L’ivermectina cura Covid-19?

1 Luglio 2021 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Scheda aggiornata al 29 luglio 2021

ivermectina cura Covid-19?Da qualche mese, un farmaco antiparassitario – l’ivermectina – viene presentato come una possibile opzione per il trattamento di Covid-19. Le istituzioni sanitarie internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) [1] o l’Agenzia Europea per i medicinali (EMA) [2] raccomandano di non utilizzarlo al di fuori di studi clinici rigorosi. Anche i National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti si erano espressi nella stessa direzione [3]: ma giornali e media online tornano a proporlo con insistenza.

Dottore, che cos’è l’ivermectina?

L’ivermectina è un agente antiparassitario ad ampio spettro – in particolare antielmintico (contro i vermi) – incluso nell’elenco dei farmaci essenziali dell’OMS per diverse malattie parassitarie. È usato soprattutto nel trattamento di una malattia chiamata “cecità fluviale”.

Cosa si sa dell’uso di ivermectina come cura per Covid-19?

L'ivermectina cura Covid-19Un gruppo di lavoro è stato convocato dall’OMS in risposta alla crescente attenzione internazionale su questo farmaco. Il gruppo è formato da esperti indipendenti di diversi Paesi del mondo e ha esaminato i dati di 16 studi randomizzati controllati che hanno arruolato quasi 2.500 pazienti, sia ricoverati, sia ambulatoriali.

Il lavoro di analisi di questi esperti ha purtroppo verificato che le prove a sostegno dell’efficacia dell’ivermectina relativamente alla possibilità che riduca la mortalità, la necessità di ventilazione meccanica, la necessità di ricovero ospedaliero e il tempo necessario per il miglioramento clinico nei pazienti Covid-19 sono di “qualità molto bassa”.

Come spiegano i National Institutes of Health degli Stati Uniti, è senz’altro vero che i risultati degli studi randomizzati e studi di coorte retrospettivi sull’uso di ivermectina in pazienti con Covid-19 sono stati pubblicati in forma di articolo su riviste indicizzate su banche dati internazionali, o anticipati come articoli in corso di pubblicazione (pre-print) [3]. Alcuni studi clinici, però, proprio non hanno mostrato benefici o addirittura hanno evidenziato un peggioramento della malattia dopo l’uso di ivermectina. Altri studi hanno invece mostrato una minore durata della malattia o una maggiore riduzione dei livelli di marker infiammatori nei pazienti trattati con ivermectina rispetto ai pazienti che hanno ricevuto farmaci di confronto o placebo. Ma anche la più importante istituzione di ricerca medica degli Stati Uniti sottolinea che la qualità metodologica di questi studi positivi è tale da non rendere affidabili le conclusioni a cui le ricerche sono arrivate.

Attenzione anche ai possibili effetti collaterali perché, come ricorda l’Agenzia Italiana del Farmaco, “sebbene ivermectina sia generalmente ben tollerata alle dosi autorizzate per altre indicazioni, gli effetti indesiderati potrebbero aumentare se si utilizzassero dosaggi più elevati necessari ad ottenere concentrazioni di medicinale nei polmoni che siano efficaci contro il virus. Non si può pertanto escludere tossicità quando ivermectina è utilizzata a dosi superiori rispetto a quelle approvate” [4].

In che senso, di “qualità molto bassa”?

La “qualità” di uno studio viene valutata sulla base di diversi criteri che sono stabiliti a livello internazionale. Comprendono la cosiddetta “dimensione” degli studi (quanti pazienti sono stati coinvolti nella ricerca), il numero di eventi osservati, la presenza di conflitti di interesse dei ricercatori e così via (abbiamo approfondito questo argomento, in particolare per quanto riguarda la ricerca su Covid, nella nostra scheda “Gli studi su COVID-19 sono tutti attendibili?”).

La scarsissima qualità degli studi su ivermectina è confermata da una revisione sistematica pubblicata il 28 luglio 2021 sulla Cochrane Library [5]. Cochrane è una rete internazionale di medici, infermieri, farmacologi e ricercatori che cerca di “mettere ordine” nei risultati della ricerca che viene svolta nel mondo. L’analisi si è concentrata sui 14 studi che hanno valutato l’utilità di ivermectina nell’evitare la morte dei pazienti con Covid-19, nel miglioramento o peggioramento dei sintomi della malattia, nell’insorgenza di effetti indesiderati, nel prevenire il ricovero (in caso di somministrazione a pazienti ancora nella propria abitazione) e, infine, sulla clearance virale, vale a dire l’eliminazione di RNA del virus Sars-CoV-2 dai fluidi corporei del paziente. Ebbene, in tutti gli studi sono stati riscontrati dei problemi metodologici che compromettono la credibilità dei risultati.

Ad ogni modo, la somministrazione di ivermectina non migliora la prognosi del paziente né rispetto alla somministrazione di placebo né delle cure usuali, sia in ospedale (pazienti più gravi) sia a casa (pazienti con Covid-19 lieve o moderata).

Cosa occorre fare in casi del genere?

ivermectina cura Covid-19?Sarebbe necessario conservare un punto di vista obiettivo: l’ivermectina è, dopo tutto, un farmaco collaudato, con effetti reali conosciuti e apprezzati. È importante non considerare le ipotesi di alcuni ricercatori che ne propongono l’uso alla stregua di chi sollecita il ricorso a strane soluzioni terapeutiche per combattere Covid-19. Tuttavia, sono indispensabili delle prove di alta qualità che giungano da studi clinici randomizzati in doppio cieco (in cui né i pazienti, né i medici siano al corrente di chi riceve il trattamento e chi riceve il placebo), ampi, ben progettati e rigorosi – per saperne di più su come si svolge uno studio clinico, potete leggere la scheda “Gli studi clinici sono tutti uguali?”.

Una revisione sistematica corredata da una metanalisi (una sintesi quantitativa dei dati di studi diversi) è stata pubblicata prima come pre-print e poi su una rivista di secondo piano. Lo studio mostrava un modesto beneficio, ma ha ricevuto numerosi commenti negativi. Il primo problema che la revisione ha mostrato è stato il cosiddetto bias di pubblicazione. Si tratta della situazione che si viene a creare quando – di tante ricerche condotte per rispondere a uno stesso interrogativo – vengono pubblicate solo o soprattutto quelle che hanno risultati positivi. Per dirla in altro modo, tutti vogliono pubblicare uno studio che trovi che l’ivermectina cura Covid-19, ma non è una novità se i risultati mostrano che l’ivermectina non serve per trattare la malattia [6].

Quello che sta accadendo a proposito di invermectina ricorda molto da vicino il caso dell’idrossiclorochina [7]. Il farmaco stato promosso secondo le stesse modalità e spesso dalle stesse persone. Ad ogni modo, allo stato attuale non si può escludere che l’ivermectina abbia un’attività antivirale clinicamente rilevante contro Sars-CoV-2. Sulla base delle prove attuali, tuttavia, sembra improbabile, ma sarebbe un’eccellente notizia se fossero pubblicate prove scientifiche convincenti.

Sono queste le ragioni per cui l’ivermectina non dovrebbe essere usata per trattare Covid-19 al di fuori del contesto di uno studio clinico ben progettato che risponda a precisi e rilevanti interrogativi di ricerca perché, alla luce di quanto sopra premesso, non ci sono attualmente prove che ivermectina funzioni.

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Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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