In seguito alla pubblicazione di uno studio condotto da ricercatori israeliani, si è diffusa la notizia che l’immunità naturale acquisita dopo essere sopravvissuti all’infezione da SARS-CoV-2 protegga di più di quella offerta dai vaccini oggi disponibili. Ma non bisogna trarre conclusioni affrettate rispetto ai comportamenti da seguire.
Dottore, quali sono i risultati dello studio in questione?
Per prima cosa, bisogna chiarire che lo studio in questione [1] in realtà è in pre-pubblicazione e deve ancora essere sottoposto al processo di revisione da parte di altri esperti: è uscito su medRxiv, una piattaforma dove sono messi a disposizione studi non ancora pubblicati su riviste accademiche, e che quindi ancora non sono passati attraverso il filtro della cosiddetta peer-review.
Nella ricerca, gli studiosi israeliani hanno preso in esame dati relativi a tre categorie diverse di pazienti con più di 16 anni:
- Vaccinati da almeno sei mesi con due dosi di vaccino Pfizer-BioNTech;
- Persone che avevano avuto Covid-19 almeno sei mesi prima (entro il 28 febbraio 2021) dell’inizio dello studio;
- Persone che avevano avuto Covid-19 almeno sei mesi prima e avevano anche ricevuto una dose di vaccino Pfizer-BioNTech almeno una settimana prima dell’inizio dello studio.
In una prima valutazione, i ricercatori hanno confrontato i tassi di infezione di 16.215 persone vaccinate con i tassi di una seconda infezione (reinfezione) in altrettanti soggetti guariti da Covid-19. Secondo quanto riportato dai ricercatori, le caratteristiche demografiche tra questi due gruppi erano simili (il terzo gruppo entra in gioco dopo, in una successiva valutazione). C’erano solo minime differenze nelle condizioni di salute: alcuni individui, infatti, erano affetti da altre patologie (in termini tecnici, in casi del genere si parla di comorbilità).
Nel periodo durante il quale le persone che hanno partecipato allo studio sono state seguite dai ricercatori (chiamato periodo di follow-up), questi hanno registrato in totale 257 casi di infezioni da SARS-CoV-2, di cui 238 nel primo gruppo e 19 nel secondo. Quindi, il rischio di infezione tra le persone vaccinate sembrerebbe essere 13 volte maggiore rispetto a quello di chi è guarito dopo aver avuto Covid-19. Dei 257 casi, 199 erano sintomatici (febbre, tosse, difficoltà respiratorie, perdita del gusto e dell’olfatto, dolori muscolari, debolezza, mal di testa e mal di gola), di cui 191 nel primo gruppo. In solo 9 casi è stata necessaria una ospedalizzazione, di cui 8 tra i vaccinati, e nessuno è deceduto.
A quali conclusioni possiamo arrivare?
Così descritti i risultati sembrano effettivamente indicare una maggiore protezione offerta dall’immunità naturale rispetto all’immunità conferita dal vaccino. Tuttavia, lo studio presenta una serie di limiti, alcuni specificati anche dagli autori stessi. Il primo è che è molto difficile stimare le infezioni e reinfezioni asintomatiche perché molto spesso gli asintomatici non si sottopongono a test. Consideriamo che in questo studio il test per l’infezione da SARS-CoV-2 era su base volontaria. Inoltre, i ricercatori non hanno preso in considerazione l’effetto di diversi comportamenti protettivi che potrebbero essere stati assunti dai partecipanti, come distanziamento sociale, impiego di mascherine o di disinfettanti per le mani. Qualcuno ha fatto presente che dopo essersi ammalata di Covid-19 una persona potrebbe scegliere di tenere comportamenti più prudenti. Sono dunque due gruppi di persone che difficilmente possono essere confrontati.
Infine è bene porre attenzione su quello che lo studio ci dice rispetto alla protezione generale che si acquisisce con i vaccini: su 16.215 persone vaccinate solo 238 si sono infettate, di queste solo 191 erano sintomatiche, solo per 8 è stato necessario il ricovero in ospedale e nessuna è morta. L’obiettivo principale dei vaccini è proprio quello di evitare ospedalizzazioni e conseguenze gravi o mortali della malattia. Come spiega in un’intervista pubblicata da Medical news today William Schaffner, professore di Malattie infettive presso il Vanderbilt University Medical Center di Nashville, negli Stati Uniti, i vaccini stanno facendo esattamente quello per cui sono stati progettati [2].
