L’impiego dell’agopuntura come strumento per ottenere la cessazione dell’abitudine al fumo ha origine da un’osservazione casuale avvenuta a Hong Kong agli inizi degli anni Settanta. In quell’occasione, alcuni pazienti sottoposti a questo trattamento per ridurre il dolore causato da una sindrome d’astinenza da oppioidi riportarono un miglioramento della loro capacità di gestire i sintomi associati (Wen 1973). Da quel momento l’agopuntura è stata utilizzata come trattamento per la dipendenza da svariate sostanze, inclusa quella da tabacco.
Qual è l’idea alla base dell’agopuntura?
I trattamenti basati sulla tecnica dell’agopuntura possono essere classificati in due grandi famiglie: la prima, che fa riferimento all’antica tradizione cinese, prevede l’inserimento di aghi in particolari punti del corpo dove si crede possano andare a correggere alterazioni della cosiddetta forza qi (flusso vitale, energia), considerate alla base delle malattie. La seconda famiglia, invece, che rappresenta la trasposizione occidentale della versione asiatica, prevede la stimolazione di specifici nervi e tessuti connettivi (White 2009). Nel caso specifico degli interventi per la cessazione all’abitudine al fumo, inoltre, viene utilizzata spesso la tecnica dell’elettroagopuntura, la quale prevede la stimolazione elettrica degli aghi col fine di favorire il rilascio di neurotrasmettitori coinvolti nella soppressione dei sintomi associati all’astinenza (Clement-Jones 1979).
Come viene impiegata l’agopuntura nei soggetti che vogliono smettere di fumare?
In quest’ambito, l’agopuntura viene utilizzata principalmente secondo due protocolli terapeutici. Nel primo caso, gli aghi vengono applicati – al momento della cessazione – nel corso di una singola seduta terapeutica (solitamente della durata di 15-20 minuti), ripetuta poi diverse volte nei giorni successivi. Alternativamente, o in aggiunta a questo tipo di intervento, degli aghi permanenti – appositamente disegnati – possono essere applicati attraverso un nastro chirurgico in punti specifici del corpo, spesso nei pressi delle orecchie, e lasciati in quella posizione per giorni. Ai pazienti viene quindi consigliato di fare pressione manualmente su questi aghi nei momenti in cui avvertono il desiderio di fumare. In alternativa agli aghi permanenti, infine, questo tipo di trattamento può prevedere l’utilizzo di piccoli semi o perline (agopressione).
Dottore, ma funziona davvero?
L’impiego dell’agopuntura come trattamento utile a smettere di fumare è stato analizzato in molti studi scientifici. Nel 2014 la Cochrane Collaboration ha realizzato su 38 di queste ricerche una revisione sistematica (cioè una sintesi rigorosa di tutti gli studi pubblicati, giudicati di sufficiente affidabilità), arrivando alla seguente conclusione: “Nonostante alcune analisi aggregate suggeriscano la presenza di un possibile effetto a breve termine, non esistono prove – tra quelle che non presentano errori metodologici – che associno l’agopuntura o l’agopressione a un effetto di durata superiore ai sei mesi. Tuttavia, l’assenza di evidenze e la presenza di limiti nei disegni di ricerca non permettono di trarre conclusioni definitive”. Gli autori della revisione, quindi, mettono in evidenza la necessità di studi scientifici più rigorosi, anche in relazione alla popolarità di questi trattamenti (White 2014).
Esistono, invece, interventi di dimostrata efficacia per smettere di fumare?
Sì, certamente, ne sono disponibili di diversi tipi. Per esempio, interventi psicologici, comportamentali o di counseling – sia individuali che di gruppo – sono risultati efficaci nell’aiutare le persone a smettere di fumare (Stead 2017, Lancaster 2017). Lo stesso vale per la cosiddetta terapia sostitutiva nicotinica (mediante gomme da masticare, spray nasali, inalatori, pastiglie e altro) che in alcuni studi è risultata associata a una probabilità del 70% maggiore di raggiungere l’obiettivo (Stead 2012). Infine, altre evidenze suggeriscono l’efficacia di trattamenti farmacologici basati sull’impiego di antidepressivi, i quali arrivano a raggiungere tassi di successo paragonabili a quelli della terapia sostitutiva nicotinica (Hughes 2014).
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