Dobbiamo fare scorta di compresse di iodio contro le radiazioni?

25 Marzo 2022 di Roberta Villa

Assolutamente no, perché nella remota eventualità in cui servissero, le compresse di iodio sarebbero fornite dalla Protezione Civile.

Dottore, allora perché preoccuparsi di comprare compresse di iodio?

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha risvegliato paure che pensavamo di aver archiviato per sempre. L’effetto deterrente dato dalla consapevolezza delle inevitabili conseguenze di una guerra nucleare, efficace nel secolo scorso, sembra aver perso forza. Anche se non sono cambiate le ragioni che rendono un attacco con armi atomiche un atto suicida, e quindi assai improbabile, la minaccia di sferrarlo viene di nuovo messa sul tavolo, tra le opzioni estreme, ma non impossibili.

Nel frattempo, si bombarda e si combatte intorno alle centrali nucleari del Paese sul cui territorio sorge la centrale di Chernobyl, sede del più grave incidente nucleare della storia. L’impianto è spento, ma il nocciolo al suo interno è ancora radioattivo, per cui occorre continuare a mantenere misure di sicurezza che dipendono dalla costante erogazione di energia elettrica. Gli scontri delle scorse settimane hanno interrotto più volte il collegamento alla rete nazionale, determinando l’attivazione di un generatore di emergenza sufficiente a garantire una temperatura adeguata.

Per ora non ci si è mai avvicinati a reali situazioni di pericolo, ma il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA), Rafael Mariano Grossi, ha espresso su Twitter una grave preoccupazione per questa situazione e per quella delle numerose altre centrali che si trovano sul terreno di guerra. In alcuni impianti sembra che i tecnici siano sotto forte pressione e non possano godere di adeguati turni di riposo, facilitando il rischio che un errore umano possa favorire un incidente o che la stanchezza impedisca una pronta risposta in caso di minaccia. L’agenzia continua comunque a tenere strettamente monitorata la situazione, riferendone in tempo reale [1].

Va anche detto che rispetto alla fine degli anni Ottanta, quando si verificò l’incidente di Chernobyl, la struttura delle centrali è completamente cambiata e i sistemi di sicurezza sono stati molto potenziati. Inoltre, allora l’Ucraina era parte dell’Unione Sovietica, che aveva fatto il possibile per non lasciar filtrare notizie di quanto stava accadendo; viceversa oggi l’Ucraina è al centro dell’attenzione di tutto il mondo, per cui qualunque minimo aumento dell’attività radioattiva farebbe scattare immediatamente l’allarme, attivando adeguate contromisure.

Dottore, ma cosa c’entra lo iodio con le radiazioni?

I danni provocati all’organismo dalle radiazioni ionizzanti variano in funzione della potenza dell’energia liberata e dalla vicinanza alla fonte dell’energia stessa, oltre che dalla durata dell’esposizione. Se un ordigno nucleare colpisse direttamente una delle nostre città, eventualità che al momento appare per fortuna del tutto irrealistica, non ci sarebbero purtroppo strumenti di prevenzione in grado di evitarne le conseguenze catastrofiche, dovute più all’energia dell’esplosione che all’irradiazione. Le radiazioni colpirebbero tutti i sopravvissuti nelle aree circostanti all’impatto con gravi danni “deterministici”, cioè inevitabili quando si supera una determinata soglia di radioattività. A oggi, gli esperti non ritengono che effetti di questo tipo possano riguardare l’Italia, che si trova a oltre 1.600 chilometri in linea d’aria dal terreno di guerra.

Meno assurda è l’ipotesi di un incidente a una centrale, nonostante l’innovazione ottenuta in termini di sicurezza rispetto ai tempi di Chernobyl. Per subirne gli effetti in Italia occorrerebbe però la concomitanza di fattori atmosferici capaci di portare fino a noi una nube radioattiva e di far poi precipitare a terra il materiale in essa contenuto, con un fenomeno detto “fallout”.

Tra le diverse sostanze pericolose a cui potremmo essere esposti in questo caso ci sarebbe lo iodio 131. Se il nostro organismo lo assimilasse, potrebbe essere assorbito dalla tiroide e utilizzato per la produzione dei suoi ormoni. La radioattività aumenterebbe così il rischio stocastico, cioè casuale, di tumore, aumentando quindi le probabilità che si sviluppi la malattia, ma in maniera appunto casuale, non legata come nel primo caso in maniera diretta al dosaggio e all’esposizione. Non tutti coloro che vivono nella stessa casa e mangiano alla stessa tavola, per esempio, ne sarebbero danneggiati in ugual modo. Data la maggiore vulnerabilità per i tessuti in accrescimento e il maggior tempo di vita a disposizione, questo rischio risulterebbe però maggiore soprattutto nei bambini e in generale nelle persone più giovani [2].

