Secondo l’OMS la pandemia è finita?

12 Maggio 2023 di Roberta Villa

Secondo l'OMS la pandemia è finitaIl 5 maggio 2023 il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato conclusa l’emergenza di sanità pubblica di portata internazionale (Public Health Emergency of International Concern, PHEIC) dovuta alla pandemia da Covid-19 [1]. La decisione è arrivata dopo il parere favorevole dei suoi consulenti e considerati i grandi passi avanti fatti con le campagne di vaccinazione e la tendenza generale al calo dei decessi, dei ricoveri in ospedale e di quelli in terapia intensiva.

L’emergenza era stata dichiarata il 30 gennaio 2020, per la comparsa in Cina e la rapida diffusione altrove di un nuovo coronavirus prima sconosciuto e poi ribattezzato SARS-CoV-2 [2]. Doveva però passare più di un mese perché l’11 marzo 2020 il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus dichiarasse che tale emergenza si configurava ormai come una pandemia (ne abbiamo parlato nella scheda “Tutto cambia con la dichiarazione della pandemia?”) [3].

L’emergenza di sanità pubblica internazionale e la pandemia sono infatti due cose diverse: la dichiarazione dell’una non implicava necessariamente l’altra, così come ora la presa di posizione dell’OMS non significa che la pandemia è finita o che Covid-19 non è più fonte di preoccupazione. Cerchiamo di fare chiarezza.

Dottore, ma che cos’è un’emergenza di sanità pubblica di portata internazionale (PHEIC)?

Secondo l’OMS la pandemia è finitaUn’emergenza di sanità pubblica di portata internazionale è un evento straordinario, grave, improvviso, insolito o inaspettato, che comporta implicazioni per la salute pubblica oltre i confini nazionali dello Stato colpito e potrebbe richiedere un’azione internazionale immediata e coordinata [4].

La definizione non riguarda solo minacce infettive, ma potenzialmente anche chimiche o radioattive, e non deve riguardare necessariamente tutto il pianeta: una massiccia contaminazione di sostanze tossiche nelle acque di un grande fiume come il Danubio, che attraversa molti Stati europei, o un incidente in una centrale nucleare come è accaduto a Chernobyl nel 1986 richiederebbero una presa di posizione di questo tipo da parte delle autorità sanitarie internazionali.

Negli ultimi dieci anni, emergenze di portata internazionale sono state dichiarate più di una volta, senza che mai si temesse l’evoluzione verso una pandemia, date le caratteristiche dei virus coinvolti: nel 2014 per la recrudescenza di poliomielite in Pakistan, Afghanistan e Nigeria e per l’epidemia di ebola in Africa occidentale; nel 2016 per un aumento dei casi di microcefalia e paralisi di Guillain Barré attribuiti al virus Zika nelle Americhe; e poi nel 2019 di nuovo per ebola, ma tra mille controversie, nella Repubblica democratica del Congo.

Quella per Covid-19 non è stata l’ultima: nel 2022 anche l’imprevista epidemia di vaiolo delle scimmie, poi ribattezzato “mpox”, ricevette la stessa denominazione [5].

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E invece, la pandemia?

Secondo l'OMS la pandemia è finitaSe la definizione di emergenza di sanità pubblica di portata internazionale è stata scritta nero su bianco nei Regolamenti sanitari internazionali (IHR) sottoscritti nel 2005 da 196 Paesi del mondo, lo stesso non si può dire del concetto di pandemia, su cui epidemiologi, virologi, esperti di sanità pubblica e medici possono avere idee diverse. Di cosa sia una pandemia e di quando debba essere dichiarata si è quindi molto discusso, e in parte si discute ancora oggi, perché gli esperti non si sono mai messi d’accordo su una definizione formale completa [6, 7, 8].

