In questa scheda si parla dei farmaci per Covid-19 e non troverete nulla su lattoferrina, vitamine o altri rimedi fai-da-te: sia perché non si tratta di medicinali sia perché purtroppo l’efficacia di queste sostanze nel trattamento di Covid-19 non è stata provata da studi svolti in modo rigoroso. “Non esiste un approccio terapeutico unico a Covid-19” ha spiegato Nicola Magrini, direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in un’intervista, “dipende dalle fasi e dalla gravità della malattia” [1]. Ma la ricerca continua ogni giorno e l’approccio ai pazienti che hanno contratto la malattia è in continua evoluzione.
Dottore, qual è lo stato attuale dei farmaci per Covid-19?
Attualmente non disponiamo di farmaci che possano risolvere l’infezione da SARS-CoV-2 né la polmonite da Covid-19. L’approccio alla malattia è molto simile a quello al quale si ricorre nei casi di influenza grave, spiega il bollettino quasi quotidiano dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani [2]: terapie di sostegno e, nei casi più gravi, supporto meccanico alla respirazione. Il Ministero della Salute ha emanato una circolare sulla gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 presentata sul portale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri [3]. Anche l’AIFA fornisce informazioni aggiornate sul proprio sito e sui trattamenti più indicati sulla base delle attuali evidenze scientifiche sia a domicilio [4] (per saperne di più leggi la nostra scheda “Esistono terapie domiciliari per la cura di Covid-19?”), sia in ospedale [5].
Quali farmaci per Covid-19 vengono somministrati alle persone ricoverate in ospedale?
I corticosteroidi – e in particolare il farmaco desametasone – sono una classe di farmaci che ha dimostrato di poter ridurre la mortalità nei pazienti gravi che hanno bisogno di ossigenoterapia (secondo BMJ Best Practice, meno di 90% di saturazione e più di 30 respiri al minuto). Le prove della loro efficacia sono arrivate principalmente da uno studio controllato randomizzato che è stato svolto in diversi centri internazionali: il RECOVERY (Randomised Evaluation of COVid-19 thERapY) [6]. In aggiunta, è indicato l’utilizzo di eparine a basso peso molecolare a dosi intermedie da valutare nel paziente grave e caso per caso [7].
Il farmaco antivirale remdesivir è stato valutato da diversi studi caratterizzati da rigore metodologico differente. Le indicazioni attuali di AIFA suggeriscono una valutazione mirata e in pazienti selezionati con polmonite da Covid-19 ma che non necessitano di supporto di ossigeno o di ventilazione meccanica e comunque che abbiano sintomi insorti da meno di 10 giorni [8].
C’è qualcosa che bolle in pentola e che ci autorizza a sperare in una cura?
Vari trattamenti sono in studio in molti Paesi del mondo. Diversi trattamenti vengono utilizzati fuori indicazione (off-label) sulla base del cosiddetto “uso compassionevole” o come parte di studi clinici. È importante notare che potrebbero verificarsi gravi effetti avversi associati a questi farmaci e che questi effetti avversi potrebbero sovrapporsi alle manifestazioni cliniche di Covid-19. Farmaci non adeguatamente studiati nei pazienti con Covid-19 possono anche aumentare il rischio di morte in un paziente anziano o nei malati che soffrono di malattie concomitanti. Possono essere pericolose anche le interazioni tra i diversi medicinali. Sono in corso alcuni studi internazionali per identificare trattamenti che possono essere utili, come quelli condotti sulle piattaforme Solidarity coordinati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e RECOVERY [2,7].
Cosa sappiamo invece del tocilizumab?
Questo farmaco immunomodulatore è stato studiato sin dalle fasi iniziali della pandemia. Un articolo uscito nell’autunno 2020 riportava i risultati di uno studio randomizzato controllato verso placebo su pazienti ricoverati in ospedale: in questo studio il farmaco non dimostrava la propria utilità [9]. Uno studio randomizzato controllato italiano aveva successivamente confermato i dubbi sull’efficacia del tocilizumab nel trattamento delle polmoniti da Covid-19 [10].
La ricerca clinica è però proseguita e nel maggio 2021 sono stati pubblicati definitivamente i risultati relativi al trattamento con tocilizumab ottenuti sempre nello studio RECOVERY, volto a valutare l’efficacia di differenti opzioni terapeutiche per pazienti Covid-19 ricoverati, adulti ospedalizzati con Covid-19 grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica [11]. Va detto che i dati derivanti dagli studi clinici randomizzati non sono di facile interpretazione a causa delle importanti differenze tra i diversi studi in termini di popolazione studiata (per gravità, trattamenti concomitanti e tempo di inizio della terapia) e dei differenti esiti valutati [12]. Anche alla luce dei risultati di ulteriori studi [13], l’AIFA considera attualmente candidabili al trattamento con tocilizumab i pazienti da poco ospedalizzati e con condizioni cliniche che si stanno rapidamente aggravando. “L’utilizzo può altresì essere considerato in soggetti ospedalizzati in rapida progressione clinica malgrado l’utilizzo di desametasone che richiedono un fabbisogno di ossigeno in rapido aumento pur senza necessità di ventilazione non invasiva o ossigeno ad alti flussi, e con elevati livelli di indici di flogosi (CRP≥75 mg/L)” [14].
