“La vitamina D arresta diabete, iperglicemia, insulino-resistenza e obesità”. Recita così il titolo di un articolo del 2017 pubblicato da uno dei tanti portali web di salute, alimentazione, rimedi naturali e altre tematiche affini. Un portale che, guarda caso, contiene anche una sezione shop dove è possibile acquistare degli integratori di vitamina D, molecola descritta come “l’ormone steroideo che influenza praticamente ogni cellula del corpo”. Alla base di questa associazione una serie di studi che qualche anno fa aveva suggerito un possibile ruolo della vitamina D nello sviluppo del diabete di tipo 2. Tuttavia alcune ricerche recenti hanno smorzato gli entusiasmi circa la possibilità di prevenire questa malattia cronica attraverso l’assunzione di integratori e supplementi di vitamina D.
Perché la vitamina D potrebbe avere un ruolo nello sviluppo del diabete?
L’ipotesi di un’associazione tra bassi livelli di vitamina D e rischio di diabete di tipo 2 è plausibile da un punto di vista biologico: infatti, una carenza di 25-idrossi-vitamina D nel sangue è stata associata sia a una compromissione della funzionalità delle cellule beta del pancreas sia all’insulino-resistenza, entrambi fenomeni coinvolti nel diabete di tipo 2 [1].
Inoltre, nel corso degli ultimi dieci anni alcuni studi cosiddetti osservazionali [2] hanno effettivamente individuato un’associazione tra livelli di 25-idrossi-vitamina D nel sangue e il rischio di diabete di tipo 2 [3,4], mentre una breve ricerca ha messo in evidenza un miglioramento della funzionalità delle cellule beta del pancreas associato all’assunzione di integratori di vitamina D [5].
Tuttavia, per le loro caratteristiche nessuno di questi lavori permette di stabilire un rapporto di causa-effetto tra l’assunzione di integratori di vitamina D e un ridotto rischio di diabete.
Non è mai stato studiato questo rapporto di causa-effetto in modo specifico?
Come è noto, per stabilire se un intervento terapeutico è in grado di ridurre il rischio di sviluppare una patologia è necessario realizzare uno studio clinico randomizzato, in cui metà dei soggetti riceve l’intervento e l’altra metà viene sottoposta a un placebo. È proprio questo quello che ha fatto il gruppo di ricerca responsabile dello studio D2d (Vitamin D and Type 2 Diabetes) che ha voluto indagare l’efficacia degli integratori di vitamina D nel proteggere dal diabete in un gruppo di soggetti ad alto rischio.
I risultati di questo studio sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine [6]. Dalle analisi, condotte su circa 2.500 individui, è emerso che questi agenti potrebbero ridurre leggermente (tra il 10% e il 15%) il rischio di diabete ma anche che questo effetto non è statisticamente significativo. Alla stessa conclusione, poi, sono giunti altri due studi di dimensioni minori, uno norvegese e l’altro giapponese: il rischio di sviluppare un diabete è risultato minore nel gruppo di soggetti trattati con integratori della vitamina D, ma in entrambi i casi questo effetto non è risultato significativo [7,8].
Di conseguenza, alla luce di questi risultati, gli autori dello studio D2d concludono che “tra le persone ad alto rischio di diabete di tipo 2, non selezionati in base alla presenza di un’insufficienza di vitamina D, un supplemento giornaliero non riduce significativamente il rischio di diabete rispetto a un placebo”.
Dottore, come posso ridurre il rischio di sviluppare il diabete?
Come riportato nelle raccomandazioni dell’American Diabetes Association, diversi studi hanno dimostrato come l’adozione di uno stile di vita sano, associata a una dieta con un ridotto apporto di calorie, sia “altamente efficace nel ridurre il rischio di diabete di tipo 2” [9].
Per esempio, il Diabetes Prevention Program ha dimostrato come sia possibile ridurre la probabilità di diventare diabetici attraverso un programma comportamentale basato su una riduzione del 7% del peso corporeo e 150 minuti di attività fisica moderata o intensa (come per esempio la camminata veloce) a settimana [10].
Inoltre, poiché è nota la relazione tra fumo e rischio di diabete, ogni intervento finalizzato alla riduzione del rischio dovrebbe prevedere anche modi per favorire una cessazione dal consumo di tabacco [11].
Il consiglio è sempre quello di non adottare cure “fai da te” e di confrontarsi con il proprio medico per arrivare insieme a una scelta condivisa e non rimanere vittime di false informazioni.
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