La definizione più scarna, tra quelle tradizionali, sosteneva che una pandemia è “un’epidemia estesa in tutto il mondo, o in una larghissima area, che attraversa i confini e in genere colpisce un gran numero di persone” [9]. Altre aggiungevano precisazioni sulla causa, associando sempre il concetto di pandemia al virus dell’influenza, che fino all’inizio di questo secolo si riteneva l’unico in grado di diffondersi così rapidamente, sia perché trasmesso per via respiratoria, sia per la sua mutevolezza. Se l’influenza riesce a tornare ogni anno, infatti, è soprattutto perché i virus che la provocano vanno continuamente incontro a piccole mutazioni (dette shift) che permettono loro di aggirare il sistema immunitario, a sua volta poco incline a ricordarsi questi incontri. Per diffondersi a macchia d’olio in entrambi gli emisferi creando una pandemia, perdendo così la sua caratteristica stagionalità, occorre però una ricombinazione tra il materiale genetico di virus influenzali molto lontani tra loro, spesso provenienti da specie diverse (per lo più uccelli o suini), così da dare origine (con un fenomeno detto drift) a un nuovo virus, nei confronti del quale la maggior parte dell’umanità non ha difese [10]. Almeno fino alla comparsa della SARS nel 2002-2003, e per qualche esperto anche dopo, quando si parlava di pandemie, si intendevano di fatto solo pandemie influenzali.

Secondo l’OMS la pandemia è finitaUn altro elemento di incertezza nella definizione riguarda però come debba essere considerato l’impatto sulla salute: cosa significa “un gran numero di persone”? Ed è proprio necessario che, come era scritto sul sito stesso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità fino al 2009, ciò comportasse anche “un enorme numero di vittime”?

La consapevolezza che un’infezione diffusa in breve tempo a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo poteva comunque mettere in crisi il sistema produttivo, i servizi, i trasporti – anche qualora non si fosse rivelata molto letale – fece sì che dal 2009 la precisazione sulla gravità della malattia non fosse più condizione necessaria per la dichiarazione della pandemia stessa.

Dal 2020, poi, è evidente che il virus responsabile di una pandemia non deve essere necessariamente di tipo influenzale. Anzi, ormai sappiamo che, come SARS-CoV-2, anche molti altri coronavirus che circolano negli animali avrebbero la potenzialità di fare il “salto di specie” (detto spillover) e acquisire la capacità di diffondersi in maniera rapida ed efficace tra gli esseri umani, provocando in futuro altre pandemie.

Dottore, quindi cosa ha deciso l’OMS?

Secondo l’OMS la pandemia è finitaQuesta distinzione tra “emergenza di sanità pubblica di portata internazionale” e “pandemia” è molto chiara al direttore generale dell’OMS, che ha dichiarato la fine della prima, senza poter intervenire sulla seconda.

Il coronavirus, infatti, è qui e continuerà a circolare tra noi; non è sparito, così come non sono spariti gli effetti dell’infezione né si è azzerata la valutazione del rischio globale, che resta alto. Lo stesso Tedros Adhanom Ghebreyesus ha ricordato nei giorni scorsi che ancora oggi, nel mondo, ogni tre minuti muore qualcuno per Covid-19 e uno su dieci tra chi viene infettato svilupperà conseguenze a lungo termine.

Togliere la definizione di PHEIC non significa quindi etichettarlo come innocuo. Questo non accadrebbe nemmeno se fosse proclamato endemico, espressione che si riferisce a una malattia comune in una determinata area, dove circola in maniera abbastanza costante, senza picchi che prendano di sorpresa le autorità sanitarie. In ogni caso, SARS-CoV-2 non ha ancora raggiunto questo equilibrio con l’ecosistema umano.

SARS-CoV-2 continua a circolare in tutto il mondo senza fermarsi davanti ai cambi di stagione, ma continuando a provocare ondate sempre più piccole grazie all’immunità parziale acquisita dalla popolazione con le infezioni precedenti e soprattutto con la vaccinazione [11].

Anche il rischio di mutazioni verso forme più virulente non può essere ancora escluso. La stessa OMS ha appena definito “variante di interesse” la XBB.1.16 chiamata Arcturus, ma per il momento non vi sono segnali che questa possa contrastare la tendenza globale al miglioramento [12].

Per questo l’OMS raccomanda di mantenere attiva la sorveglianza virologica e i sequenziamenti, di inserire la vaccinazione contro Covid-19 nel calendario vaccinale, di proseguire la ricerca verso vaccini e terapie sempre più efficaci. Insomma, il coronavirus non ci prende più di sorpresa e sappiamo come gestirlo. Per questo l’emergenza è finita. Ma resta la necessità di mettere a punto e realizzare strategie di gestione di un’infezione che probabilmente accompagnerà l’umanità per molti anni, forse per sempre, continuando a riscuotere la sua quota di dolore.

 

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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