Nel settembre 2021, la Commissione Tecnico Scientifica (CTS) di AIFA ha autorizzato l’uso nella Covid-19 di altri tre farmaci immunomodulanti, dopo aver valutato le nuove evidenze che si sono rese disponibili: anakinra, baricitinib e sarilumab. Questi medicinali si sono aggiunti al tocilizumab nel trattamento di soggetti ospedalizzati con Covid-19 con polmonite ingravescente sottoposti a vari livelli di supporto con ossigenoterapia [15]. Questi tre farmaci e il tocilizumab agiscono contro quella che possiamo definire la reazione abnorme del sistema immunitario, la cosiddetta “tempesta di citochine”.
Gli anticorpi monoclonali possono essere usati?
Gli anticorpi monoclonali possono bloccare le molecole infiammatorie responsabili dell’insorgenza di alcune patologie e, utilizzati da tempo in reumatologia e oncologia, si sono rivelati potenzialmente utili anche contro Covid-19. L’Agenzia europea per i medicinali (European Medicines Agency – EMA) ha iniziato nel febbraio 2021 ad analizzare i dati scientifici disponibili per due combinazioni di anticorpi monoclonali: casirivimab/imdevimab e bamlanivimab/etesevimab. Un mese dopo (marzo 2021) ne ha raccomandato l’uso per il trattamento del Covid-19 confermato in malati che non richiedano ossigeno supplementare e nei quali la malattia sia ad alto rischio di progredire verso forme gravi [16]. Nell’autunno 2021 la revisione in corso (definita “rolling review”) dell’associazione bamlanivimab/etesevimab è stata sospesa su richiesta dell’azienda produttrice e l’11 novembre l’EMA ha raccomandato l’autorizzazione di casirivimab/imdevimab sia per il trattamento di adulti sia di adolescenti di età superiore ai 12 anni con Covid-19 in forma lieve o moderata che non richiedano ossigenoterapia e che siano a rischio di progredire verso forme severe, sia per la prevenzione della malattia.
Gli anticorpi monoclonali sono prodotti a partire da specifici anticorpi presenti nel sangue di pazienti che hanno superato l’infezione: anche per questo è possibile che le mutazioni del virus possano ridurne l’efficacia [17]. Diverse pubblicazioni condivise sui server di preprint (prima che i contributi siano passati al vaglio della revisione critica effettuata dalle riviste scientifiche accademiche) riportano delle evidenze di studi condotti in laboratorio secondo le quali la variante Omicron sarebbe totalmente o parzialmente resistente a tutti i trattamenti attualmente disponibili con anticorpi monoclonali. Evidenza confermata da alcune delle aziende che producono questi prodotti. Anche per bamlanivimab-etesevemab, sembrano esserci problemi simili.
Dottore, ci sono altri farmaci che negli ultimi tempi sono stati provati per la cura di Covid-19?
Certamente: la ricerca clinica continua e produce risultati, e anche i risultati negativi possono aiutare a mettere meglio a fuoco la strategia di cura del malato. È il caso per esempio della colchicina, che è stata proposta come trattamento per Covid-19 sulla base delle sue azioni antinfiammatorie. Un nuovo studio randomizzato, controllato, in aperto, presso 177 ospedali nel Regno Unito, due ospedali in Indonesia e due ospedali in Nepal, ha messo a confronto diversi possibili trattamenti con lo standard-of-care nei pazienti ricoverati con Covid-19 [18]. I pazienti erano eleggibili per l’inclusione nello studio se erano stati ricoverati in ospedale con infezione da SARS-CoV-2 clinicamente sospetta o confermata in laboratorio e non avevano una storia clinica che, secondo il medico curante, potesse mettere il paziente a rischio significativo qualora fossero stati coinvolti nello studio. Gli adulti idonei e consenzienti sono stati assegnati in modo casuale (randomizzata) a ricevere solo lo standard-of-care o lo standard-of-care più colchicina.
