I soldi non fanno la felicità?

29 Dicembre 2025 di Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

C’è un detto popolare che tutti conosciamo: “i soldi non fanno la felicità”. Eppure, nella vita di tutti i giorni, le preoccupazioni economiche sono una fonte concreta di stress per moltissime persone. La scienza, in particolare l’economia comportamentale e la psicologia, ha cercato di dare una risposta precisa, misurando quanto il reddito influenzi davvero il nostro benessere.

Ma se si parla di felicità non si può non parlare anche di salute, e allora la relazione diventa ancora più complessa. Analizziamo insieme cosa dicono gli studi più recenti per capire dove finisce il mito e dove inizia la realtà scientifica.

Dottore, c’è una cifra “esatta” per essere felici?

Per molto tempo, uno studio molto famoso del 2010 condotto dai premi Nobel Daniel Kahneman e Angus Deaton ha suggerito che esistesse una soglia precisa: circa 75.000 dollari l’anno (una cifra che garantisce una vita benestante). Secondo quella ricerca, guadagnare di più aumentava la soddisfazione generale per la propria vita, ma non migliorava l’umore quotidiano: in altre parole, i ricchi si dicevano più soddisfatti ma non ridevano di più né si stressavano di meno rispetto a chi aveva un reddito medio-alto [1].

Tuttavia, studi molto più recenti hanno chiarito meglio la situazione [2, 3]. Una nuova ricerca, che ha utilizzato tecnologie più moderne per tracciare le emozioni in tempo reale, ha dimostrato che per la maggior parte delle persone la felicità continua a crescere anche ben oltre quella soglia [2]. Insomma, non sembra esserci una cifra magica oltre la quale i soldi smettono di contare per tutti.

Quindi più guadagno e più sarò felice?

Non esattamente. La sfumatura fondamentale emersa è che esiste una “minoranza infelice” (circa il 15-20% della popolazione). Per queste persone, che magari stanno affrontando lutti, depressione clinica o pene d’amore, i soldi aiutano solo fino a un certo punto (circa 100.000 dollari annui). Una volta raggiunta la sicurezza economica di base, se si è emotivamente sofferenti, il denaro extra non cura il dolore [3].

Per tutti gli altri, invece, più reddito tende ad associarsi a una maggiore felicità, ma con un rendimento decrescente: passare da uno stipendio basso a uno medio cambia la vita radicalmente; passare da uno stipendio altissimo a uno ancora più alto ha un impatto emotivo molto minore [3].

Dottore, la mancanza di denaro influisce sulla mia salute?

Il reddito è uno dei più potenti determinanti sociali di salute [4]. Questi determinanti includono tutti quei fattori non medici, come lavoro, istruzione, abitazione, ambiente e relazioni, che plasmano il nostro stato di salute e la nostra longevità.

Un reddito insufficiente ha un impatto diretto e significativo sulla salute, generando profonde disuguaglianze in termini di aspettativa di vita e benessere: riduce la possibilità di accedere a cibo sano, abitazioni sicure e servizi sanitari ed educativi di qualità, aumenta il rischio di vivere in ambienti precari o inquinati, diminuisce la capacità di gestire lo stress quotidiano, aumentando il rischio di ansia, depressione e altre forme di disagio mentale, e spesso si associa a un aumento dei comportamenti a rischio (come fumo, abuso di alcol e sedentarietà). Questo insieme di fattori crea un progressivo accumulo di svantaggi sanitari che può iniziare già dall’infanzia.

Inoltre “salute e malattia dipendono molto dalle caratteristiche del gruppo cui si appartiene e, più in generale, dalle caratteristiche dei Paesi in cui si vive. Questo per dire che il denaro conta molto se vivi in un Paese povero e ne hai poco; conta di meno, in proporzione, se il tuo Paese gode di un relativo benessere economico complessivo”. Quindi essere poveri fa male, soprattutto se il contesto intorno è povero. Se invece il contesto generale garantisce servizi (sanità pubblica, welfare), il reddito individuale pesa un po’ meno.

I dati italiani confermano questa associazione: i rapporti sul “benessere equo e sostenibile” mostrano che chi ha molte difficoltà economiche riferisce in media una peggiore salute e una minore soddisfazione per la propria vita. Tuttavia mettono anche in evidenza che contano molto la qualità delle relazioni familiari e sociali, il lavoro, l’ambiente in cui si vive, la fiducia nelle istituzioni [5].

In ogni caso, se le preoccupazioni economiche tolgono il sonno, portano a litigi continui o a pensieri negativi sulla propria vita, è importante parlarne con il medico di medicina generale, che può valutare insieme al paziente l’eventuale necessità di un supporto psicologico o di altri servizi sul territorio.

Dottore, perché alcune persone con pochi soldi sembrano comunque felici?

Gli psicologi parlano di benessere come di qualcosa di “multidimensionale”: non riguarda solo il conto in banca, ma anche il senso di sicurezza, la possibilità di fare progetti, il sentirsi utili, rispettati, circondati da affetto [6, 7].

Per questo può capitare di incontrare persone con redditi modesti che, però, hanno legami familiari e di amicizia molto solidi, una forte partecipazione alla vita del quartiere, dell’associazione sportiva o del volontariato, valori personali (per esempio la fede o l’impegno sociale) che danno un significato profondo alla loro vita: le ricerche mostrano che sentirsi parte di una comunità, avere qualcuno su cui contare e percepire di avere un minimo di controllo sulle proprie scelte pesa molto sulla felicità [7].

Attenzione però a non “romanticizzare” la povertà: vivere con troppi pochi soldi resta un fattore di rischio per la salute fisica e mentale. Non è la mancanza di denaro a rendere felici, ma il fatto che alcune persone, pur nelle difficoltà, riescono a costruire reti e significati che proteggono almeno in parte il loro benessere.
L’obiettivo realistico è avere abbastanza per vivere con dignità e proteggere ciò che conta davvero: salute, relazioni, sicurezza e possibilità di scegliere la vita che desideriamo.

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Autore Rebecca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Rebecca De Fiore ha conseguito un master in Giornalismo presso la Scuola Holden di Torino. Dal 2017 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per riviste online e cartacee di informazione scientifica. Fa parte della redazione del progetto Forward sull’innovazione in sanità e collabora ad alcuni dei progetti istituzionali con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio.
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