L’attività fisica blocca il tumore al colon senza chemioterapia?

20 Giugno 2025 di Roberta Villa

l’attività fisica blocca il tumore al colon senza chemioterapiaUna regolare attività fisica svolge un ruolo importante per la prevenzione di molte malattie, tra cui alcuni tumori. Il movimento infatti contribuisce a contrastare fattori di rischio come sovrappeso e obesità, infiammazione e resistenza all’insulina, modula la produzione di ormoni come gli estrogeni, e favorisce le funzioni del sistema immunitario.

L’effetto è rilevante soprattutto nei confronti del tumore al colon, perché l’attività fisica regolare aiuta il transito intestinale, riducendo il tempo di esposizione delle sostanze di scarto dell’alimentazione con le pareti intestinali, comprese quelle che potrebbero avere un’attività cancerogena [1]. In questo caso l’attività fisica appartiene ai comportamenti raccomandati per la prevenzione primaria, cioè per ridurre il rischio di ammalarsi.

Ma dopo la diagnosi? Molti studi, negli ultimi anni, hanno suggerito che svolgere una regolare attività fisica anche dopo un primo intervento e ciclo di cure possa ridurre il rischio di recidive e migliorare i tassi di sopravvivenza. Le prove, però, cercavano ancora conferma [2].

Dottore, ma allora qual è la novità?

All’ultimo congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) di Chicago, è stato invece presentato uno studio [3] in cui l’attività fisica è stata prescritta come una medicina, da praticare per tre anni in sessioni di gruppo, secondo uno schema strutturato e rigoroso. L’andamento della malattia nei pazienti sottoposti a questo trattamento è stato messo a confronto con quello di chi aveva ricevuto solo materiale informativo che suggeriva di seguire sani stili di vita, così come si raccomanda di solito a tutti i pazienti oncologici.

Dottore, ma allora la chemioterapia non serve più per il tumore al colon?

l’attività fisica blocca il tumore al colon senza chemioterapiaÈ importante sottolineare che tutti i partecipanti a questo studio erano già stati operati per farsi asportare il tumore e avevano poi completato il ciclo di chemioterapia detto “adiuvante”, da effettuare dopo l’intervento. In nessun caso si è trattato di sostituire la chemioterapia con l’attività fisica. Il programma di esercizi strutturati ha conferito un ulteriore vantaggio, in termini di sopravvivenza totale e di anni liberi da malattia prima di una recidiva, ma solo in aggiunta a tutte le cure che già hanno permesso negli ultimi trent’anni di migliorare le aspettative di vita di chi riceve la diagnosi di tumore al colon [4].

Inoltre, alcuni esperti hanno avanzato qualche perplessità sull’attendibilità dei risultati, che pure si sono guadagnati l’apertura del New England Journal of Medicine. Il lavoro, infatti, nel corso di diversi anni ha coinvolto meno di 900 pazienti in totale, da ben 55 centri sparsi per gli Stati Uniti. Data la frequenza della malattia, questo ha fatto pensare che i partecipanti siano stati oggetto di una certa selezione, e in effetti solo chi aveva superato un test da sforzo negativo, e quindi era in buone condizioni fisiche, ha potuto entrare nella sperimentazione. Inoltre, l’entità dell’attività fisica svolta settimanalmente era riferita dai pazienti, non misurata in maniera oggettiva. Ed è difficile che nella vita reale un malato di cancro riesca ad aderire per anni e anni a un protocollo di esercizi così intenso.

Dottore, perché dai giornali avevo capito un’altra cosa?

l’attività fisica blocca il tumore al colon senza chemioterapia terapiePurtroppo capita che in casi come questo le notizie vengano presentate in maniera da essere rese ancora più appetibili per il pubblico. Sapere che un’attività fisica regolare può migliorare le proprie probabilità di guarigione è già una bella notizia, ma pensare che la palestra possa sostituire i disagi della chemioterapia ovviamente attira molto di più l’attenzione dei lettori.

Questo tipo di comunicazione comporta tuttavia rischi sia a livello individuale che sociale: il singolo paziente infatti, o i suoi familiari, possono coltivare dubbi sull’opportunità di una cura che invece è prescritta dai protocolli internazionali e pensare che il proprio medico non abbia fornito l’indicazione più corretta, nei casi più estremi rifiutando o ritardando la terapia; il danno al rapporto di fiducia non si ferma però al singolo rapporto tra medico e paziente, ma può estendersi a tutto il mondo della medicina e dell’informazione, quando ci si rende conto che si è stati falsamente illusi, con conseguenze più gravi sulla credibilità della scienza e dei media.

Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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