In poco tempo Omicron ha sostituito Delta, diventando la variante predominante di SARS-CoV-2 in circolazione. Il picco di casi, insieme all’elevata percentuale di persone vaccinate o già infettate, ha spinto alcuni esperti a ritenere che questa potrebbe essere l’ultima ondata di contagi e che si avvicina il momento in cui la pandemia di Covid-19 potrebbe diventare un’endemia, una fase in cui il virus continuerà a circolare ma senza causare le emergenze sanitarie che abbiamo vissuto negli ultimi due anni [1].
Dottore, Omicron porterà l’umanità più vicina all’immunità di gregge?
Come hanno spiegato alcuni esperti in un articolo pubblicato dalla rivista online The Conversation, per raggiungere l’immunità di gregge sono necessarie due condizioni: prima di tutto buona parte della popolazione mondiale deve avere gli anticorpi contro SARS-CoV-2 e, in secondo luogo, l’immunità acquisita con la vaccinazione o l’infezione deve proteggere da infezioni future [2].
Con Omicron è stato possibile constatare che la protezione immunitaria contro SARS-CoV-2 tende a diminuire nel tempo e che non è da escludere l’eventualità che in futuro emergano nuove varianti in grado di sfuggire alle difese immunitarie.
A questo va aggiunto il fatto che, anche se tutto il mondo fosse vaccinato, rimarrebbe comunque una fascia della popolazione (i bambini sotto i cinque anni) dove il virus può continuare a circolare. Quindi, anche se Omicron ha infettato un numero altissimo di persone, causando sintomi lievi nella maggior parte dei casi, gli esperti sostengono che siamo lontani dal raggiungere l’immunità di gregge.
Quali caratteristiche potrebbero avere le nuove varianti di SARS-CoV-2?
Gli scienziati che studiano l’evoluzione di SARS-CoV-2 ritengono che il nuovo coronavirus continuerà a adattarsi all’uomo seguendo principalmente due strade: diffondendosi ancora più velocemente da un individuo all’altro e trovando nuove strategie per aggirare le difese immunitarie [3]. Per diventare la nuova “variant of concern” (ovvero una variante ritenuta significativa e quindi “da tenere d’occhio”), le future varianti di SARS-CoV-2 dovranno compiere un salto evolutivo simile a quello che separa Omicron da Delta, almeno in termini di trasmissibilità e di evasione dell’immunità.
Per quanto riguarda altre caratteristiche, come la virulenza, cioè la gravità dei sintomi scatenati dall’infezione, capire in quale direzione evolverà SARS-CoV-2 è più difficile. Uno degli scenari che potrebbero verificarsi, almeno in linea teorica, è la comparsa di una nuova variante ancora più contagiosa e meno pericolosa di Omicron. Il motivo è che le possibilità di sopravvivenza di un virus aumentano quando il virus si riproduce e contagia nuovi ospiti. Come ha spiegato la professoressa di patologia e medicina molecolare Karen Mossman, “i virus che hanno più successo si diffondono rapidamente senza causare sintomi, perché per un virus non è vantaggioso uccidere l’ospite prima che abbia avuto la possibilità di passare a un altro ospite” [4].
Quindi, la prossima variante sarà più lieve di Omicron?
Non è così scontato. Le stesse mutazioni che rendono un virus più veloce a riprodursi o più abile a neutralizzare le difese immunitarie potrebbero portare anche a forme più gravi della malattia, come del resto è accaduto con Delta [5]. Capire a priori in che direzione evolverà la nuova variante di SARS-CoV-2, se diventerà più contagiosa ma più lieve o se sfuggirà alle difese immunitarie e sarà più grave, è difficile da prevedere anche perché gli ostacoli che il virus deve superare cambiano continuamente in funzione del livello di immunità nella popolazione, che cambia con il progredire delle vaccinazioni e con l’aumento dei contagi [6]. Il risultato di questo processo è che, per il virus, il concetto di cosa sia “più adatto” è in continua evoluzione.
Come facciamo a sapere come evolverà il nuovo coronavirus?
Esistono vincoli di natura fisica e genetica che limitano le direzioni in cui il nuovo coronavirus può evolvere, ha spiegato a Live Science Kartik Chandran, professore di microbiologia e immunologia [4]. Semplificando, possiamo immaginare il virus come una scatola al cui interno è racchiuso del materiale genetico: la scatola deve essere sufficientemente ben imballata da poter sopravvivere a un ambiente che cambia continuamente ma, allo stesso tempo, deve riuscire ad aprirsi per rilasciare il suo prezioso contenuto nelle cellule dell’ospite. Dal punto di vista genetico, esiste un numero massimo di mutazioni che la proteina Spike può accumulare prima che si alteri la sua capacità di interagire con il recettore ACE2 umano (la serratura molecolare che il virus deve aprire per entrare nelle cellule).
Secondo Jonathan Abraham, fra gli autori di uno studio pubblicato su Science che ha analizzato la flessibilità dell’interazione fra la proteina Spike e il recettore ACE2 anche nell’ipotesi di nuove varianti [7], c’è ancora un discreto margine di mutazioni che la Spike può accumulare per sfuggire agli anticorpi senza perdere l’affinità di legame per le cellule umane [8].
Dottore, cosa possiamo fare per ridurre il rischio che emergano nuove varianti di SARS-CoV-2?
La strategia chiave per diminuire le possibilità di contagio e, quindi, il rischio che emergano nuove varianti rimane la vaccinazione [9]. Anche se i vaccini offrono una protezione che potrebbe essere aggirata in futuro da nuove varianti, continuano a garantire comunque una certa protezione dal rischio di contrarre l’infezione. In questo modo, specialmente se affiancate da altre precauzioni, come indossare la mascherina, ventilare correttamente gli ambienti al chiuso e rispettare il distanziamento fisico, restringono lo spazio che il virus ha a disposizione per riprodursi e accumulare mutazioni.
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