I risultati di uno studio randomizzato controllato che ha messo a confronto la protezione ottenuta con mascherine chirurgiche e mascherine di stoffa sono stati anticipati come preprint e hanno fatto molto discutere [1].
Lo studio è stato condotto in Bangladesh da ricercatori di importanti università statunitensi come Yale, Johns Hopkins e Stanford, in collaborazione con colleghi di università locali. La metodologia seguita è quella della randomizzazione per cluster. In altre parole, non sono state scelte casualmente delle singole persone “assegnandole” a un tipo di maschera o all’altra, ma le diverse protezioni sono state assegnate a tutti gli abitanti di diversi villaggi, in modo casuale. (Vuoi saperne di più su come capire se uno studio è affidabile? Leggi la nostra scheda “Gli studi clinici sono tutti uguali?”).
Quante persone sono state coinvolte nello studio su mascherine chirurgiche e mascherine di stoffa?
Lo studio ha randomizzato 600 villaggi assegnando maschere di stoffa o maschere chirurgiche. È stato previsto anche un cluster di controllo che non ha ricevuto né le une, né le altre; beninteso, però, le persone che abitavano nei villaggi “di controllo” potevano o meno scegliere di proteggersi nel modo che preferivano. Hanno partecipato più di 340.000 persone che, ovviamente, erano consapevoli di indossare l’uno o l’altro tipo di maschera: quindi, non erano “cieche” all’intervento. L’endpoint primario dello studio era la segnalazione di sintomi coerenti con quelli di Covid-19, seguita da un test sierologico positivo per documentare l’infezione da SARS-CoV-2.
Che tipo di mascherina era fornito ai cittadini partecipanti allo studio?
A una parte dei cittadini coinvolti era data una mascherina chirurgica che poteva essere lavata e riutilizzata, agli altri una mascherina di stoffa di alta qualità a tre strati.
Quali sono i risultati dello studio?
Le maschere in tessuto non hanno dato alcun vantaggio rispetto al braccio di controllo che non prevedeva alcun intervento. Invece, le maschere chirurgiche hanno mostrato un beneficio – anche se modesto – ma comunque statisticamente significativo. Indossare una mascherina chirurgica sembra possa ridurre la sieroprevalenza sintomatica dell’11,2%.
Dottore, significa che in molti stiamo utilizzando mascherine di stoffa che sono inutili?
Probabilmente sì. O meglio: a giudicare dai risultati di questo studio, si può dire che le mascherine di stoffa – per quanto eleganti o divertenti – non offrono una protezione dal contagio del virus SARS-CoV-2.
Forse, uno studio del genere avrebbe dovuto essere svolto più tempestivamente. All’inizio di quest’anno un’importante rassegna pubblicata su una rivista assai autorevole non riusciva a fornire indicazioni precise sui tipi di mascherina protettiva, dando in certa misura rassicurazioni anche sull’efficienza di quelle di stoffa [2]. Inoltre, i contributi pubblicati nei mesi passati si sono soffermati a valutare le differenze tra le maschere ad altra filtrazione (N95) e quelle chirurgiche, trascurando di considerare le maschere confezionate con tessuti di diverso tipo [3].
Il medico e ricercatore statunitense Vinay Prasad chiede che le istituzioni correggano le proprie indicazioni ai cittadini, facendo l’esempio dell’Agenzia per la prevenzione e il controllo delle malattie degli Stati Uniti [4] che non fa distinzione tra tipi di mascherina nelle raccomandazioni fornite. Anche il Ministero della Salute non dà indicazioni specifiche [5]. La pagina del sito dell’Istituto Mario Negri dedicata alla protezione con mascherine è completa e utile [6]. Di fatto, non prende neanche in considerazione la possibilità di ricorrere alle mascherine di stoffa per proteggersi dal contagio.
Lo studio condotto in Bangladesh – di cui si attende comunque la pubblicazione su una rivista dopo il superamento del percorso di revisione critica – è molto importante soprattutto perché dimostra la fattibilità di studi randomizzati controllati anche per valutare la reale efficacia dei diversi dispositivi di protezione individuale. Fino a oggi le “evidenze” derivavano da studi condotti in laboratorio e su pochi individui, ricerche soggette a distorsioni e a rilevanti vizi metodologici [7].
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