Nei quartieri dove le case costano di più si muore di meno?

20 Settembre 2022 di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

C’è un tram che fa perdere cinque mesi di vita per ogni chilometro che percorre. Almeno così sosteneva una breve inchiesta pubblicata sul settimanale di uno dei quotidiani più diffusi d’Italia [1]. Il tram incriminato non è uno solo, perché in realtà sono due (il numero 3 e il 6) tra loro collegati che percorrono Torino dalla zona precollinare alle case popolari del quartiere delle Vallette. E tra le due zone del capoluogo piemontese c’è ovviamente una grande differenza nel valore delle abitazioni, nei costi di affitto e non solo.

Ma i dati sulla mortalità di cui parla il titolo di questa scheda da dove vengono?

nei quartieri dove le case costano di più si muore di menoSono dati costantemente raccolti dagli epidemiologi italiani, ma anche di altri Paesi. L’inchiesta a cui prima facevamo riferimento si basava sul secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità in Italia curato da studiosi dell’università di Torino, voluto dalla Commissione delle Regioni e pubblicato già nel 2014 [2]. Come spiegava il curatore del rapporto in un’intervista uscita a ridosso della pubblicazione delle ricerche, “il divario fra i quartieri socio-economicamente svantaggiati e quelli più ricchi può essere sintetizzato dalla differenza di circa quattro anni nella speranza di vita per gli uomini” [3].

Quindi questa relazione tra la salute e la zona in cui si vive non riguarda solo l’Italia?

Assolutamente no. È un’evidenza che scaturisce da studi condotti in tanti Paesi del mondo. “Numerosi studi pubblicati negli ultimi 20 anni hanno dimostrato che in tutta Europa i cittadini in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima” [4]. A Glasgow, un’importante città della Scozia, il divario dell’aspettativa di vita tra il quartiere benestante e la periferia è di circa 20 anni [5].

Forse il riferimento alla città di Torino ha suscitato un’eco maggiore solo perché l’associazione col percorso del tram è effettivamente molto efficace. Associazione che peraltro era stata già usata per Washington [6] e per Londra [7]. Ma ci sono molti modi per visualizzare questo problema.

E quali sarebbero?

Un grande medico e ricercatore inglese – Sir Michael Marmot – disegnò e condusse diversi anni fa uno studio della durata di 25 anni effettuato nel Regno Unito e che ancora viene spesso citato per le conclusioni esemplari a cui arrivò [8]. Lo studio metteva a fuoco l’andamento della mortalità tra i dipendenti pubblici britannici, e questi furono i risultati: tanto più elevato era il livello di potere e la responsabilità, tanto più bassa era la mortalità.

In particolare, coloro che occupavano il secondo livello di responsabilità nella scala gerarchica avevano una mortalità superiore del 25 per cento rispetto ai massimi dirigenti; quelli del terzo livello una mortalità superiore del 60 per cento e dell’ultimo livello dell’80 per cento. Le differenze nelle probabilità di morire precocemente riguardavano quasi tutte cause di morte, in particolare le malattie cardiovascolari.

Non pensa, dottore, che le gerarchie siano in fin dei conti inevitabili?

nei quartieri dove le case costano di più si muore di menoProbabilmente sì, anche perché ci sarà sempre la necessità di qualcuno che svolga compiti meno qualificati di altri. Ma se le gerarchie sono forse inevitabili, non si può dire lo stesso delle disuguaglianze di salute e del gradiente sociale che potrebbe essere – se non annullato – drasticamente ridotto con politiche sociali e sanitarie mirate.

Questo legame fra posizione sociale e salute – livello più alto, salute migliore – viene definito appunto gradiente sociale nella salute ed è al centro di ricerche di molti bravi epidemiologi, anche nel nostro Paese. Il gradiente sociale nell’aspettativa di vita va esattamente dall’alto verso il basso. “Nella classe sociale più alta non ci si sente semplicemente meglio, si sta meglio” spiega Marmot. Si vive più a lungo e la qualità della vita è migliore: le persone con reddito modesto vivono in abitazioni in quartieri periferici e trascorrono più tempo di vita affetti da disabilità di ogni genere. “In media, le persone in cima alla scala sociale vivono dodici anni con disabilità contro i venti anni delle persone più svantaggiate” [9].

Ma l’associazione tra valore delle case e salute è stata studiata davvero?

