Il cancro della prostata è il tumore maschile più diffuso in Italia e nei Paesi industrializzati. Nel 2023 in Italia ci sono state 41.100 diagnosi e, secondo le stime, nell’arco della propria vita un uomo su nove ha la probabilità di ammalarsi. È pur vero che la sopravvivenza è cresciuta molto negli anni: il tasso di sopravvivenza a cinque anni dei malati con tumori allo stadio 1 e 2 – quindi le fasi della malattia in cui il carcinoma è circoscritto alla zona da dove è originato (stadio 1) e ai soli tessuti circostanti (stadio 2) – è di oltre il 90% [1,2].
Se per alcune patologie oncologiche le linee guida per la prevenzione sono chiare e riconosciute, le indicazioni e le metodiche per la diagnosi precoce del cancro alla prostata sono attualmente oggetto di controversia [3]. Alcune agenzie di sanità pubblica o società scientifiche raccomandano il controllo del valore del PSA come indicatore della salute della prostata. L’efficacia di tale indagine per individuare nuovi casi di tumore della prostata, però, da tempo sta generando dubbi, sollevati dagli stessi medici e ricercatori. Anche per questo è in corso l’individuazione di sistemi più utili e senza rischi. La Giornata mondiale contro il cancro (World Cancer Day), che ricorre il 4 febbraio, è l’occasione per diffondere la cultura della prevenzione e riflettere, con rigore scientifico, anche su opportunità e limiti delle attuali metodiche.
Dottore, il test del PSA non basta per prevenire il tumore alla prostata?
Il dosaggio del PSA è il test, effettuato con un prelievo di sangue, che fornisce i valori dell’antigene prostatico specifico, una proteina prodotta dalla prostata. Questo organo dell’apparato genitale maschile, con l’avanzare dell’età, è soggetto a essere colpito da patologie, non solo tumorali. Per questo, il test è da alcuni considerato un riferimento per comprendere il suo stato di salute [4].
Se da un lato è vero che in alcuni casi il test del PSA riesce a individuare tumori in fase precoce, dall’altro esiste però un’alta probabilità di ottenere risultati falsi positivi. Come spiega l’oncologo Francesco Perrone, attuale presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, riferendosi agli ultimi sviluppi della ricerca, il PSA “si altera sia in presenza di tumori della prostata sia – e questo è il suo limite – in presenza di patologie benigne, infiammatorie. Per questo motivo da solo non è sufficiente per far diagnosi di tumore”.
Le forme tumorali maligne tendono a crescere lentamente e, per lungo tempo, non causano sintomi evidenti. In assenza di disturbi specifici, Perrone aggiunge che il test “non serve a modificare la mortalità per tumore della prostata”. Questa evidenza è il risultato di molti studi effettuati su lunghi periodi con l’obiettivo di evitare indagini diagnostiche invasive che potrebbero risultare dannose anche sul piano psicologico [5].
Quali sono le altre patologie legate a valori anomali di PSA?
L’aumento del valore dell’antigene prostatico può indicare infiammazione (prostatite) o infezioni. Il PSA si potrebbe alterare anche per l’attività fisica intensa, in seguito a rapporti sessuali e con l’utilizzo di farmaci. Infine, come abbiamo visto, tra le cause dei valori alti ci sono forme tumorali benigne [4,5]. Molti pazienti, inoltre, temono che a un aumento del volume della prostata, indicato da livelli di PSA elevati, si associ sempre un aumento del rischio di sviluppare un tumore. Non è così [6].
Dottore, il test del PSA quindi non è utile?
Rispondere a questa domanda è difficile: gli studi effettuati a oggi hanno risultati contrastanti. In alcuni casi è vero che il test del PSA permette di individuare tumori precoci. Tuttavia, per ogni individuo salvato tante sono le persone alle quali viene diagnosticato un tumore che, altrimenti, sarebbe rimasto indolente (o sarebbe cresciuto molto lentamente). Alle stesse persone potrebbe essere prescritta una terapia destinata a non cambiare la loro aspettativa di vita, che però incide negativamente sulla qualità della vita [5].
