Nel corso delle ultime settimane diversi media hanno rilanciato la notizia secondo cui il virus SARS-CoV-2 circoli nell’aria, alimentando in molte persone il timore di essere contagiati anche solo respirando in spazi pubblici chiusi, o perfino all’aperto. Non è così. Per il momento, le indicazioni fornite dagli organi istituzionali confermano che la modalità di trasmissione accertata è quella che avviene attraverso il contatto stretto con una persona contagiata. La via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette, trasmesse ad esempio tramite la saliva, tossendo e starnutendo, o toccando con le mani contaminate e non lavate bocca, naso o occhi. Questo tipo di trasmissione generalmente avviene quando due o più persone sono a una distanza inferiore a un metro [1]. A confermare che non esistono al momento evidenze scientifiche che provino un raggio più ampio delle particelle patogene è anche il Ministero della Salute, sul cui sito si legge: “Il virus SARS-CoV-2 vola nell’aria fino a 5 metri? Falso! Non esistono evidenze scientifiche” [2].
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) chiarisce che con l’espressione “trasmissione aerea” si intende una cosa diversa da quella veicolata dai droplet (particelle del diametro maggiore di 5 μm, troppo pesanti per resistere a lungo sospese in aria). Dire che il virus “circola nell’aria” significa accettare che possa muoversi come aerosol, ovvero all’interno di nuvole di sostanze non visibili a occhio nudo che possono spostarsi di oltre un metro dal soggetto. È sempre l’OMS a sottolineare che “la trasmissione aerea può essere possibile in circostanze e contesti specifici in cui vengono eseguite procedure o trattamenti di supporto che generano aerosol; cioè intubazione endotracheale, broncoscopia ecc.” [3]. Pertanto, solo in situazioni molto particolari e, comunque, nel corso di procedure eseguite esclusivamente in ambiente sanitario.
In quali circostanze il virus riesce a spostarsi di oltre un metro?
Ad approfondire la questione è stata Lydia Bourouiba del Massachusetts Institute of Technology. In un recente articolo pubblicato sul JAMA la ricercatrice ha evidenziato come la durata della permanenza in aria delle particelle meno pesanti (aerosol, Figura 1) sia influenzata anche dalle “proprietà dell’ambiente all’interno del quale si sposta la nube di particelle, come umidità e temperatura, oltre che dal grado di turbolenza e velocità della nuvola di gas”. La ricercatrice aggiunge però che “non è noto se questi dati abbiano implicazioni cliniche rispetto alla Covid-19” [4].
Ad oggi, non è ancora possibile dare risposta ai molti interrogativi che circolano intorno alle possibili modalità di trasmissione del SARS-CoV-2 e sono necessari ulteriori studi per poter trarre conclusioni. Lo stesso vale anche per le valutazioni sulla capacità del virus di rimanere attivo su alcuni materiali anche per diverse ore (come abbiamo spiegato nella scheda Il SARS-CoV-2 sopravvive a lungo sulle superfici).
Fino a che punto si sposta il virus nell’aria e quanto a lungo rimane stabile?
Le prove fino ad ora raccolte offrono alcune – preliminari – risposte. “Al culmine dell’epidemia di coronavirus a Wuhan – riporta un articolo pubblicato sulla rivista Nature – il virologo Ke Lan dell’Università di Wuhan ha raccolto campioni di aerosol in diverse aree pubbliche, compresi un ospedale dedicato ai pazienti Covid-19 e due grandi magazzini” [5]. Il lavoro di Lan e colleghi – “nonostante sia stato trovato RNA virale da SARS-CoV-2 nei pressi delle strutture pubbliche” – non ha verificato che gli aerosol raccolti fossero in grado di veicolare il contagio. Inoltre, le tracce di RNA trovate erano in concentrazioni molto basse, tali da non poter stabilire se il virus fosse ancora attivo [6]. Fuori da un organismo vivente, infatti, le particelle patogene degradano con il passare del tempo, perdendo la capsula che racchiude l’RNA (il materiale genetico che costituisce il nucleo del virus, racchiuso da un rivestimento proteico che codifica l’informazione genetica del virus e ne permette la replicazione).
