Esistono diverse “cure” per l’autismo?

15 Giugno 2018 di Fabio Ambrosino (Pensiero Scientifico Editore)

È una domanda a cui non è semplice dare una risposta: possiamo dire che esistono diversi modelli di presa in carico della persona con un disturbo dello spettro autistico (abbreviato in DSA o ASD, dall’inglese Autism Spectrum Disorder) – bambino, adolescente e adulto – che poggiano su prove di efficacia di differente solidità. In altri termini, i risultati dei numerosi studi condotti negli ultimi anni hanno dato indicazioni diverse ma tra le cose che sappiamo – ci dice Maurizio Bonati, responsabile del dipartimento di Salute pubblica dell’Istituto Mario Negri – c’è sicuramente che la “diagnosi precoce e interventi tempestivi e appropriati possono migliorare le capacità comunicative, le autonomie individuali e sociali e la qualità della vita del bambino, dell’adolescente ma anche dei genitori”.

Cos’è l’autismo?

“Il concetto di autismo – spiegano il neuropsichiatra Giovanni Valeri e lo psicologo Giacomo Vivanti – è stato introdotto nel 1943 dallo psichiatra austriaco Leo Kanner per descrivere una sindrome caratterizzata da anomalie nella comunicazione e nella reciprocità sociale e da comportamenti rigidi e ripetitivi (Kanner, 1943). Gli studi condotti nei decenni successivi hanno supportato la validità di questo concetto diagnostico, documentando la presenza di specifiche caratteristiche cliniche che distinguono in modo attendibile l’autismo da altri disturbi, come il disturbo specifico del linguaggio, la schizofrenia e la disabilità intellettiva.”

Attualmente, i criteri del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (il testo di riferimento per la psichiatria internazionale) indicano due principali “bersagli” dei disturbi dello spettro autistico sulla persona colpita: un danno nella comunicazione sociale e un repertorio ristretto di attività e di interessi. In altre parole, il bambino o adolescente con autismo manifesta dei problemi nella capacità di comunicazione non verbale, nel costruire e mantenere rapporti sociali, ha interessi circoscritti, tende a seguire delle routine quotidiane resistendo alle novità o ai cambiamenti e così via.

Quanto è diffuso e dove ha origine questo disturbo?

L’autismo colpisce all’incirca 1 bambino su 100; la mediana della prevalenza a livello mondiale è di 0,62-0,70% (Elsabbagh et al., 2012) e anche per gli adulti i dati sono simili (Brugha et al., 2011). Circa il 45% delle persone con DSA presenta una disabilità intellettiva (Fombonne et al., 2011). È un disturbo che colpisce i maschi più delle femmine, con un rapporto di circa 4 a 1.

Riguardo alle cause del disturbo dello spettro autistico, esse non sono note. Possiamo soltanto escludere che ci siano rapporti con le vaccinazioni o con il consumo di alcuni cibi. “La salute mentale è il risultato di interazioni complesse tra genetica, neurobiologia e ambiente – spiega Maurizio Bonati – nella maggior parte dei casi la componente genetica non determina in modo lineare il rischio di malattia, ma implica semplicemente una maggiore sensibilità agli effetti dell’ambiente.”

Cosa si può fare di “utile”?

Anche se molti bambini con autismo vengono diagnosticati dopo i tre anni, molti bambini presentano i primi sintomi già intorno ai dodici mesi. I primi a comparire sono i segni che riguardano aspetti comunicativi e sociali, come l’assenza di contatto oculare, la mancata comparsa di alcuni gesti comunicativi, e la mancata risposta al nome. Durante la prima infanzia emergono inoltre anomalie nel comportamento di gioco e, nei bambini che sviluppano abilità verbali, anomalie nell’uso del linguaggio, come l’utilizzo di ecolalia, inversione pronominale e linguaggio idiosincratico (Vicari e Vitiello, 2015).

Per questo, “diagnosi precoce e interventi tempestivi e appropriati possono migliorare le capacità comunicative, le autonomie individuali e sociali e la qualità della vita dell’intero nucleo familiare”, spiega Maurizio Bonati. “Di solito, invece, la diagnosi si fa intorno ai cinque anni, con circa tre anni di ritardo rispetto ai primi dubbi dei genitori. Sarebbe un grande risultato se una maggiore consapevolezza del problema suggerisse ai genitori di porre il quesito ai medici entro i diciotto mesi per giungere a una diagnosi entro i due anni. A questo obiettivo potrebbero contribuire anche i pediatri di libera scelta osservando i segnali di rischio di disturbo dello spettro autistico, inviando i piccoli pazienti tempestivamente e con accesso prioritario ai servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza per la conferma diagnostica.” In età scolare si possono osservare miglioramenti nelle abilità comunicative e sociali in molti bambini con autismo, soprattutto se vengono messi in atto tempestivamente programmi di intervento adeguati.

In adolescenza, tuttavia, di fronte alle sfide sempre più complesse poste dell’ambiente sociale, le persone con autismo possono sperimentare difficoltà ancora maggiori, a causa delle difficoltà nel navigare un mondo sociale che richiede abilità sempre più sofisticate. Gli adulti con autismo continuano a presentare deficit nelle aree di comunicazione, reciprocità sociale e flessibilità del comportamento (Vicari e Vitiello, 2015).

Ho sentito dire di cure per l’autismo che ricorrono anche a strumenti come la pet therapy: sono efficaci?

