Il vaccino contro il Papillomavirus umano (HPV) serve a prevenire il tumore del collo dell’utero, una malattia potenzialmente mortale che ha origine da mutazioni maligne delle cellule della mucosa del collo dell’utero. È il Papillomavirus che induce queste mutazioni. La vaccinazione protegge dall’infezione e quindi, indirettamente, dal tumore [1]. È stata introdotta tra le vaccinazioni pediatriche raccomandate a livello nazionale in Italia nel 2007 e oggi viene offerta gratuitamente a tutte le ragazze e i ragazzi al compimento degli 11 anni. Alcune Regioni hanno esteso l’offerta anche ad altre fasce d’età. Prima dell’introduzione del vaccino, l’unica arma a disposizione per prevenire la malattia o almeno ridurne la mortalità era la diagnosi precoce delle lesioni pre-cancerose, grazie a un esame noto come test di Papanicolau o Pap test.
Dottore, come funzionano l’HPV test e il Pap test?
L’esame, che non è invasivo né doloroso, consiste nel prelievo di poche cellule della mucosa della cervice uterina, nel corso di una normale visita ginecologica, con una spatolina simile all’applicatore del mascara. Il materiale biologico prelevato viene osservato da un operatore al microscopio alla ricerca di eventuali cellule anomale, cioè di cellule mutate a causa dell’azione del Papillomavirus, che col tempo potrebbero degenerare in forma tumorale e vanno tenute sotto controllo oppure rimosse, a seconda della situazione.
Di recente, al Pap test si è aggiunto un nuovo esame, l’HPV test o test del DNA del Papillomavirus. Consiste nel prelievo di una piccola quantità di materiale biologico dalla mucosa del collo dell’utero con un bastoncino ovattato, una sorta di cotton fioc. Il materiale viene poi analizzato in laboratorio da una macchina che cerca, in automatico, il DNA del virus. Permette di diagnosticare un’infezione da HPV in corso e quindi serve a individuare con amplissimo margine di tempo le donne che potrebbero in futuro avere dei problemi.
Dottore, chi deve fare questi esami?
I controlli per la prevenzione del tumore del collo dell’utero sono raccomandati anche alle donne vaccinate contro l’HPV, perché la vaccinazione riduce fortemente il rischio di malattia ma non le protegge al 100%. Il Gruppo Italiano Screening per il Cervico-carcinoma e l’Osservatorio Nazionale Screening [2] hanno messo a punto un programma di screening specifico per loro, che tiene conto del minor rischio a cui sono esposte. Prevede un HPV test ogni cinque anni a partire dal compimento dei 30 e nessuna necessità di sottoporsi a Pap test, a meno che l’HPV test non rilevi la presenza di DNA virale.
Un’infezione da HPV comporta sempre il rischio di sviluppare un tumore del collo dell’utero?
L’HPV o Papillomavirus umano non è un singolo virus, ma una famiglia che ne comprende più di 120 tipi. Come dice il nome, infettano l’uomo, a differenza di altri Papillomavirus che infettano altre specie. L’HPV penetra all’interno delle cellule di pelle o mucosa e sfrutta le loro risorse per riprodursi.
Ciascuno dei diversi tipi virali che appartengono alla famiglia dell’HPV è identificato da un numero. La maggior parte di loro non produce alcun danno o sintomo. Alcuni provocano la formazione di verruche sulla pelle, altri di condilomi, escrescenze fastidiose ma benigne delle mucose. Circa 40 tipi virali si trasmettono per via sessuale e infettano l’area urogenitale.
Ci sono alcuni tipi di HPV che possono innescare un tumore. Sono i tipi 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68, 73 e 82. Quelli a maggior rischio sono il 16, responsabile da solo del 60% dei casi di tumore al collo dell’utero, e il 18, responsabile del 10% dei casi. I tipi virali che provocano condilomi non sono cancerogeni, quindi la presenza di condilomi non rappresenta un segnale di rischio di insorgenza di un tumore. L’infezione causata da un tipo potenzialmente cancerogeno di HPV non comporta inevitabilmente l’insorgenza di un tumore. I virus ad alto rischio, come pure gli altri, nella maggior parte dei casi vengono eliminati dal sistema immunitario nell’arco di due anni dall’infezione. Può accadere però che un virus ad alto rischio permanga nelle cellule della mucosa, perché il sistema immunitario non riesce a eliminarlo. Nell’arco di alcuni anni, può manomettere il DNA della cellula che lo ospita e innescare mutazioni pre-tumorali. Talvolta, non sempre, queste mutazioni evolvono in un tumore vero e proprio. Quando ciò avviene, di solito si tratta di un processo lungo decenni. Le forme a evoluzione rapida sono estremamente rare.
Tantissime donne contraggono il Papillomavirus e nella maggioranza dei casi non ne riportano alcuna conseguenza. Spesso l’infezione è del tutto asintomatica. In particolare, i tipi virali cancerogeni sono asintomatici. Per diagnosticare un’infezione potenzialmente cancerogena bisogna cercarla attivamente, con l’HPV test. Questo è progettato per rilevare solo il DNA dei tipi virali ad alto rischio, perché non è di alcuna utilità diagnosticare un’infezione asintomatica, che non è potenzialmente cancerogena.
Il vaccino contro l’HPV usato oggi protegge da tutti i tipi virali potenzialmente oncogeni?
