Durante la pandemia di COVID-19, i medici hanno riscontrato un aumento dei disturbi alimentari tra bambini e adolescenti. Percezione di insicurezza, isolamento e difficoltà economiche per molte famiglie hanno facilitato la ricaduta di alcuni ragazzi nello stato di malattia, o in alcuni casi hanno creato le condizioni ideali per l’insorgenza di nuovi disturbi e di casi di vera e propria malnutrizione: in questo senso, Covid-19 può peggiorare i disturbi alimentari.
Inoltre la mancanza di socialità potrebbe aver alterato la percezione dell’immagine corporea vissuta e confrontata soprattutto con ciò che si vede online.
Il digitale in questo momento è ricco di messaggi martellanti sulla perdita di peso come valore, su come evitare di ingrassare, o approfittare del tempo a disposizione per adottare un nuovo regime di esercizio fisico o di alimentazione restrittiva.
Cosa sono questi disturbi e quali sono le cause?
I disturbi del comportamento alimentare (abbreviato DCA) o disturbi alimentari psicogeni (DAP), ridefiniti dal DSM-5 come disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, sono tutte quelle problematiche psicologiche che concernono il rapporto tra la persona, il corpo e il cibo.
Sono malattie gravi, potenzialmente molto pericolose, che affliggono gli individui lungo tutto l’arco della vita, con un particolare impatto sullo sviluppo fisico e psicologico di bambini e adolescenti.
Tra i disturbi dell’alimentazione ci sono l’anoressia, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (il cosiddetto binge eating). Ci sono poi delle nuove manifestazioni del disturbo che sono definite come “disturbi atipici”.
I primi segnali del disturbo compaiono in giovane età e hanno cause diverse. Ogni anno, in Italia, muoiono di anoressia e bulimia 3.240 persone, e i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione costituiscono la prima causa di morte per malattia tra i 12 e i 25 anni.
È importante riconoscere da subito i segnali del disturbo per intervenire il prima possibile, perché il suo perdurare aumenta il rischio di danni permanenti a carico di tutti gli organi e apparati dell’organismo che, nei casi più gravi, possono portare alla morte.
Secondo la American Psychiatric Association (APA), solo una bassa percentuale di anoressici guarisce completamente, ma nella maggior parte dei casi si ottengono comunque buoni risultati. Tuttavia in alcuni pazienti possono rimanere a lungo alcuni sintomi ossessivo-compulsivi, fobie e tendenza ad abuso di sostanze.
I due terzi degli anoressici continua infatti ad avere problemi di relazione con il cibo e il peso corporeo e il 40% manifesta sintomi di bulimia.
Dottore, ma cosa posso fare per riconoscere uno di questi disturbi?
Sappiamo che i disturbi alimentari sono condizioni che tendono a prosperare nella segretezza.
Oltre ai segnali evidenti di una perdita di peso o dell’alterazione del ciclo mestruale, possiamo osservare con attenzione per esempio il tempo di durata del pasto, la presenza o meno di rituali legati all’alimentazione, la richiesta di andare in bagno subito dopo il pasto e il restare lì per un tempo maggiore rispetto al normale o all’abituale: questo perché possono essere messe in atto tutte una serie di pratiche finalizzate al vomito o comunque alla dinamica dello svuotamento.
Un ultimo segnale può essere individuato nella scomparsa di grandi quantità di cibo dal frigorifero o dalla dispensa e il ritrovamento di alimenti in luoghi non comuni. Inoltre è possibile osservare la tendenza a un regime alimentare sempre più restrittivo che penalizza in particolare i carboidrati (ne abbiamo parlato ad esempio nelle schede “Eliminare i carboidrati è utile?”, “La dieta chetogenica fa bene?” o anche “Si può dimagrire con le erbe?”).
In che modo Covid-19 può peggiorare i disturbi alimentari?
Covid-19 può peggiorare un disturbo alimentare preesistente perché comporta condizioni di isolamento, di facilità di accesso al cibo e la percezione di una situazione fuori controllo. Inoltre si aggiunge spesso il problema di una convivenza forzata che può essere molto difficile da gestire quando la situazione emotiva familiare non è serena.
C’è poi la possibilità della comparsa di un nuovo disturbo dell’alimentazione o di comportamenti di dipendenza. Una condizione di forte stress rischia di creare gli stessi meccanismi che favoriscono l’abuso di alcol e di sostanze (legali e illegali) e che possono invece concentrarsi sul cibo.
Dobbiamo infine considerare l’aumento del rischio di infezione da Covid-19 tra chi soffre di disturbi dell’alimentazione: la malnutrizione, la riduzione delle riserve di grasso corporeo e un eventuale malfunzionamento intestinale influenzano la capacità del corpo di difendersi dalle infezioni. Chi soffre di disturbi dell’alimentazione è a rischio di squilibri metabolici ed elettrolitici, che possono aumentare il rischio di insufficienza respiratoria e di arresto cardiaco.
Come posso parlare ai miei figli, se vedo che sono in difficoltà?
Dai dati clinici e di letteratura emerge che i familiari dei pazienti spesso si sentono incompresi e tagliati fuori: hanno bisogno di avere informazioni sulla malattia, il suo trattamento e la prognosi. Difficile definire con precisione quali possono essere le regole per una buona comunicazione con i propri figli se si nota la presenza di un disagio in questa direzione.
Il linguaggio dei disturbi alimentari è molto complesso e andrebbe analizzato passo dopo passo. Possiamo però descrivere alcune scelte di comunicazione che vengono indicate come più funzionali e quindi più equilibrate di altre.
- Dare molto spazio all’ascolto, imparando a fare domande di attenzione e non di intrusione.
- Dimostrare attenzione e interesse per le emozioni, per come sono espresse, tralasciando giudizi e pregiudizi.
- Non aver paura di entrare nel confronto proprio sul tema del disturbo: sarà utile per ascoltare, annotare e far sedimentare le riflessioni.
- Dare spazio di espressione, rispettando i turni del discorso, cioè i tempi di tutti coloro che desiderano parlare.
- Stimolare la conversazione anche su argomenti che non siano connessi all’eventuale patologia, utile per decentrare l’oggetto della narrazione.
- Non cadere nelle insidie delle parole: non assecondare tutte le richieste perché si pensa che ci sia una sofferenza in atto.
- Rispettare la verosimiglianza: non importa che ciò che viene raccontato o descritto sia vero, ma è importante per entrare pian piano nella storia di quell’adolescente o bambino/a.
- Preferire un tono accogliente ma non eccessivamente sdolcinato: è importante anche attraverso l’uso della voce, e quindi del tono, ri-costruire delle regole, cioè dei punti fermi proprio per chi sta perdendo il controllo.
- Creare delle parole comuni per parlare del disagio, su cui il significato deve essere chiaro, semplice e condiviso da tutti quelli che sono coinvolti nella comunicazione.
Argomenti correlati:
AlimentazioneObesitàPuericulturaSalute mentale