La vitamina D è necessaria per la solidità delle ossa. Le persone anziane hanno spesso ridotti livelli di vitamina D perché trascorrono minor tempo al sole e seguono una dieta talvolta trascurata, relativamente più povera di vitamina D. Per questo, qualcuno suggerisce di integrare la dieta con supplementi a base di vitamina D per ridurre fragilità ossea e rischio di fratture. Purtroppo, però, non abbiamo prove convincenti per poter dire che assumere vitamina D sia una scelta efficace.
Come fa, dottore, a essere così sicuro?
Beh, “sicuro” è una parola grossa e, in ambito scientifico, dovrebbe essere usata con molta prudenza. Possiamo dire, però, che analizzando i risultati di 53 sperimentazioni cliniche che hanno coinvolto in totale 91.791 persone non sono state trovate evidenze che possano incoraggiare la prescrizione di vitamina D per prevenire la fragilità ossea (Avenell et al. 2014). La “popolazione” coinvolta nei molti studi esaminati comprendeva uomini adulti di oltre 65 anni e donne in età successiva alla menopausa, malati sofferenti di osteoporosi, persone ospitate in case di riposo: era dunque una popolazione molto composita.
Quindi è inutile che io assuma vitamina D per ridurre la mia fragilità ossea?
Alla luce delle prove di cui oggi disponiamo, la vitamina D non è utile per ridurre la fragilità ossea, Qualche debole evidenza di efficacia la abbiamo per l’associazione tra vitamina D e calcio (Cranney et al. 2007): si tratta di un rapporto di valutazione delle cosiddette “tecnologie sanitarie” (anche i farmaci e gli integratori sono considerati “tecnologie”) che ha messo in luce “un piccolo aumento della densità ossea in confronto con i risultati ottenuti con la somministrazione di placebo”.
Ma se avessi l’impressione che la mia dieta non sia adeguata?
È un sospetto che hanno diverse persone, soprattutto chi non riesce a curare al meglio la propria alimentazione o conduce una vita poco regolata. Ma come ha dichiarato Edgar Miller – un clinico della Johns Hopkins School of Medicine – rispondendo a un giornalista del quotidiano inglese The Indipendent, “la verità è che siamo generalmente ipernutriti e che la nostra dieta è completamente adeguata” (Williams 2013). In sintesi “la prevenzione primaria, se inizia precocemente e continua per tutta la vita, è l’arma più potente ed efficace a nostra disposizione; si incentra su abitudini di vita corrette, specialmente su un’alimentazione ricca e varia e su un’attività fisica anche modesta ma regolare, meglio se praticata all’aria aperta. Nella popolazione anziana è di fondamentale importanza evitare le cadute, che sono la principale causa delle fratture di femore in questa fascia di età” (Maestri et al. 2000).
Perché, allora, gli scaffali delle farmacie offrono così tanti prodotti?
Effettivamente, c’è una vera e propria corsa all’integrazione vitaminica, ma più che altro è dettata da una pressione commerciale. L’uso di supplementi multivitaminici è aumentato del 30% tra gli adulti statunitensi tra il 1988 e il 1994, e del 39% tra il 2003 e il 2006 (Gahche et al. 2011). Si tratta di una vera e propria “emergenza” in molti paesi, che ha sollecitato un dibattito molto intenso anche nelle riviste scientifiche più prestigiose, come gli Annals of Internal Medicine, il periodico dell’American College of Physicians. Dovremmo sempre tenere presente che “la maggioranza dei supplementi non previene le malattie croniche, il loro uso non è giustificato e dovrebbe essere evitato” (Guallar et al. 2013).
Come ha scritto di recente Marco Bobbio, un medico di Torino molto attivo anche nella divulgazione scientifica di qualità (Bobbio 2017), “le raccomandazioni sui supplementi di calcio e vitamina D si basano sul riscontro che bassi valori di calcio rendono le ossa più fragili, sull’idea che i prodotti naturali non facciano male e che possano essere assunti liberamente e infine sui risultati di ricerche osservazionali”, quindi meno credibili perché potenzialmente condizionate da fattori esterni. “Rimane il rammarico – conclude Bobbio – che cittadini e pazienti spendano inutilmente i soldi propri e del sistema sanitario, convinti di farlo per la propria salute.”