Dopo la randomizzazione i partecipanti hanno ricevuto 1 mg di colchicina, seguita da 500 μg 12 ore dopo e poi 500 μg due volte al giorno per bocca o tramite sondino nasogastrico per 10 giorni in totale, o fino alla dimissione. La frequenza della dose è stata dimezzata per alcuni pazienti in condizioni speciali. L’esito primario era la mortalità a 28 giorni, quelli secondari includevano il tempo alla dimissione, la percentuale di pazienti dimessi dall’ospedale entro 28 giorni e, nei pazienti non sottoposti a ventilazione meccanica invasiva alla randomizzazione, un esito (endpoint) composito di ventilazione meccanica invasiva o morte.
Tra il 27 novembre 2020 e il 4 marzo 2021, 11.340 (58%) dei 19.423 pazienti arruolati nello studio RECOVERY erano idonei a ricevere la colchicina; 5.610 (49%) pazienti sono stati assegnati in modo casuale al gruppo colchicina e 5.730 (51%) al gruppo di cure abituali. Complessivamente, 1173 (21%) pazienti nel gruppo della colchicina e 1190 (21%) pazienti nel gruppo delle cure abituali sono deceduti entro 28 giorni. Il tempo mediano per la dimissione in vita (10 giorni) è stato lo stesso in entrambi i gruppi e non vi è stata alcuna differenza significativa nella percentuale di pazienti dimessi dall’ospedale entro 28 giorni.
L’interesse dello studio non risiede solo nell’aver dimostrato che negli adulti ospedalizzati con Covid-19 la prescrizione di colchicina non è associata a riduzioni della mortalità a 28 giorni, della durata della degenza ospedaliera o del rischio di passare alla ventilazione meccanica invasiva o alla morte. È anche un’altra tappa importante dell’ampio progetto RECOVERY, che sta confermando quanto possa essere utile una piattaforma istituzionale per la ricerca clinica che possa rapidamente rendersi disponibile a pubblico e privato per la conduzione di studi clinici rigorosamente disegnati.
Dottore, che cos’è il molnupiravir?
È un farmaco antivirale ad ampio spettro, già utilizzato nel corso dell’epidemia di Ebola in Liberia nel 2016-2017 [19]. Noto anche come MK 4482 o Lagevrio, è stato sviluppato da Merck Sharp & Dohme in collaborazione con Ridgeback Biotherapeutics per il trattamento di Covid-19 negli adulti.
Poco prima della fine dell’anno il comitato per i medicinali umani (CHMP) dell’EMA, ha avviato il percorso di revisione di questo medicinale [20]. Il 23 novembre 2021 è iniziato il vero e proprio processo di valutazione del farmaco finalizzato alla sua possibile registrazione. Il 26 novembre, la stessa azienda produttrice Merck & Co (in Italia MSD, Merck Sharp & Dohme) ha annunciato che i dati aggiornati del suo studio sul monupiravir nel trattamento di Covid-19 hanno mostrato che il farmaco è meno efficace nel ridurre i ricoveri e i decessi rispetto a quanto riportato in precedenza. L’azienda ha affermato che il medicinale ha mostrato una riduzione del 30% dei ricoveri e dei decessi, sulla base dei dati di oltre 1.400 pazienti. È fondamentale però leggere i dati relativi alla riduzione del rischio assoluto: il 6,8% dei pazienti trattati con molnupiravir è stato ricoverato in ospedale e una persona è deceduta, mentre nel gruppo placebo si è registrato un tasso di ospedalizzazione del 9,7% [20].
La decisione del CHMP di avviare il percorso di valutazione si basa sui risultati preliminari di studi di laboratorio (dati non clinici) e clinici. Questi studi suggeriscono che il medicinale potrebbe ridurre la capacità di SARS-CoV-2, il virus che causa Covid-19, di moltiplicarsi nel corpo, prevenendo così il ricovero o la morte nei pazienti contagiati. L’EMA valuterà dati sulla qualità, la sicurezza e l’efficacia del medicinale. La revisione proseguirà fino a quando non saranno disponibili prove sufficienti per consentire all’azienda di presentare una domanda formale di autorizzazione all’immissione in commercio. Però, non è stato reso noto dall’EMA quali tempi saranno necessari per acquisire prove sufficienti.
In termini tecnici questa attività di revisione svolta dall’EMA è definita, come accennavamo in precedenza, una “rolling review”. Una “rolling review” è uno strumento normativo che l’EMA utilizza per accelerare la valutazione di un farmaco o vaccino promettente durante un’emergenza sanitaria. Normalmente tutti i dati sull’efficacia, la sicurezza e la qualità di un medicinale o di un vaccino e tutti i documenti richiesti devono essere pronti all’inizio della valutazione in una domanda formale di autorizzazione all’immissione in commercio. Nel caso di una “rolling review”, il Comitato per i medicinali per uso umano dell’EMA esamina i dati non appena diventano disponibili dagli studi in corso. Una volta che sono disponibili dati sufficienti, l’azienda può presentare una domanda formale. Riesaminando i dati non appena disponibili, il CHMP può esprimere più tempestivamente un parere sull’autorizzazione del medicinale.
