“Le trasformazioni digitali stanno caratterizzando tutti gli ambiti della nostra vita, mettendoci di fronte a cambiamenti talvolta quasi invisibili, ma molto spesso radicali e di vasta portata, in molti settori, compresi quelli della salute e della sanità”. Così leggevamo in uno dei due numeri della rivista che l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – una delle istituzioni sanitarie più importanti del nostro Paese – ha dedicato recentemente alla telemedicina e all’intelligenza artificiale applicata alla assistenza al malato. Queste innovazioni così dirompenti riusciranno realmente a mettere in discussione il ruolo del medico come di altri professionisti sanitari?
Dottore, ho letto che la lettura di un esame diagnostico da parte di un medico radiologo è meno precisa di quella di una macchina: è veramente così?
Una domanda così diretta ci permette di entrare subito in argomento. Per rispondere farò riferimento a uno dei tantissimi articoli scientifici che hanno discusso questo problema: mancano completamente le prove di una superiorità dell’intelligenza artificiale rispetto al processo decisionale del medico. Questo vale per qualsiasi disciplina, non solo per la radiologia [1].
Diversi segnali – leggiamo in un’analisi dettagliata del Washington Post [2] – indicano che l’applicazione dell’intelligenza artificiale in medicina non si sta dimostrando all’altezza delle promesse. Numerosi studi clinici pubblicati lo scorso anno hanno mostrato che quasi tutti gli strumenti di intelligenza artificiale utilizzati per cercare di prevedere una diagnosi di Covid-19 non garantivano alcun reale vantaggio o erano potenzialmente dannosi. Uno studio pubblicato sul British Medical Journal nel 2021 ha anche rilevato che il 94% dei sistemi di intelligenza artificiale utilizzati per valutare un possibile cancro della mammella era meno accurato di quanto poteva garantire l’analisi di un medico radiologo. Anche per questo alcuni dei grandi player dell’informatica hanno ridotto i propri investimenti nel settore e alcune aziende – come la Babylon Health (che produce una app che dovrebbe integrare il lavoro dei medici di medicina generale britannici) – hanno visto crollare negli ultimi mesi il valore delle proprie azioni [3].
Proprio questa mancanza di evidenze solide di un vantaggio a favore dell’intelligenza artificiale è uno degli argomenti che ha suggerito di esprimersi in modo molto prudente anche al Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Filippo Anelli.
Qual è la posizione del Presidente dei medici italiani?
Intelligenza artificiale e telemedicina non dovrebbero diventare un’alternativa al ruolo e alle competenze del medico, ha spiegato Anelli. Laddove, come in Gran Bretagna, sono state tentate delle scorciatoie per introdurre sistemi informatici o applicazioni per alleggerire il carico di lavoro dei medici – oppure per ridurre i costi dell’assistenza – i risultati sono stati pessimi. Algoritmi ben costruiti o sistemi informatici capaci di elaborare un grande volume di dati anche in tempo reale possono rivelarsi strumenti fondamentali per il sistema sanitario. Computer e intelligenza artificiale diventeranno un supporto essenziale per una sempre maggiore precisione della diagnosi e della terapia. L’informatica e più in generale l’innovazione tecnologica dovranno aiutare il medico a svolgere ancora meglio la sua attività.
In concreto, cosa offre oggi la tecnologia informatica alla cura del paziente?
Le nuove tecnologie digitali – basti pensare a quelle più accessibili, come le app per gli smartphone o ai dispositivi indossabili (wearables) inseriti in orologi, magliette, scarpe, fasce, occhiali e così via – rilevano e misurano frequenza cardiaca o respiratoria, saturazione di ossigeno, temperatura corporea, pressione arteriosa, glucosio, sudore, onde cerebrali e altri parametri vitali. In questo modo, forniscono informazioni sullo stile di vita e possono trasmettere dati molto utili anche in termini clinici. Possono aiutare a migliorare il monitoraggio di alcune malattie o a rendere più efficienti i processi decisionali e consentire la diagnosi precoce di malattie che non si presentano con sintomi facilmente percepibili [4].
“La tecnologia digitale” ha ribadito Filippo Anelli “offre prospettive molto promettenti: pensiamo per esempio alla telemedicina applicata a un ambito come la cardiologia, dove già oggi gli elettrocardiogrammi viaggiano digitalmente così come le rilevazioni Holter o dei valori della pressione arteriosa. Il teleconsulto promette vantaggi anche in termini di alleggerimento delle liste di attesa e nella gestione del follow-up del paziente” [5].
