“Oggi gli italiani hanno bisogno di messaggi positivi e rassicuranti”, dicono persone importanti della sanità del nostro Paese. È un desiderio rispettabile quello di rassicurare i cittadini e ancora di più è un’aspirazione legittima quella di essere tranquillizzati, soprattutto dopo due anni e mezzo di un’emergenza che ha investito la salute e la vita quotidiana di tutti. Però, poche cose come una comunicazione corretta sono la premessa di quella serenità che può scaturire solo dall’essere al riparo dalle maggiori sorprese. Ciò premesso, la risposta più vicina alla “comunicazione corretta” a una domanda come quella del titolo è: “Probabilmente sì, ancora per qualche mese o per qualche anno ci saranno nuove varianti di SARS-CoV-2”.
Perché “probabilmente”?
Il perché lo ha spiegato qualche giorno fa Roberta Villa, collaboratrice di Dottore ma è vero che?: “È una delle prime, fondamentali regole della comunicazione dell’emergenza: riconoscere l’incertezza di una situazione nuova e in evoluzione” [1]. E, ha aggiunto, occorre “spiegarla al pubblico, sottolineare volta per volta gli elementi di conoscenza già consolidati, le domande rimaste aperte, quali ricerche sono in corso o azioni si stanno mettendo in atto per trovare le risposte necessarie” [1]. Proviamo a seguire il consiglio di Roberta con l’aiuto di alcuni giornalisti di alcuni media internazionali, e di ricercatori da loro ascoltati, che negli ultimi mesi hanno approfondito con scrupolo e competenza questi argomenti [2,3].
Allora, dottore: a che punto siamo con la pandemia?
La situazione è leggermente diversa da nazione a nazione e spesso ci sono differenze anche all’interno dello stesso Paese. I dati monitorati da Our world in data [4] offrono una panoramica sintetica e tracciano una curva altalenante che – con l’eccezione delle drammatiche settimane a cavallo della fine di gennaio 2022 – continua a far registrare un numero di nuovi casi giornalieri tra gli 800 mila e il milione (nei giorni di picco) e di 350-380 mila (nei giorni di minore contagio).
I media sono concordi nell’affermare che i casi registrati sono solo una piccola porzione di un totale molto più ampio [2], per la difficoltà di tracciare i contagi nei contesti in cui i sistemi sanitari sono meno efficienti e perché in molti individui la malattia causa sintomi lievi o è asintomatica. Tra l’aumento dei test domiciliari che non vengono segnalati, le riduzioni di bilancio dei servizi attivi per i test diagnostici e le infezioni lievi o asintomatiche che passano inosservate, “non sappiamo davvero quanti casi abbiamo” ha spiegato al Los Angeles Times [5] David Dowdy, un epidemiologo esperto di malattie infettive della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health.
Questa intensa circolazione del virus favorisce l’emergere di nuove varianti, come abbiamo spiegato nella scheda “I vaccini contro Covid-19 generano varianti?”. Inoltre, la protezione garantita dai vaccini e da precedenti contagi mette al riparo gran parte delle persone dalla malattia grave, ma non protegge dalla sensazione generalizzata di insicurezza e dal caos che continua a caratterizzare la vita familiare, scolastica e lavorativa di milioni di persone [2].
Durante questa estate 2022 quali sono le varianti in circolazione?
Di nuovo, dipende dai contesti a cui facciamo riferimento. “Negli Stati Uniti, la flessione delle varianti BA.2 e BA.2.12.1 ha quasi totalmente coinciso con la crescita della diffusione di BA.5 al punto che i picchi dei… picchi si sono fusi in uno solo. E una nuova variante cugina – BA.2.75 – sta attualmente spuntando in diverse parti del mondo” [2].
Possibile che ogni variante ci esponga a un nuovo contagio?
Anche rispondendo a questa domanda sarebbe bello tranquillizzare ma, in realtà, la memoria del sistema immunitario riconosce le infezioni in base alla struttura molecolare dei virus e degli altri agenti patogeni. Le mutazioni modificano leggermente la struttura molecolare di ciascuna variante di SARS-CoV-2, rendendo più difficile per il nostro sistema immunitario riconoscere e rispondere al virus. Si tratta della “evasione immunitaria” di cui sentiamo parlare ogni tanto. Oggi, a inizio agosto 2022, c’è preoccupazione per le mutazioni presenti nella variante BA.2.75 ma non si hanno ancora prove solide che ci dicano che possa eludere il sistema immunitario in modo più significativo delle varianti precedenti [3]. Strutturalmente, BA.2.75 è ancora molto simile a Omicron e alla variante originale di Wuhan. Quindi è probabile che l’immunità acquisita potrebbe non essere sufficiente per evitare la reinfezione, ma dovrebbe ridurre la gravità della malattia, ha dichiarato a The Conversation Ben Krishna, ricercatore in immunologia e virologia all’università di Cambridge [3].
Davvero non c’è nulla da fare per arginare il presentarsi di nuove varianti?
Dal punto di vista della sanità pubblica, l’adozione di misure simili a quelle messe in atto nei primi mesi della pandemia potrebbe servire per limitare la circolazione del virus. Ma con l’uso delle mascherine quasi completamente abbandonato, avendo dimenticato la necessità di un maggiore distanziamento, essendo state annullate le restrizioni ai raduni “abbiamo dato al virus ogni opportunità per continuare a circolare e a trasformarsi”, ha detto David Martinez, virologo dell’università della North Caroline a Chapel Hill, a Katherine J. Wu, giornalista di The Atlantic: più varianti significano più infezioni; più infezioni significano più varianti. Sebbene i tassi di ospedalizzazione e mortalità restino relativamente bassi, un alto tasso di infezioni ci mantiene nel circolo vizioso dell’evoluzione virale. “La cosa più importante da considerare è davvero questa trasmissione incontrollata” ha sottolineato anche Helen Chu, epidemiologa ed esperta di vaccini dell’università di Washington.
Rispetto ad altri virus a RNA, i coronavirus non tendono a mutare molto rapidamente e nel primo anno della pandemia SARS-CoV-2 è rimasto fedele a quanto era conosciuto, facendo rilevare circa due mutazioni al mese [2]. Successivamente, il quadro è cambiato con l’arrivo delle varianti Alpha, Delta, Omicron e le sue numerose sottovarianti. Secondo alcuni ricercatori, il nuovo quadro è dovuto al cambiamento dell’obiettivo del virus. Se prima la cosa più importante era arrivare prima a contagiare un nuovo ospite, con una circolazione così ampia la “qualità” che può permettere a una variante di diffondersi è la capacità di evasione immunitaria, ha spiegato Emma Hodcroft, ricercatrice dell’università di Berna [3].
Dottore: ma se le chiedessi di tranquillizzarmi?
Le direi che, non volendo tornare a mettere in atto strategie severe e restrittive di sanità pubblica, la speranza risiede nell’avere a disposizione un vaccino universale capace di contrastare Covid-19 [6]. Un vaccino di questo tipo probabilmente cercherà di indurre l’immunità mirata alle strutture molecolari comuni a tutti i coronavirus. “Oltre a fornire immunità contro le nuove varianti di SARS-CoV-2, un vaccino pan-coronavirus potrebbe anche conferire immunità contro la prossima pandemia di coronavirus. Alcuni di questi vaccini sembrano destinati a passare alla sperimentazione clinica nei prossimi anni” [3].
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di produrre vaccini che inducano una migliore immunità nel sistema respiratorio. Per esempio i vaccini somministrati attraverso il naso, che potrebbero “allenare” il sistema immunitario a produrre più anticorpi già nel muco del naso e della gola.
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