Uno dei più importanti studi sull’argomento – condotto in diversi Paesi europei e pubblicato nel 2014 – ha stimato che per ogni vita salvata grazie alla diagnosi precoce di tumore alla prostata tramite PSA altri 18 uomini scoprono di avere un cancro che non avrebbe dato loro problemi [7]. Poiché non è sempre possibile distinguere tra tumori indolenti a basso rischio e cancri aggressivi, queste persone vengono comunque trattate, subendo gli effetti indesiderati delle terapie e una riduzione della loro qualità di vita. Malattia che, se non si fossero sottoposti al test di PSA, non avrebbero mai scoperto di avere e che non avrebbe avuto il tempo di manifestarsi nell’arco della vita.
Dottore, quindi mi consiglia o no di fare il test del PSA?
La cosa migliore è chiedere consiglio al proprio medico, che può valutare in base alla storia personale del paziente. Nella valutazione, infatti, occorre tener conto della familiarità, quindi di casi passati di tumore alla prostata in famiglia, e della presenza di sintomi specifici, come difficoltà a urinare o tracce di sangue nell’urina. Un altro fattore da considerare è l’età, con i benefici maggiori per gli uomini tra i 50 e i 70 anni: tra i più giovani la malattia è troppo rara e oltre la soglia dei 70 la diagnosi di cancro della prostata non cambierebbe in maniera significativa l’aspettativa di vita [5].
Che non si possa dare una risposta univoca, valida per tutti, sull’opportunità di eseguire o meno l’esame lo sottolineano anche le linee guida sul tumore della prostata della European Association of Urology condivise anche dalla società italiana: “Per una diagnosi precoce, andrebbe offerta una strategia in base al rischio individuale a uomini con almeno dieci-quindici anni di aspettativa di vita. Tuttavia, questo approccio può ancora essere associato a un sostanziale rischio di over-diagnosis. È quindi importante identificare con cura quali pazienti potrebbero beneficiare maggiormente da una diagnosi precoce tenendo conto dei potenziali rischi e benefici connessi a questa strategia” [8].
In ogni caso è molto importante essere informati dei limiti dell’esame, di cui abbiamo parlato in questa scheda, e fare la propria scelta soppesando, sempre con il proprio medico di fiducia, rischi e benefici.
Dottore, se il test del PSA risulta positivo cosa devo fare?
Come abbiamo detto, il test del PSA da solo non è un test perfetto: può essere elevato anche per motivi benigni, come un’infiammazione o un ingrossamento della prostata. Proprio per questo, non bisogna necessariamente preoccuparsi in caso di PSA elevato (se superiore alla soglia di 3ng/ml), ma può essere opportuno eseguire una visita urologica.
Come ha spiegato a Dottore ma è vero che? Giuseppe Carrieri, presidente della Società italiana di urologia, “un PSA elevato indica solo che è necessario un approfondimento. Con la visita urologica possiamo escludere la presenza di infiammazione della prostata. La risonanza magnetica aiuta a identificare eventuali lesioni sospette e a selezionare i pazienti che necessitano di una biopsia mirata. Questo approccio riduce il rischio di diagnosi e trattamenti inutili per tumori a basso rischio”.
Il medico, dunque, in caso di PSA elevato, potrebbe prescrivere al paziente un’esplorazione rettale, che può essere eseguita da un urologo, che consente di identificare al tatto la presenza di eventuali noduli a livello della prostata. Tra gli altri approfondimenti possibili ci sono poi la risonanza magnetica e la successiva eventuale biopsia, eseguita in anestesia locale. Quest’ultima, però, non è esente dal rischio di complicanze, come emorragie e infezioni, e per questo non è ancora raccomandata in modo univoco [4,5].
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