Quindi il “cittadino monitorato” potrebbe diventare in certo senso un alleato del medico?
In certa misura sì. Infatti, l’accesso diretto da parte della persona monitorata con delle applicazioni informatiche o con la telemedicina può permettere anche al paziente (o al cittadino sano) di monitorare il proprio stato di salute, riuscendo a ottenere una partecipazione attiva e responsabile al proprio processo di cura o al mantenimento dello stato di salute, il cosiddetto “patient digital empowerment” [3]. Però, c’è anche il rischio di una sorta di medicalizzazione della vita quotidiana, che potrebbe portare con sé un carico di ansia nella persona monitorata e, come si è visto da alcune ricerche, un eccesso di diagnosi non clinicamente motivate [6].
Qualcuno ha pensato alle persone che non hanno familiarità con app e cose del genere?
Certamente. È un problema sentito, che ovviamente può condizionare la diffusione di queste innovazioni. “Una barriera all’utilizzo della medicina digitale è sicuramente il digital divide” puntualizza Giampaolo Collecchia, medico di medicina generale e componente del comitato etico della azienda Usl Toscana nord ovest, “cioè la tendenza a escludere i pazienti non padroni della tecnica, anziani ma anche persone con basso status socio-economico” [7]. E non sono gli unici problemi che la comunità scientifica e i decisori sanitari stanno considerando…
A cosa si riferisce, dottore?
Altri aspetti importanti sono legati alla qualità delle tecnologie, alla riservatezza e alla tutela dei dati personali. Se l’integrazione tra telemedicina e intelligenza artificiale consente di ripensare alle soluzioni che sono offerte tradizionalmente nei percorsi di cura, innovazioni di questa portata devono essere sostenute da prove rigorose e da riflessioni etiche che riguardano l’uso dei dati del paziente e le modalità con le quali possono essere sostenute alcune decisioni cliniche, spiega Alberto Eugenio Tozzi, dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Per fare questo grande passo è soprattutto necessaria una partecipazione attiva del paziente nella scelta delle modalità di cura più adatte alle sue esigenze” [8].
Questo è un aspetto sottolineato anche dal Presidente Anelli nell’articolo che prima ho citato. “La partecipazione pubblica è fondamentale e dobbiamo augurarci anche che il processo di progettazione della sanità digitale veda i cittadini e i pazienti partecipare attivamente alla determinazione delle priorità e al co-design delle soluzioni utili al miglioramento degli obiettivi di salute e alla promozione della qualità di vita” [5].
Mi sembra di capire che le questioni sul tappeto siano molte e anche delicate: è così?
Sì, è così. I grandi investimenti per questo settore previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stanno fortunatamente alimentando anche un confronto sui temi organizzativi, etici e relazionali insiti nel processo di introduzione delle innovazioni informatiche nell’assistenza sanitaria. Secondo molti esperti, spesso si pensa all’intelligenza artificiale in termini di possibili applicazioni tecnologiche, mentre potrebbe essere utile soprattutto ai fini di una maggiore comprensione dello stato di salute del paziente, al fine di una migliore personalizzazione del percorso di cura. Così la pensano per esempio Ziad Obermeyer, medico di emergenza e urgenza in uno dei maggiori ospedali di Boston, e Ezekiel Emanuel, tra i più noti bioeticisti del mondo [9].
Per tornare alla domanda iniziale, la figura del medico curante non dobbiamo considerarla superata, non è vero?
Come dice Filippo Anelli, mai come nei mesi della pandemia abbiamo avuto conferma del ruolo strategico della professione medica e dell’urgenza di un nuovo rapporto del medico con il malato. La vera rivoluzione è nella rivalutazione del ruolo del medico, della sua funzione sociale, anche come garante dei diritti democratici. C’è da dire che siamo di fronte ad una straordinaria opportunità: se riusciremo a integrare l’innovazione digitale e la migliore assistenza al malato, tutelando l’autonomia del professionista e la libertà di scelta del paziente, saremo stati capaci di avvicinare il servizio sanitario ai cittadini e, soprattutto, di aumentare la fiducia di questi ultimi nel sistema sanitario.
Dottore, mi sembra quasi di averle fatto una domanda poco intelligente…
Assolutamente no: non bisogna stancarsi di farsi domande sulle caratteristiche delle tecnologie, sui modi con i quali sono implementate e sugli esiti che la loro introduzione potrà determinare.
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