Tre sono i vaccini anti-HPV oggi disponibili in Italia. Uno è bivalente, attivo contro i due tipi virali ad alto rischio 16 e 18, che insieme provocano il 70% di tutti i casi di cancro del collo dell’utero. Il suo nome commerciale è Cervarix. La somministrazione è indicata a partire dai 9 anni d’età ai 14 inclusi, in due dosi, la seconda a distanza di 5-13 mesi dalla prima. Se viene somministrato dal compimento dei 15 anni in poi, le dosi necessarie sono 3, la seconda a distanza di un mese dalla prima e la terza dai 5 ai 12 mesi dalla prima.
C’è poi il vaccino quadrivalente, nome commerciale Gardasil, attivo contro i tipi 16, 18, 6 e 11. Questi ultimi due non sono cancerogeni, ma insieme sono responsabili del 90% di tutte le condilomatosi ano-genitali. Protegge, quindi, anche dalle infezioni da Papillomavirus che provocano la comparsa di fastidiosi condilomi. La somministrazione è indicata da 9 a 13 anni inclusi, in due dosi, la seconda a distanza di almeno 6 mesi dalla prima. Se viene somministrato dal compimento dei 14 anni poi, sono previste tre dosi, la seconda almeno a un mese dalla prima e la terza almeno 3 mesi dopo la seconda, tutte e tre nell’arco di un anno.
Infine, c’è il vaccino 9-valente di più recente introduzione, il Gardasil 9, attivo contro i tipi virali 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52, 58, responsabili complessivamente del 90% di tutti i casi di tumore al collo dell’utero e del 90% di tutti i casi di condilomatosi. La somministrazione è indicata a partire dai 9 anni ai 14 anni inclusi, in due dosi, la seconda tra 5 e 13 mesi dopo la prima. Se viene somministrato a 15 anni compiuti e oltre, le dosi da somministrare sono 3, la seconda almeno a un mese dalla prima e la terza almeno 3 mesi dopo la seconda.
Nessuno di questi tre vaccini protegge dal 100% dei tipi virali ad alto rischio tumorale. Inoltre, se il vaccino viene somministrato a una ragazza che ha già una vita sessuale attiva, la sua efficacia è potenzialmente ridotta, perché la ragazza potrebbe già essere venuta in contatto con uno o più d’uno dei tipi virali coperti dal vaccino, vanificandone l’azione preventiva. È però improbabile che sia già venuta in contatto con tutti i tipi virali coperti dal vaccino, quindi può comunque trarre beneficio dalla vaccinazione, che riduce il rischio a cui è esposta.
L’offerta dei test di screening per la prevenzione del tumore del collo dell’utero è uguale in tutte le Regioni?
Prima dell’introduzione del test per la ricerca del DNA virale, il Servizio Sanitario Nazionale offriva gratuitamente a tutta la popolazione femminile un Pap test ogni tre anni dai 25 ai 64 anni. Attualmente, i Livelli Essenziali di Assistenza prevedono per le donne non vaccinate l’offerta del Pap test ogni tre anni dai 25 ai 33-34 anni e poi il test del DNA ogni cinque anni. La ragione di questa pianificazione [3] è che nella fascia d’età da 25 a 33-34 anni il virus è molto comune e quasi sempre viene eliminato dal sistema immunitario, dunque è di scarsa utilità cercarlo. Ci si concentra solo sui casi a maggior rischio individuabili con il Pap test, che va ripetuto ogni tre anni, con regolarità, per non dare il tempo di progredire a eventuali alterazioni comparse nell’intervallo tra un esame e l’altro.
Con l’avanzare dell’età, l’eventualità del contagio si fa più rara e ci si può limitare a un controllo ogni cinque anni, nello specifico a un test per l’HPV, per individuare i casi di infezione persistente che potrebbero provocare mutazioni. Se l’esame per la ricerca del virus è positivo, si effettua un Pap test per controllare se la sua presenza ha già indotto delle mutazioni. In caso di negatività del Pap test, entrambi gli esami vanno ripetuti ogni anno, fino a quando il test per l’HPV non diventa negativo, segno che il sistema immunitario si è sbarazzato del virus. A quel punto, si può tornare a un controllo ogni cinque anni, sospendendo il Pap test.
Benché incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza, il nuovo protocollo non è stato ancora recepito da tutte le Regioni, che stanno adeguando l’organizzazione dei loro servizi. Inoltre, l’offerta dei test di screening ha subito una battuta d’arresto negli ultimi anni a causa della pandemia. Secondo le ultime rilevazioni dell’Osservatorio Nazionale Screening [4], nel 2020 in media a livello nazionale è stato invitato a fare il test del DNA virale il 53% delle donne nella fascia d’età prevista. Ci sono, però, forti disparità tra Nord, Centro e Sud. Nelle Regioni settentrionali il test del DNA è stato offerto attivamente in media al 64% della popolazione femminile nella fascia d’età prevista, al Centro è stato offerto al 65%, al Sud appena al 30%.
Chi non ha ricevuto la chiamata, ma è nella fascia temporale prevista dal programma di screening, può telefonare o presentarsi al consultorio familiare di zona o all’ambulatorio della ASL e chiedere la prestazione appropriata all’età, che sia il test del DNA o il Pap test. Alcuni ginecologi privati raccomandano alle loro assistite di sottoporsi agli esami di screening più spesso rispetto ai tempi previsti dal piano nazionale. È una scelta legittima, dettata da maggior prudenza, che per ragioni economiche non sarebbe attuabile a spese pubbliche su tutta la popolazione.
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