È una domanda più che giustificata dal fatto che il mal di schiena (o lombalgia) è un problema estremamente comune, al punto che si può dire che la maggior parte delle persone ne soffre a un certo punto della propria vita [1]. Le evidenze che derivano dagli studi epidemiologici sono abbastanza diverse tra loro (si parla in questo caso di “eterogeneità dei dati”, che limita la capacità di confrontare e accorpare le fonti) ma c’è un ragionevole consenso sul fatto che l’incidenza della lombalgia è massima nella terza decade di vita e che la prevalenza complessiva aumenta con l’età fino al gruppo di età 60-65 anni, per poi diminuire gradualmente [2]. La lombalgia ha un impatto enorme su individui, famiglie, comunità, governi e aziende in tutto il mondo [3].
Come viene trattato di solito il mal di schiena?
In primo luogo, nella maggior parte dei casi di mal di schiena non è possibile identificare una causa specifica [1] e per questo spesso i medici parlano di lombalgia “aspecifica”. Questo modo di manifestarsi della condizione caratterizza circa il 90% dei casi che si presentano al medico [4]. Di conseguenza, il disturbo viene gestito in modo sintomatico, vale a dire che la terapia è mirata a contrastare i sintomi: in primo luogo il dolore. Ad ogni buon conto, le cause specifiche sono meno comuni, ma sono comunque importanti da considerare.
Tornando alla sua domanda, uno studio condotto in due regioni del Regno Unito ha rilevato che una persona di 70 anni ha meno probabilità di ricevere terapie non farmacologiche (per esempio dei programmi di esercizio fisico da eseguire per alleviare il dolore e potenziare la muscolatura) e più probabilità di ricevere farmaci antidolorifici rispetto a una persona di 30 anni [2]. Nonostante si sappia che più si va avanti con l’età maggiore è la probabilità che l’assunzione di medicinali possa dare effetti avversi [5].
I farmaci antidolorifici riducono il dolore?
Proprio per rispondere a questa domanda è stato disegnato e condotto uno studio che ha sintetizzato i risultati di tutti gli studi fino a oggi disponibili sull’argomento (si tratta di una revisione sistematica, come abbiamo spiegato in altre schede di questo progetto) [6].
In questa revisione sono stati considerati studi randomizzati e controllati su persone di età maggiore di 18 anni con lombalgia acuta non specifica. Sono stati inclusi studi randomizzati e controllati che hanno confrontato un farmaco analgesico con un altro farmaco analgesico, con un placebo (una pasticca simile al farmaco attivo ma la cui assunzione non comporta alcun effetto) o con l’astensione da qualsiasi trattamento, compresa la continuazione delle cure abituali o l’inserimento in una lista di attesa per una determinata terapia.
La revisione ha considerato tutti gli studi che hanno valutato l’efficacia e la sicurezza di medicinali con potenziale effetto antidolorifico: farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), farmaci oppioidi, paracetamolo, farmaci anticonvulsivanti, miorilassanti e corticosteroidi.
Il risultato del lavoro di revisione sistematica è la conferma di una notevole incertezza sia sugli effetti dei farmaci potenzialmente analgesici sull’intensità del dolore, sia riguardo la sicurezza dei medicinali. Del resto, anche una revisione sistematica pubblicata nella banca dati della Cochrane – rete internazionale di ricercatori – aveva dato risultati simili, ma riferiti solo agli studi sui farmaci antinfiammatori non steroidei [7].
Nello studio uscito da poco sul BMJ, anche le sperimentazioni che evidenziavano una possibile, modesta superiorità di un medicinale rispetto a un altro erano condizionate da vizi metodologici che riducevano la credibilità dei risultati. Gli autori concludono che, dal momento che la lombalgia ha spesso un’evoluzione favorevole per la maggior parte dei pazienti [8], “i medici e i pazienti dovrebbero adottare un approccio cauto all’uso di farmaci analgesici. Allo stesso modo, i responsabili delle politiche sanitarie dovrebbero raccomandare un approccio prudente nel considerare i farmaci analgesici, dando la priorità alla minimizzazione dei danni” [6].
Alla luce dei risultati di questa revisione cambierà il modo di trattare il mal di schiena?
È presto per dirlo, anche perché il trasferimento dei risultati della ricerca nella pratica clinica è un processo complesso, molto influenzato dai contesti specifici e dal giudizio e dall’orientamento dei medici, la cui esperienza è riconosciuta come essenziale anche dalla medicina basata sulle prove. Non possiamo non ricordare, comunque, che già oggi nella gestione del mal di schiena viene raccomandato un inquadramento biopsicosociale della persona che ne soffre, preferendo un trattamento iniziale non farmacologico [9]. È importante anche l’educazione del paziente che deve sostenere e incoraggiare l’autogestione del disturbo e la ripresa delle normali attività e dell’esercizio fisico [9].
Possono essere utili pure alcuni programmi psicologici per coloro che presentano sintomi persistenti. In generale, le linee guida raccomandano un uso prudente dei farmaci, della diagnostica per immagini e della chirurgia. Purtroppo, le raccomandazioni possono ancora fare affidamento solo su studi incentrati principalmente sui trattamenti piuttosto che sulla prevenzione, con dati limitati sul rapporto costo-efficacia.
La mancanza di dati più completi sull’efficacia e la sicurezza dei diversi possibili approcci al trattamento del mal di schiena rende più complessa la stesura di linee guida capaci di limitare il ricorso – non sempre indispensabile – all’imaging diagnostico, farmaci oppioidi, iniezioni spinali e interventi chirurgici [9].
Mio cugino mi ha consigliato pilates: serve per migliorare il mal di schiena?
Gli studi condotti per valutare l’efficacia del pilates sono stati sintetizzati anch’essi in una revisione sistematica pubblicata nella Cochrane [10]: è probabilmente efficace a medio e breve termine per ridurre il dolore e la disabilità. La decisione di intraprendere un programma di questo tipo dipende dunque dalla valutazione individuale e dal consiglio del proprio medico curante.
Argomenti correlati:
FarmaciMal di schienaMedicina