Nella seduta del 22 dicembre 2021, la Commissione Tecnico Scientifica dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato molnupiravir per il trattamento di pazienti non ospedalizzati per Covid-19 con malattia lieve-moderata di recente insorgenza e con condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori di rischio per lo sviluppo di Covid-19 grave. La prescrizione del farmaco è indicata entro 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi. La durata del trattamento, che consiste nell’assunzione di 4 compresse (da 200 mg) 2 volte al giorno, è di 5 giorni.
Possiamo essere ottimisti?
Guardando alla ricerca e considerati i risultati ottenuti fino a oggi in termini di controllo della pandemia, possiamo esserlo. Però, dobbiamo essere cauti. Come leggiamo sulla rivista Nature, “non è ancora chiaro se questa storia di successo della ricerca clinica si tradurrà in un punto di svolta globale nella lotta contro la pandemia. Anche se i Paesi a basso reddito potessero permettersi il farmaco, potrebbero non avere la capacità diagnostica per trattare i pazienti con molnupiravir all’inizio della malattia, quando il trattamento potrebbe fare la differenza” [22]. Inoltre, aggiunge l’autrice dell’articolo, “due produttori indiani di farmaci che hanno valutato in modo indipendente il molnupiravir generico in persone con Covid-19 moderata hanno deciso di interrompere i loro studi perché non hanno riscontrato ‘efficacia significativa’ per il farmaco in studio, sebbene abbiano intenzione di continuare le ricerche valutandone l’utilità in persone con malattia lieve”. Va detto che gli studi dell’azienda Merck sono stati divulgati in comunicati stampa e devono ancora essere passati al vaglio dei revisori delle riviste internazionali indicizzate.
Inoltre, “il potenziale mutageno del composto nelle cellule umane – la possibilità che possa incorporarsi nel DNA – solleva problemi di sicurezza”, affermano alcuni ricercatori. Merck non ha ancora rilasciato dati dettagliati sulla sicurezza, ma “siamo molto tranquilli che il farmaco sarà sicuro se usato come previsto” ha affermato l’azienda [22].
L’azienda produttrice Merck ha concesso una licenza che non prevede il pagamento di diritti per il molnupiravir: questo consentirebbe di produrre e vendere il farmaco a basso costo nelle nazioni più povere. L’accordo è tra Merck e Medicines Patent Pool (MPP), un’organizzazione che lavora per rendere le cure mediche e le tecnologie accessibili a livello globale: consentirà ad aziende di 105 Paesi, principalmente in Africa e Asia, di poter produrre la pillola antivirale senza dover riconoscere denaro alla stessa Merck. Per l’organizzazione Medici Senza Frontiere non è ancora abbastanza, dal momento che nelle sole nazioni a medio e basso reddito escluse dall’accordo con MPP si sono verificate 30 milioni di infezioni da Covid-19 nella prima metà del 2021, la metà di tutte le infezioni nei Paesi poveri [23].
Dottore, un’ultima cosa: ho sentito parlare anche di un farmaco di Pfizer…
Sì, il Paxlovid. Si tratta di un farmaco antivirale che interferisce con i meccanismi utilizzati da SARS-CoV-2 per replicarsi all’interno delle cellule delle persone contagiate. Secondo i dati elaborati dall’azienda produttrice – basati su una sperimentazione che ha coinvolto 2.246 volontari non vaccinati e con caratteristiche tali da sviluppare la malattia in forma grave – se assunto entro tre giorni dalla comparsa dei sintomi riduce il rischio di ricovero e morte dell’89%. Lo 0,7% dei partecipanti che avevano ricevuto il Paxlovid è stato ricoverato entro quattro settimane dall’inizio della sperimentazione, mentre nel gruppo che aveva assunto il placebo la percentuale è stata del 6,5% [24].
Poco prima di Natale l’agenzia governativa statunitense che si occupa della sicurezza e dell’approvazione dei farmaci, la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato l’uso del Paxlovid sulle persone dai 12 anni in su, con un forte rischio di ospedalizzazione, che presentano i primi sintomi della malattia e con un tampone positivo al coronavirus. Anche il Comitato per i medicinali per uso umano dell’EMA ha formulato un parere sull’uso di Paxlovid per il trattamento di Covid-19. Il medicinale, che non è ancora autorizzato nell’UE, può essere utilizzato per il trattamento di adulti che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che sono ad alto rischio di progredire alla forma grave della malattia [25].
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