Per ridurre questo rischio, a chi abita nel circondario delle centrali ancora in funzione in altri Paesi vengono regolarmente distribuite compresse di un sale a base di iodio, lo ioduro di potassio, da tenere in casa e assumere solo in caso di necessità. Nell’eventualità di un incidente il prodotto sarebbe infatti in grado di saturare le richieste della ghiandola, che di conseguenza per circa 24-48 ore ignorerebbe la versione radioattiva, qualora questa arrivasse attraverso il sangue.

È chiaro quindi che la loro azione è preventiva, nel senso che le compresse di iodio andrebbero prese, nel migliore dei casi, un paio di giorni prima dell’esposizione, ma questo deve accadere tra l’eventuale emissione e l’arrivo della nube radioattiva, non in maniera cronica per settimane in attesa di un possibile evento. Con un trattamento così prolungato i danni di un’eccessiva assunzione di iodio supererebbero largamente i benefici. Anche se presa nelle prime ore dopo l’esposizione alla fonte radioattiva, comunque, la supplementazione sembra sufficiente a ridurre in maniera significativa i rischi per le 24 ore successive [3].

Ma in caso di incidente nucleare che cosa dovremmo fare?

Le compresse non servono a nulla contro altri possibili agenti radioattivi liberati insieme con lo iodio, come per esempio il cesio 137, importante sottoprodotto della fissione nucleare dell’uranio. Nella remota ipotesi di un’emergenza radiologica, ci sono però importanti e semplici raccomandazioni da seguire, che possono ridurre in maniera significativa l’esposizione.

Se ci si trova all’interno di un edificio occorre chiudere bene immediatamente porte e finestre e portarsi il più lontano possibile da queste, se possibile sottoterra o comunque ai piani più bassi. Il materiale radioattivo, infatti, si potrà depositare su tetto e pareti, ma non li penetra. Andranno spenti impianti di areazione con l’esterno, aria condizionata e chiuse le canne fumarie. L’interno di auto e altri mezzi di trasporto pubblico non offrono la stessa protezione, per cui è bene cercare di raggiungere il prima possibile un edificio ed entrarvi, togliendo subito gli indumenti esterni e indossarne di nuovi, se possibile, dopo aver lavato bene mani, viso e altre parti di pelle eventualmente esposte. Mentre si cerca rifugio, è bene riparare naso e bocca con un qualunque pezzo di tessuto [4].

Prevenire è sempre meglio che curare?

Da noi la distribuzione delle compresse di iodio alla popolazione non è prevista perché non abbiamo centrali nucleari in funzione, ma esiste comunque un Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari appena aggiornato, che prevede una serie di risposte per mettere al sicuro la popolazione [5].

Se si verificasse un incidente in Ucraina, o in altre regioni di Europa, la Protezione Civile distribuirebbe le dosi necessarie alle zone eventualmente più a rischio. Questi prodotti, infatti, non sono in commercio in Italia – sono prodotti esclusivamente dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico militare di Firenze, oppure in modalità galenica direttamente dai singoli farmacisti, ma soltanto su richiesta di un medico.

È importante sottolineare che se il supplemento di iodio può ridurre il rischio in questi casi, il suo uso a scopo preventivo è invece non solo inutile, ma pericoloso, dal momento che può scompensare il delicato equilibrio endocrino della tiroide. Il dosaggio utile in caso di incidente nucleare è infatti di diversi ordini di grandezza superiore a quello contenuto nel sale iodato, raccomandato invece dalle autorità sanitarie per il benessere della tiroide nella vita quotidiana.

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Autore Roberta Villa

Giornalista pubblicista laureata in medicina, Roberta Villa ha collaborato per più di vent’anni con le pagine di Salute del Corriere della Sera e con molte altre testate cartacee e online, italiane e internazionali. Negli ultimi anni ha approfondito il tema delle vaccinazioni, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della comunicazione, anche in risposta a bufale e fake news. Sul tema della comunicazione della scienza è attualmente impegnata nel progetto europeo QUEST come research fellow dell’Università di Ca’Foscari a Venezia. Insieme ad Antonino Michienzi è autrice dell’e-book “Acqua sporca” (2014), un’inchiesta sul caso Stamina disponibile gratuitamente online. Ha scritto “Vaccini. Il diritto di non avere paura” (2017), distribuito in una prima edizione con il Corriere della Sera e in una seconda (2019) per il Pensiero scientifico editore. È molto attiva sui social network (Youtube, Instagram, Facebook) su cui sta sperimentando un approccio semplice e confidenziale alla divulgazione.
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