito. Il maggior ricorso ai tamponi fai-da-te, infatti, può incidere sulla qualità del risultato: molte persone non raccolgono con particolare cura né in grande profondità il materiale biologico nel naso, determinando una frequenza più alta dei falsi negativi.
Dottore, come mai è importante stabilire le cause?
Innanzitutto, la raccolta di una maggiore quantità di dati, sia tra la popolazione sia in laboratorio, potrebbe aiutare a stimare meglio la frequenza dei casi in cui il tampone sia risultato negativo già in presenza di sintomi e solo in seguito positivo.
Maggiori informazioni potrebbero anche portare a un cambiamento delle indicazioni sull’isolamento e le cautele da assumere, soprattutto in vista dell’autunno in cui i casi potrebbero ulteriormente salire [1]. Come sappiamo, infatti, nell’ultimo periodo le restrizioni e i tracciamenti si sono ridotti rispetto al passato e potrebbe essere necessario ripensare le strategie con l’evoluzione della situazione epidemiologica.
Dottore, quindi dobbiamo preoccuparci?
Per ora non è necessario, ma può essere utile prendere qualche precauzione in più. “Se inizi ad avere sintomi, supponi di essere contagioso” spiega Yonatan Grad, che sta studiando SARS-CoV-2 presso la School of Public Health di Harvard [1]. “La gente dimentica che non appena si diventa sintomatici, bisognerebbe comportarsi in modo diverso. Un test negativo in presenza di sintomi non dovrebbe essere un lasciapassare per uscire” conferma Emily Martin, epidemiologa esperta in malattie infettive dell’Università del Michigan [1]. E questo vale in presenza di tutti i tipi di virus, non solo di SARS-CoV-2.
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