Nonostante il monito lanciato da pediatri e autorità sanitarie fin dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2, in molte parti del mondo tra il 2020 e il 2021 è calata la protezione dei bambini nei confronti delle altre malattie infettive. Secondo UNICEF, nel 2020 17 milioni di bambini nel mondo non hanno ricevuto nemmeno una dose dei vaccini che avrebbero dovuto avere, ma la cifra sale a 23 milioni (4 milioni più dell’anno precedente) se si considerano tutti coloro che sono rimasti privi della protezione minima prevista. Più del 60% di questi vive in 10 Paesi a basso o medio reddito (India, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Pakistan, Indonesia, Etiopia, Brasile, Filippine, Angola e Messico), ma l’impatto della pandemia, forse per ragioni diverse, non ha risparmiato nemmeno la metà più ricca del mondo [1].
Dottore, quali sono i dati sul calo delle vaccinazioni dei bambini?
Negli Stati Uniti, ad esempio, secondo un recente rapporto dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta (CDC), si è avuto in media un calo di un punto percentuale nelle coperture contro morbillo, parotite, rosolia e varicella, ma anche contro difterite, tetano e pertosse [2]. Anche in Canada la pandemia ha rallentato la campagna vaccinale, con una riduzione di quasi il 10% tra i bambini vaccinati contro il morbillo nell’aprile del 2020 rispetto a quelli dell’anno prima. La situazione è migliorata nei mesi successivi, ma anche lì qualcuno è rimasto indietro [3].
La situazione è preoccupante nel Regno Unito, che alla fine del secolo scorso aveva già dovuto affrontare un’importante ondata di esitazione nei confronti dei vaccini – e in particolare di quello contro morbillo, parotite e rosolia – dovuta al cosiddetto “caso Wakefield”, dal nome del medico che in maniera fraudolenta lo aveva collegato all’insorgenza di autismo (ne abbiamo parlato nella scheda “I vaccini provocano l’autismo?”). Data l’elevata contagiosità del morbillo, è infatti fondamentale che almeno il 95% della popolazione sia immune, per malattia pregressa o vaccinazione, così da poter proteggere anche le persone nelle quali, come neonati o individui immunodepressi, il vaccino non ha prodotto una risposta adeguata o che per età o altre ragioni non lo hanno ancora potuto avere. Nel Regno Unito, però, con la pandemia, la percentuale di piccoli che a due anni hanno ricevuto la prima dose è scesa sotto il 90%, e quella dei più grandicelli che a cinque anni dovrebbero già averne due è arrivata all’85,5%, una soglia davvero pericolosa [4].
Come molte conseguenze collaterali della pandemia, anche questa non ha colpito tutti allo stesso modo, ma al contrario ha accentuato le diseguaglianze. Uno studio dell’Università di Oxford su bambini e adolescenti, per esempio, ha confermato che sia i tassi di vaccinazione contro lo pneumococco, sia quelli per la seconda dose di vaccino contro morbillo, parotite e rosolia, sono calati di circa un punto percentuale rispetto al massimo raggiunto, a partire dalla seconda ondata della pandemia, rispetto agli anni precedenti. Ma andando più nel dettaglio ha potuto verificare che i più penalizzati sono stati i figli di famiglie appartenenti a minoranze etniche. La disparità tra i Paesi si riflette così anche a livello nazionale [5].
Qual è la situazione in Italia?
Anche in Italia la straordinarietà degli eventi del 2020, con tutto ciò che questi hanno comportato, si è riflessa sulle vaccinazioni di routine. Il personale dedicato al tracciamento e alla gestione della pandemia spesso proveniva da quegli stessi servizi di prevenzione incaricati di portare avanti le campagne vaccinali. Secondo un’indagine condotta dal Ministero della Salute, nel 2020, a livello nazionale, più di un operatore sanitario su tre è stato spostato dai centri vaccinali per fronteggiare l’emergenza. Sia per questo, sia per la tendenza delle persone a rimandare qualunque prestazione medica non necessaria, anche ai fini di evitare occasioni di contagio, quasi un quarto delle strutture in quei mesi aveva chiuso.