In realtà, per diversi trattamenti tra quelli proposti – anche con il ricorso alla pet therapy – non si dispone di prove sufficienti di efficacia che ne giustifichino la diffusione. Le tante e articolate attività di ricerca nell’ambito della terapia dei disturbi dello spettro autistico ci dicono che i trattamenti dovrebbero avere tre caratteristiche: essere individualizzati, multidimensionali e multidisciplinari (Vicari e Vitiello, 2015). “Gli obiettivi principali sono quelli di massimizzare l’indipendenza funzionale e la qualità della vita, attraverso interventi di supporto allo sviluppo e all’apprendimento, miglioramento delle abilità sociali e comunicative, riduzione della disabilità e dei disturbi in comorbilità, promozione dell’indipendenza e sostegno alle famiglie. Inoltre le persone con autismo dovrebbero essere aiutate a utilizzare al meglio le loro aree di forza (Valeri e Vivanti, 2015).

Dopo la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA, 2005), l’Istituto Superiore di Sanità ha curato la preparazione e la pubblicazione di linee guida che, fino al loro aggiornamento, rappresentano un punto di riferimento per la comunità scientifica e per i clinici del nostro paese (ISS, 2011). Le linee guida italiane sono coerenti con quelle pubblicate in altre nazioni del mondo.

Cosa sembra “funzionare” nella cura della persona con autismo?

Le linee guida nazionali e internazionali raccomandano che i bambini con DSA seguano dei programmi di intervento comportamentale intensivo e precoce. Questo approccio fa riferimento all’utilizzo di strategie psicoeducative per l’insegnamento e l’acquisizione di abilità finalizzate a compensare le difficoltà in molteplici aree evolutive. All’interno di questo approccio, diversi modelli pongono l’enfasi su obiettivi differenti e utilizzano varie strategie. Alcuni fattori sono comuni a tutti i modelli di trattamento di documentata efficacia: la precocità (l’intervento deve iniziare non appena sussista il forte sospetto di diagnosi di autismo); l’intensività (almeno 20 ore a settimana di attività psicoeducativa specificamente programmata); l’adattamento delle strategie educative e degli obiettivi di apprendimento all’età cronologica e all’età di sviluppo del bambino; l’utilizzo di strumenti di valutazione per determinare il profilo di punti di forza e punti di debolezza e, conseguentemente, le esigenze educative e gli obiettivi di apprendimento del bambino; un basso rapporto operatori-alunni; il coinvolgimento della famiglia; l’enfasi su obiettivi di apprendimento nelle aree di comunicazione, socializzazione, e del comportamento adattivo; il riferimento a strategie educative ispirate al modello cognitivo-comportamentale, ma all’interno di una visione che tenga conto delle caratteristiche e preferenze del bambino e della sua famiglia; l’utilizzo di strategie di generalizzazione e mantenimento delle abilità acquisite; e la predisposizione di periodiche valutazioni e aggiustamenti del piano educativo (Valeri e Vivanti, 2015).

Gli interventi devono essere personalizzati sui bisogni di ogni bambino, condivisi con la famiglia e strutturati secondo intensità differenziate per ogni fascia d’età e profilo funzionale. I metodi e le strategie utilizzati devono essere di provata efficacia, indicata nelle linee guida nazionali o internazionali. Deve essere garantita la formazione dell’ambiente in cui si troverà il bambino (scuola, luoghi di aggregazione ecc.), perché sappia come rapportarsi con lui e offrirgli positive occasioni di sviluppo. Serve il sostegno alla famiglia, che ha bisogno di informazioni chiare, precise, continuative per poter affrontare con consapevolezza ogni evento e scegliere il percorso più opportuno per il proprio figlio, in dialogo continuo con gli operatori.

Va detto che la maggior parte degli studi è stata condotta su pochi pazienti ed è metodologicamente debole (Reichow, 2018).

Dal momento che i disturbi dello spettro autistico sono relativamente più diffusi di un tempo – anche probabilmente per una maggiore sensibilità diagnostica dei clinici – è possibile che siano proposte terapie “innovative” che, purtroppo, spesso non poggiano su solide evidenze scientifiche. Per quanto possibile, i genitori devono valutare con attenzione la plausibilità delle cure proposte, la trasparenza e il disinteresse commerciale dei proponenti e, con l’aiuto del medico pediatra o neuropsichiatra di riferimento, verificare l’attendibilità degli studi portati a supporto delle terapie proposte anche a partire dal livello delle riviste che li hanno ospitati.

 “La complessità dei meccanismi di rischio e di protezione, e dei processi sottostanti all’eterogeneità delle manifestazioni cliniche e delle traiettorie evolutive che si osservano nei disturbi dello spettro autistico – osservano Valeri e Vivanti – pone una sfida che può essere affrontata solo con l’integrazione di dati, cornici interpretative e ipotesi di ricerca provenienti da livelli di analisi e discipline diverse. Infine è necessario che l’intera società divenga più consapevole delle caratteristiche e dei bisogni delle persone con autismo, per permetterne un’autentica inclusione.”

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Autore Fabio Ambrosino (Pensiero Scientifico Editore)

Fabio Ambrosino ha conseguito un master in Comunicazione della Scienza presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. Dal 2016 lavora come Web Content Editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it, dove collabora alla creazione di contenuti per siti di informazione e newsletter in ambito cardiologico. È particolarmente interessato allo studio delle opportunità e delle sfide legate all’utilizzo dei social media in medicina.
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