Le microplastiche fanno male alla salute?

31 Gennaio 2025 di Maria Frega (Pensiero Scientifico Editore)

Che la plastica sia dannosa per l’ambiente è risaputo ormai da tempo, mentre solo di recente si discute degli impatti sulla salute dell’uomo causati dalla proliferazione dei rifiuti, in particolare delle microplastiche. Questi minuscoli frammenti di materiale non degradabile sono ovunque: nell’aria, nel cibo, nell’acqua potabile e soprattutto nei mari, dove l’80% dei rifiuti è plastica.

Ci si chiede, dunque, quale sia l’effetto sulla salute, poiché è accertato che le particelle siano presenti anche nell’organismo di uomo e animali. Gli studi sul tema sono in crescita ma per comprendere quanto le microplastiche siano nocive, anche a lungo termine, occorrerà tempo.

Dottore cosa sono le microplastiche?

Sono minuscoli frammenti che si formano dalla degradazione della plastica e hanno dimensioni minime, non più di cinque millimetri. Esistono anche le nanoplastiche, con un diametro inferiore ai cento nanometri (un nanometro è un milionesimo di millimetro): sono invisibili a occhio nudo, perché più piccoli delle cellule del corpo umano. Come sappiamo, la plastica non è biodegradabile, quindi, da quando è prodotta fino a che non diventa rifiuto, è soggetta a deterioramento ma non sparisce mai completamente [1].

Non è semplice quantificare quanta microplastica stia inquinando i mari del pianeta: potrebbe trattarsi di una massa di circa 170 trilioni di particelle (un trilione vuol dire mille miliardi) [2]. Sono invece 430mila le tonnellate di microplastiche già presenti nel suolo del continente europeo [3]. Questo scenario ha un impatto sull’ambiente ma anche sulla salute dell’uomo e degli animali, compresi quelli destinati al consumo.

È vero che stiamo già ingerendo la microplastica?

Purtroppo è vero. Circola da tempo la notizia secondo la quale ogni anno una persona potrebbe ingerire cinque grammi di plastica, una quantità pari a una carta di credito. In realtà è difficile fare stime come questa. Sappiamo però che succede: micro e nanoplastiche sono state rilevate in campioni di feci umane e, più di frequente, nell’organismo di animali.

Poiché alcune specie animali fanno parte della nostra alimentazione, possiamo concludere che il rischio di contaminazione sia concreto. E interessi anche l’acqua e i prodotti agricoli [3]. I metodi per ricercare le microparticelle negli alimenti sono stati sviluppati solo di recente, e per le nanoplastiche al momento non esistono analisi che possano confermare la loro presenza nel cibo e il rischio di tossicità [4].

Dottore, cosa si sa dell’impatto delle microplastiche sulla salute?

Anche questo è un filone di ricerca recente ma molto battuto. L’obiettivo è comprendere cosa succede se le microplastiche si accumulano nell’organismo. I danni più immediati potrebbero interessare i sistemi respiratorio e gastrointestinale, cioè le vie di accesso all’organismo. Resta da appurare come e quanto vengano assorbite sia le plastiche sia altre sostanze tossiche che si “attaccano” ai frammenti e possono raggiungere organi vitali [5,6].

In attesa di ulteriori risultati, diversi studi, analizzando l’esposizione alle microplastiche sia per ingestione che per inalazione e contatto cutaneo, hanno ipotizzato il rischio di effetti tossici, infiammatori e di alterazione delle funzioni immunitarie per l’organismo umano [6].

Dottore, allora entriamo in contatto con le microplastiche anche respirando?

Sì, è possibile. Micro e nanoplastiche sono presenti nell’atmosfera. Sappiamo che nessun luogo del pianeta è incontaminato. Con il vento (ma anche con il trasporto delle merci), infatti, le plastiche sono trasportate anche dove non ci sarebbero fonti inquinanti.

La città, le aree industrializzate sono invece le zone più pericolose. La diffusione delle particelle di plastica nell’aria infatti deriva dal degradamento dei rifiuti, dall’usura delle gomme e dei freni dei veicoli così come da diversi materiali da costruzione. Anche in casa ci sono oggetti comuni ma potenzialmente nocivi, come utensili per cucinare, tessuti, arredi che possono rilasciare piccoli frammenti [1,4,7].

Come possiamo fare, invece, per non mangiare microplastica?

Secondo i dati dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare le concentrazioni maggiori di microframmenti si trovano nei pesci, crostacei e molluschi inclusi. Per questo è bene eliminare le viscere prima del consumo, come comunemente si fa. Questa accortezza è più difficile nel caso dei crostacei; è impossibile, invece, consumare cozze o vongole senza il loro intestino.

Altri alimenti sui quali è stata riscontrata microplastica sono il sale, la birra, il miele, il pollame [1,4]. E non è esente nemmeno l’acqua, soprattutto quella in bottiglia. In ogni caso non occorre un allarmismo eccessivo, ma ridurre il consumo di plastica monouso è sicuramente un’azione positiva per l’ambiente e per la salute [1,8].

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Autore Maria Frega (Pensiero Scientifico Editore)

Maria Frega è sociologa, specializzata in comunicazione, e scrittrice. Si occupa di scienza, innovazione e sostenibilità per un'agenzia di stampa e altri media. Sugli stessi temi cura contenuti per testi scolastici e organizza eventi di divulgazione con associazioni ed enti pubblici. È inoltre editor di saggistica e tiene corsi di scrittura anche nelle scuole e in carcere. I suoi ultimi libri sono Prossimi umani e Filosofia per i prossimi umani, con Francesco De Filippo per Giunti Editore.
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