Certamente. Uno studio disegnato e condotto dal Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario del Lazio ASL Roma 1 (di solito abbreviato in Deplazio) ha seguito per diversi anni più di due milioni di persone residenti a Roma [10]. Il 54 per cento era donna e il 22,5 per cento aveva un alto livello di istruzione.

Il primo dato a essere stato rilevato è che l’istruzione è un forte determinante della mortalità. Tenendo conto di età, genere, stato civile e prezzo degli immobili nel quartiere di residenza, rispetto a chi ha un livello di istruzione alto, le persone con un’istruzione media hanno il 16 per cento in più di probabilità di morte e questa percentuale sale al 35 per cento in chi ha un’istruzione bassa. Tenendo conto degli stessi fattori e del titolo di studio, a ogni mille euro di aumento del prezzo al metro quadro degli immobili la probabilità di morte si riduce del 4 per cento.

Aspetti dottore, mi sto confondendo…

Ha ragione. In altre parole, immaginiamo che due signori sessantenni ugualmente in salute si trovino per giocare a tennis: Tommaso – laureato in Economia e commercio – ha una probabilità di essere ancora in vita a distanza di cinque anni del 20 per cento, mentre nel caso di Carlo – che si è fermato alla licenza media – la probabilità di sopravvivenza scenderà al 16,8 per cento.

Consideriamo invece l’associazione tra il valore dell’abitazione e la probabilità di morte. Virginia – moglie di Tommaso – risiede in una casa del Centro storico di Roma che vale 7.200 euro al metro quadro. Stefania – moglie di Carlo – vive in una casa in una zona periferica oltre il Grande raccordo anulare, dove il prezzo a metro quadro delle abitazioni non arriva a 2 mila euro al metro quadro. Ebbene, alla luce della ricerca condotta dal Deplazio, avremo 80 probabilità su cento di ritrovare Virginia ancora in vita nella sua casa tra cinque anni, mentre purtroppo le probabilità di sopravvivenza di Stefania sarebbero di poco superiori al 75 per cento.

Queste differenze dipendono da tanti fattori e il valore della casa è un criterio in certa misura rappresentativo di molti di essi: infatti, è più frequente che chi vive in un quartiere “elegante” abbia un titolo di studio più qualificato, un’istruzione migliore che può permettergli di interagire in modo più consapevole con i propri medici e con il servizio sanitario, una disponibilità economica tale da poter frequentare una palestra o un circolo sportivo o semplicemente la possibilità di poter godere di aree verdi dove fare esercizio o movimento.

Insomma, salute e malattia dipendono molto dalle caratteristiche del gruppo cui si appartiene e, più generale, dalle caratteristiche dei paesi in cui si vive. Questo per dire che il denaro conta molto se vivi in un paese povero e ne hai poco; conta di meno, in proporzione, se il tuo paese gode di un relativo benessere economico complessivo.

Dottore, mi è venuta un po’ di melanconia…

nei quartieri dove le case costano di più si muore di menoAttenzione, ci sono anche buone notizie: la prima è l’aumento della conoscenza. Sappiamo molto più di quello che sapevamo fino a qualche decennio fa [11]. Per esempio, sappiamo che se in Italia, come negli altri paesi europei, con un colpo di bacchetta magica si potessero eliminare le disuguaglianze di mortalità tra le persone più istruite e quelle meno istruite si eviterebbero più del 25 per cento delle morti tra gli uomini e più del 10 per cento tra le donne [4].

E di questo dobbiamo ringraziare chi lavora duramente in tutto il mondo per far emergere le evidenze di cui abbiamo parlato. La seconda cosa importante è che conosciamo il valore dell’impegno per la giustizia sociale e per una migliore salute per tutti.

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Autore Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Luca De Fiore è stato presidente della Associazione Alessandro Liberati – Network italiano Cochrane, rete internazionale di ricercatori che lavora alla produzione di revisioni sistematiche e di sintesi della letteratura scientifica, utili per prendere decisioni cliniche e di politica sanitaria (www.associali.it). È direttore del Pensiero Scientifico Editore. Dirige la rivista mensile Recenti progressi in medicina, indicizzata su Medline, Scopus, Embase, e svolge attività di revisore per il BMJ sui temi di suo maggiore interesse: conflitti di interesse, frode e cattiva condotta nel campo della comunicazione scientifica. Non ha incarichi di consulenza né di collaborazione – né retribuita né a titolo volontario – con industrie farmaceutiche o alimentari, di dispositivi medici, produttrici di vaccini, compagnie assicurative o istituti bancari.
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