Anche in Italia, quindi, nel 2020 si è registrato un calo di circa un punto percentuale nelle coperture vaccinali a 24 mesi per la vaccinazione esavalente (antidifterite, tetano, pertosse, poliomielite, Haemophilus influenzae di tipo b ed epatite B) e di circa tre punti percentuali per morbillo, parotite e rosolia. Se per queste vaccinazioni si era arrivati nel 2019 rispettivamente a raggiungere e sfiorare la soglia del 95% di copertura, nel 2020 si è tornati per l’esavalente al 94% e per morbillo, parotite e rosolia sotto al 92% [6].
Nel momento in cui molti servizi educativi erano chiusi, anche l’obbligo di vaccinazione per potervi accedere ha potuto fare poco. Ma ancora più marcato è stato il crollo di coperture per vaccinazioni ritenute dal pubblico meno urgenti, come quello per la vaccinazione completa contro il papillomavirus, sceso di oltre dieci punti percentuali nelle ragazze undicenni e di circa otto punti percentuali nei ragazzi della stessa età. In generale, a livello nazionale, questa è la vaccinazione che ha risentito di più degli effetti della pandemia.
Gli anziani, da parte loro, chiamati per primi a proteggersi contro Covid-19, hanno invece trascurato altre vaccinazioni, come quella contro herpes zoster e pneumococco. Nel primo inverno dopo lo scoppio della pandemia, cioè nella stagione 2020-2021, si è invece assistito a un importante aumento delle coperture contro l’influenza nelle persone dai 65 anni in su, dovuto in parte all’offerta diretta del prodotto contro l’influenza in concomitanza con la vaccinazione anti- Covid, che ha permesso di passare dal 54,6 al 65,3% di copertura contro l’influenza a livello nazionale in questa fascia di età [7].
Dottore, come si spiega questo allontanamento?
Si potrebbe pensare che una maggiore consapevolezza dei rischi legati alle malattie infettive potesse sensibilizzare il pubblico nei confronti delle vaccinazioni, soprattutto nel 2020, quando si invocava il prodotto capace di frenare le conseguenze della pandemia. In realtà, soprattutto nei primi mesi dell’emergenza, molti fenomeni hanno spinto in direzione contraria. Per cercare di capirli, il Ministero della Salute ha condotto un’indagine alla fine di maggio 2020 raccogliendo le risposte di un centinaio di Aziende Sanitarie Locali (ASL) e, per la Lombardia, Aziende sociosanitarie territoriali [8].
Il primo dato interessante è che il calo del numero delle vaccinazioni, osservato ovunque, è seguito alle segnalazioni dei primi casi di Covid-19, mentre le misure di lockdown successive sembrano aver svolto un ruolo minore. Cruciale sembrano quindi essere state la paura da parte delle persone di contagiarsi avvicinandosi a un contesto sanitario, o la falsa credenza che la vaccinazione potesse indebolire l’organismo esponendolo all’infezione in quel momento più temuta. Da questi dati sembrano meno determinanti le carenze del sistema, che ha cercato rapidamente di riorganizzarsi, per esempio favorendo l’accesso per appuntamento rispetto a quello libero, mentre le forniture di vaccini non sembrano aver subito particolari rallentamenti.
Le più penalizzate, comunque, sono state le vaccinazioni dei bambini sopra l’anno e quelle degli adulti, perché quasi ovunque si è data la precedenza al ciclo primario indispensabile a proteggere i neonati e, per i grandi, alle vaccinazioni di emergenza (per esempio in seguito a traumi o morsicature di animali selvatici), alle donne in gravidanza e alle persone a maggior rischio.
Per il 2021 purtroppo i dati non sono ancora disponibili, ma ci si può aspettare che la ripresa non sia ancora ottimale. I servizi, infatti, potrebbero aver trascurato le altre vaccinazioni, impegnati nel grande sforzo collettivo che ha portato a una delle campagne vaccinali contro Covid -19 più efficienti al mondo, mentre l’effetto della disinformazione sui nuovi vaccini potrebbe aver alimentato anche la diffidenza contro quelli tradizionali. Inoltre, i milioni di contagi da COVID-19 che si sono verificati nella popolazione pediatrica e adulta potrebbero aver fatto saltare molti appuntamenti e creato ritardi in attesa di una completa ripresa.
Ora però è il momento di recuperare il tempo perduto. Davanti al rilassamento delle misure di distanziamento e alla ripresa dei viaggi nazionali e internazionali occorre tornare a proteggere noi stessi e i nostri figli anche dalle altre malattie infettive, oltre che da Covid-19.
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