Del resto, lo studio non mette in discussione la validità dei vaccini in nessun modo, né nelle intenzioni dei ricercatori né nel disegno della ricerca: l’obiettivo era valutare l’immunità naturale e capire quale risposta si osserva nell’organismo di chi ha superato Covid-19. Studiare l’immunità naturale, infatti, aiuta a gestire le campagne vaccinali, a valutare la reale e potenziale circolazione del virus, a capire se e come questa immunità, quanto quella acquisita con i vaccini, possa essere presa in considerazione nella pianificazione delle campagne, nello stabilire le priorità nella distribuzione delle dosi; serve a capire se anche l’immunità naturale diminuisce nel tempo, rendendo necessaria eventualmente una ulteriore immunizzazione, e via dicendo.
Dottore, cos’è l’immunità naturale?
Quando esposto a un virus, il sistema immunitario attiva le cellule predisposte alla difesa dell’organismo, in particolare un certo tipo di globuli bianchi chiamati linfociti T e B. Questi riconoscono l’agente patogeno, identificano le cellule attaccate da esso e le distruggono per limitare la diffusione dell’infezione. Non solo. I linfociti T e B conservano per un periodo di tempo variabile una memoria specifica dell’agente stesso in modo da poter organizzare e attivare una rapida risposta immunitaria in caso di un nuovo incontro.
Quindi non mi devo vaccinare perché è meglio contagiarsi naturalmente?
Assolutamente no. Nessuno sostiene che sia preferibile infettarsi. L’immunità naturale arriva a un costo e a un rischio collettivo e personale molto alto. Sopravvivere a Covid-19 infatti può voler dire passare settimane in terapia intensiva, soffrire conseguenze e sintomi che si protraggono per settimane e mesi, e rischiare di sviluppare quella che oggi è conosciuta come sindrome da Long Covid (per approfondire leggi la nostra scheda “Covid-19 potrebbe diventare una patologia cronica?”). I vaccini invece proteggono dai sintomi gravi e dalle forme severe che costringono alle ospedalizzazioni [3], come mostra lo stesso studio israeliano, oltre che dagli esiti più nefasti.
E non dimentichiamo che molte persone non sviluppano l’immunità naturale perché non sopravvivono: a oggi poco meno di 5 milioni di persone non sono sopravvissute al virus [4], e questi numeri continuano a crescere e continueranno a farlo finché non ci sarà un numero adeguato di persone protette.
Dottore, se ho avuto Covid-19 non vale la pena che io mi vaccini?
No. Diverse evidenze mostrano che ad avere una protezione maggiore sono coloro che oltre ad aver superato la malattia si sono anche vaccinati. Quelli che possono contare, in termini tecnici, su una immunità ibrida: ovvero sia naturale sia indotta da vaccino. Il sistema immunitario di queste persone infatti sembra produrre anticorpi eccezionalmente potenti contro il coronavirus. Del resto, nel nostro Paese, come in altri quali per esempio Francia e Germania, si raccomanda una singola dose di vaccino anche a chi ha avuto Covid-19, preferibilmente entro sei mesi dalla malattia, e comunque non oltre i dodici. Dopo un anno dalla guarigione occorre invece sottoporsi a un ciclo completo.
L’alto valore protettivo dell’immunità ibrida è confermato anche da una delle valutazioni dello studio dei ricercatori israeliani in cui gli studiosi hanno comparato i tassi di reinfezioni tra persone sopravvissute a Covid-19, ma non vaccinate, e persone sopravvissute e vaccinate con una dose del vaccino di Pfizer-BioNTech (il terzo gruppo preso in esame nello studio). Secondo i risultati, nel periodo preso in esame, nel primo gruppo ci sono stati 37 casi di nuova positività a un test molecolare per covid-19 e nel secondo 20 casi. I casi sintomatici sono stati 23 nel primo gruppo e 16 nel secondo ed è stata registrata una sola ospedalizzazione.
Risultati simili si trovano anche in diversi studi condotti da alcuni gruppi di ricerca della Rockefeller University e pubblicati su Nature [5] e Immunity [6] e in un recente rapporto dell’agenzia statunitense che si occupa di controllo e prevenzione delle malattie (Centers for Disease Control and Prevention) [7]. Quest’ultimo ha mostrato per esempio che nel campione preso in considerazione le persone che si erano riprese da Covid-19 e sono state successivamente vaccinate avevano la metà del rischio di reinfezione rispetto alle persone non vaccinate che avevano precedentemente avuto la malattia.
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