Joshua Santarpia, tra gli autori delle ricerche condotte dal Centro medico dell’Università del Nebraska, ha dichiarato a The Atlantic: “Scopriremo che, come molti altri virus, il SARS-CoV-2 non è particolarmente stabile in condizioni esterne come la luce solare o le temperature calde” [7]. Il team di ricerca del Nebraska, nel suo recente studio, ha trovato tracce dell’RNA del virus in “luoghi ovvi come le spondine del letto o i servizi igienici, griglie di ventilazione, davanzali e pavimenti”, oltre che nei corridoi. Ma ciò non deve essere motivo d’allarme, secondo Santarpia, “trovare l’RNA virale è come trovare un’impronta digitale su una scena del crimine: il colpevole era lì, ma potrebbe essere scomparso da tempo” [8].
Lo studio collaborativo di diversi centri del National Institute of Allergy and Infectious Disease [9] ha sollecitato una risposta da parte di ricercatori della Johns Hopkins University (un’università statunitense molto autorevole) che hanno fatto rilevare come i risultati non siano del tutto in linea con quanto esposto dall’OMS. “Al momento” scrivono gli autori della lettera di risposta “le ricerche preliminari in corso sono spesso ancora in attesa di valutazione o necessitano di ulteriori approfondimenti perché limitate nelle dimensioni del campione analizzato o nelle condizioni ‘altamente artificiali’ in cui sono stati raccolti i dati” [10]. In altre parole, il contesto in cui i dati sono stati raccolti potrebbe non essere paragonabile a quello della vita quotidiana.
Dottore, verranno fatte altre ricerche sull’argomento?
A sollevare nuovi timori è la notizia di pochi giorni fa che la Società Italia di Medicina Ambientale (SIMA) ha dimostrato che il virus della Covid-19 è presente nel particolato atmosferico [11]. La ricerca condotta da Leonardo Setti e colleghi ha analizzato campioni di aria ambiente di siti industriali nella provincia di Bergamo. Come afferma Gianluigi De Gennaro, tra gli autori della ricerca, “la prova che l’RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente non attesta ancora con certezza definitiva che vi sia una terza via di contagio” [12].
Ebbene, alcuni esperti – come Bill Hanage, epidemiologo di Harvard – suggeriscono che serviranno anni ed esperimenti a lungo termine per scoprire quali distanze può coprire il virus mantenendosi stabile e infettivo. “È molto più rischioso toccare superfici condivise che respirare la stessa aria in poco tempo” aggiunge Santarpia, che conclude sottolineando le raccomandazioni dell’OMS: “Se sai di essere in uno spazio condiviso, segui le linee guida sul distanziamento sociale, lavati le mani e cerca di evitare di toccarti il viso”. Inoltre, non è chiaro se una persona affetta da Covid-19 riesca a produrre aerosol con una concentrazione tale di virus in grado di costituire un rischio per le persone vicine. Come ha dichiarato a Nature Jamie Llloyd-Smith, ricercatrice ed esperta di malattie infettive dell’Università della California, “se stai respirando aerosol contenente virus, non sappiamo quale sia la dose infettiva che dia una probabilità significativa di essere contagiati” [6].
Per ora, l’OMS mantiene una posizione molto cauta in merito alla trasmissione aerea del virus e la circoscrive a contesti ospedalieri dove vengono eseguite procedure che generano aerosol. Infine, “le attuali raccomandazioni dell’OMS sottolineano l’importanza di un uso razionale e appropriato di tutti i Dispositivi di Protezione Individuali, oltre che delle mascherine, che richiedono un comportamento corretto e rigoroso […]. Infine, l’OMS continua a sottolineare la massima importanza dell’igiene frequente delle mani, del rispetto delle norme igieniche, della sanificazione degli ambienti, nonché l’importanza di mantenere le distanze fisiche ed evitare il contatto stretto e non protetto con le persone con febbre o sintomi respiratori” [3].
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