Si stima che in Italia, nel solo 2017, le vendite di farmaci da banco che contengono acidi omega-3 abbiano raggiunto i 31,5 milioni di euro, un dato in crescita rispetto agli anni precedenti. Molte persone assumono questi supplementi per un fine di “prevenzione cardiovascolare”, specie nelle fasce di età comprese tra 55 e 75 anni in cui il consumo di “integratori alimentari” è quadruplicato negli ultimi 4 anni [1]. Tuttavia, dalle evidenze scientifiche prodotte negli ultimi anni sembra che questi prodotti non abbiano un reale effetto sulla salute cardiovascolare.
Da dove nasce l’idea che supplementi di acidi grassi omega-3 facciano bene al cuore?
Diversi studi hanno indagato questa relazione – e diviso la comunità medica – in pazienti ad alto rischio cardiovascolare (prevenzione primaria) o con pregressa malattia cardiovascolare (prevenzione secondaria), ma le evidenze a supporto dell’idea di un effetto benefico degli acidi grassi omega-3 sulla salute cardiovascolare si devono principalmente a una serie di studi, condotti diversi anni fa, che avevano indagato gli effetti dell’assunzione di pesce, notoriamente ricco di queste sostanze, in pazienti che avevano in precedenza sofferto un infarto miocardico [2].
Cosa dicono gli studi più recenti sul rapporto tra acidi grassi omega-3 e salute cardiovascolare?
Per quanto riguarda la prevenzione primaria, ovvero la prevenzione di eventi cardiovascolari in persone con livelli elevati di colesterolo nel sangue ma che non sono ancora andate incontro a episodi di questo genere, non esistono evidenze relative ad alcun beneficio associato all’assunzione di supplementi alimentari di acidi grassi omega-3 [3,4,5].
Questo dato ha recentemente trovato riscontro anche in uno studio su un campione molto ampio di pazienti diabetici, categoria caratterizzata da un rischio cardiovascolare molto elevato. Il trial ASCEND ha arruolato 15.480 soggetti con diabete di tipo 1 o 2 senza storia di precedenti eventi cardiovascolari e ha paragonato gli effetti di una somministrazione di acidi grassi omega-3 (1 g al giorno) a quelli di un placebo, per una durata di 7,4 anni. I risultati non hanno messo in evidenza alcun beneficio in termini di riduzione di eventi vascolari nei 7740 pazienti che avevano ricevuto la supplementazione con acidi grassi omega-3 [6].
“Pertanto” sottolineano Bianca Rocca e Alessandro Mugelli, docenti di Farmacologia rispettivamente presso l’Università Cattolica di Roma e l’Università degli Studi di Firenze, autori di un articolo sul tema pubblicato sulla rivista CARE, “le evidenze attuali non mostrano nessun beneficio della supplementazione alimentare con omega-3 in soggetti senza un precedente evento cardiovascolare, anche nel gruppo di pazienti più ad alto rischio, come quelli diabetici” [7].
E per quanto riguarda la prevenzione secondaria?
Se invece parliamo di persone che già hanno sofferto di infarto miocardico, la situazione è più complessa. Infatti, gli acidi grassi omega-3 erano stati inizialmente autorizzati per l’utilizzo in prevenzione secondaria nei pazienti con una storia pregressa di quella che viene tecnicamente chiamata “sindrome coronarica acuta”.
Tuttavia, come riportato da una recente comunicazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco, in seguito a una rivalutazione delle evidenze prodotte negli ultimi anni [8] “l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha concluso che i medicinali a base di acidi grassi omega-3 non sono efficaci nel prevenire la ricorrenza di problemi cardiaci e circolatori in pazienti che hanno avuto un infarto. La conclusione, basata su una rivalutazione dei dati raccolti nel corso degli anni, è che questi medicinali non saranno più autorizzati per tale uso” [9,10].
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