La dura vita dei pionieri
La serie televisiva statunitense “La casa nella prateria” che è stata prodotta dal 1974 al 1983 racconta le vicende di una famiglia di contadini ed è ambientata in Minnesota negli anni ’70, ’80 e ’90 del Diciannovesimo secolo. Il telefilm è basato sulla serie di libri, in parte autobiografici, di Laura Elizabeth Ingalls Wilder, nata nel 1867, che prendeva spunto dalla propria infanzia in una famiglia di pionieri.
Trovo il Diciannovesimo secolo particolarmente interessante e istruttivo per la vita di tutti noi. La storia ci tramanda tante vicende di cittadini comuni che erano costretti dalle circostanze ad affrontare con grande coraggio, forza, ottimismo e saggezza molte avversità. Grazie all’ingegno e alla perseveranza di molte persone sono state trovate soluzioni brillanti che hanno aperto la strada al progresso, i cui frutti rendono la nostra vita molto più comoda e sicura di quella dei nostri antenati.
Ho già ambientato uno dei miei articoli ( “Il pozzo artesiano”) in quell’epoca ricca di opportunità, e anche se si tratta di storie romanzate sono comunque in grado di insegnarci qualcosa: anche ogni buon romanzo lascia il suo seme, come scrive Italo Calvino in “Perché leggere i classici”.
In questi poco più di due anni di pandemia appena trascorsi, tutti noi – chi più, chi meno – abbiamo dovuto affrontare situazioni difficili, inimmaginabili solo tre anni fa. Purtroppo molti non sembrano avere la forza interiore che serve per mantenere la propria integrità, e per collaborare in modo altruistico con la comunità allo scopo di limitare al minimo i danni causati direttamente o indirettamente dal virus. Per fortuna ci sono anche state tante persone che hanno dimostrato una maturità intellettuale ed emotiva, che si sono rimboccate le maniche e hanno valutato molto bene i fatti prima di parlare o di agire, consapevoli della propria responsabilità verso il prossimo. Alcune persone mi hanno deluso profondamente, altre invece mi hanno sorpreso in modo positivo. La pandemia, come tutte le gravi crisi, ha messo in evidenza le qualità e i difetti delle persone e del sistema. Speriamo che, con tutto il male che ha portato, ci abbia fatto imparare dagli errori del passato, e soprattutto che ci abbia dato la spinta per correggerli.
Negli episodi dei telefilm di cui parlavo sopra i personaggi vengono spesso messi di fronte a situazioni molto difficili, con pochi mezzi a disposizione per uscirne illesi. Basta pensare alle gravi malattie, alle epidemie causate da virus e batteri, senza vaccini (a parte quello contro il vaiolo, per fortuna) e senza antibiotici. Ma proprio alla fine di quel secolo, grazie ad alcuni scienziati, l’umanità ha fatto enormi progressi nel campo della microbiologia. Per noi, poco più di un secolo dopo, è diventata una cosa scontata avere a disposizione medici, farmacie, e se necessario un ospedale con un reparto di terapia intensiva. Se non ci fossero state tante persone che – invece di lamentarsi – hanno sacrificato moltissimo tempo a studiare e fare ricerca, potremmo essere ancora oggi nella situazione in cui si trovavano i pionieri di cui raccontano gli autori di “La casa nella prateria”. Sentendo oggi gente lamentarsi per le misure anti-Covid, a volte mi sono chiesta come avrebbero affrontato il problema i pionieri del Diciannovesimo secolo nel Far West. Con lamentele e proteste, oppure con coraggio e spirito di gruppo?
Nel 1937 il medico statunitense James Johnston Abraham, usando come pseudonimo il nome James Harpole, ha pubblicato il libro “Leaves from a Surgeon’s Case-Book”. Anni fa mi è capitato tra le mani, in un mercatino dell’usato, la traduzione in italiano “Camice bianco – Fogli del mio schedario”. È molto interessante perché l’autore racconta con grande umanità tanti dei casi clinici che gli sono capitati, e basandosi su queste storie, con parole ben comprensibili anche per chi non ha studiato medicina, spiega i progressi della scienza. Vorrei che lo leggessero le persone che oggi purtroppo non si rendono minimamente conto di quanto siamo fortunati, grazie ai tanti scienziati che nel corso dei secoli sono riusciti a togliere a molte terribili malattie il potere di causare enormi sofferenze.
Per esempio sulla difterite Abraham scrive:
“La difterite, quando attacca i bambini, dà luogo al crup. Questo chiude la laringe e, se non si interviene con l’operazione, il fanciullo muore soffocato. Questo atto operatorio viene detto ‘tracheotomia’ e quando, non molti anni fa, ero ancora assistente, dovevo praticarla in media una volta ogni quindici giorni. L’operazione era sempre rischiosissima, non solo per il paziente, ma anche per il chirurgo. Quando la eseguivamo dovevamo portare maschere speciali, perché se il bambino ci avesse tossito contro gli occhi, avremmo corso un grave pericolo. Bisognava poi operare con grande rapidità, perché i parenti, naturalmente, non ci portavano il piccolo malato che all’ultimissimo momento: e se non riuscivamo a introdurre immediatamente il tubo nella laringe e a tenerlo sgombro, il bambino rischiava di morire subito. Era dunque, di solito, un angoscioso e precipitato lavoro a notte alta, coi genitori che attendevano in ansia nella penombra del corridoio mentre noi, chiusi nella sala operatoria, lottavamo affannosamente contro la morte. E quando la nostra lotta riusciva vana, il che purtroppo non poteva non accadere di quando in quando, la più triste parte del nostro compito era quella di uscire dalla sala operatoria per dire ai genitori che quella vita a loro tanto cara non avevamo saputo salvarla.”
Poi racconta della geniale intuizione di Emil Behring che ha sviluppato la sieroterapia, con cui si sono salvate innumerevoli vite. Spiega anche che cosa è la prova di Schick, che serviva a individuare chi era suscettibile alla difterite:
“Tutti gli ospedali, si capisce, hanno ora in uso questo procedimento. Quando un’infermiera è assunta in un ospedale per bambini, viene sottoposta alla prova di Schick. Se questa è negativa la lasciano in pace, perché non può prendere il male. Se invece è positiva, le praticano l’iniezione di anatossina. I medici si procurano anch’essi questa immunità artificiale, e i bambini che vanno alle scuole pubbliche sono sottoposti al trattamento preventivo.”
Anche se la citazione è dell’inizio del ventesimo secolo, fa comunque comprendere la gravità della situazione in un periodo in cui non esisteva nessun rimedio contro la difterite e evidenzia i grandi benefici del progresso scientifico. Questo è un esempio di quello che l’uomo è capace di fare quando si rimbocca seriamente le maniche e affronta un problema per risolverlo, studiando e seguendo le leggi della natura, invece di lamentarsi e chiedere ad alta voce soluzioni irragionevoli, frutto di un desiderio immaturo di eludere un problema.
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