A oggi le più ottimiste sembrano essere le aziende produttrici di vaccini. Moderna ha annunciato il 26 gennaio 2022 l’avvio di uno studio sul proprio vaccino contro Covid-19 mirato a proteggere dalla variante Omicron. Lo studio sarà condotto su circa 600 persone divise in due gruppi: uno formato da chi ha ricevuto due dosi di vaccino mRNA-1273 e l’altro da chi ha ricevuto due dosi dello stesso vaccino e il richiamo [1]. Anche Pfizer ha comunicato l’inizio di uno studio di valutazione del vaccino per la stessa variante, i cui risultati sarebbero attesi entro il primo semestre del 2022 [2].
L’ottimismo che ha suggerito l’avvio dei nuovi studi va comunque di pari passo con la sicurezza della buona efficacia del vaccino già disponibile, anche nel contrastare la diffusione della variante Omicron (per approfondire leggi la nostra scheda “I vaccini proteggono anche dalla variante Omicron?”): “Sebbene la ricerca attuale e i dati del mondo reale mostrino che i richiami continuano a fornire un elevato livello di protezione contro malattie gravi e ospedalizzazione con Omicron, riconosciamo la necessità di essere preparati nel caso in cui questa protezione diminuisca nel tempo e di aiutare potenzialmente ad affrontare Omicron e nuove varianti in futuro” ha detto Kathrin U. Jansen, vicepresidente senior della ricerca e sviluppo sui vaccini di Pfizer, in un’intervista a Stat [2]. Sulla stessa lunghezza d’onda Ugur Sahin, presidente e co-fondatore di BioNTech: “I vaccini continuano a offrire una forte protezione contro le patologie innescate da Omicron. Tuttavia, i dati emergenti indicano che la protezione indotta dal vaccino contro le infezioni e le malattie da lievi a moderate svanisce più rapidamente rispetto a quanto osservato con i ceppi precedenti” [2].
Modificare vaccini già esistenti è stato fatto in precedenza?
A questa domanda ha risposto Michael Osterholm, direttore del Center for Infectious Disease Research and Policy dell’Università del Minnesota, in un’intervista al National Geographic [3]: “Non abbiamo molti vaccini che cambiamo con regolarità: il morbillo non è cambiato, la rosolia non è cambiata, l’epatite non è cambiata”. C’è da dire, però, che rispetto a patogeni più stabili questo coronavirus si evolve rapidamente e l’impegno delle aziende farmaceutiche per adattare il vaccino a una variante così preoccupante come Omicron è sicuramente giustificato. La capacità di Omicron di infettare le persone che dovrebbero invece essere protette deriva probabilmente dal grande numero di mutazioni presenti nella sua proteina spike, la parte del virus che lo aiuta a penetrare nelle cellule. Una componente chiave del nostro sistema immunitario – i linfociti B – genera tre tipi principali di anticorpi che prendono di mira una regione specifica della proteina spike. Le varianti precedenti hanno avuto mutazioni in una o due di queste regioni di targeting degli anticorpi, ma Omicron ha mutazioni in tutte e tre, e questa particolarità rende la variante più contagiosa.
Modificare un vaccino è un processo complesso?
I nuovi vaccini a mRNA saranno più facili da modificare rispetto alla maggior parte dei vaccini sviluppati in passato per patologie diverse da Covid-19 [3]. In un vaccino con molte istruzioni genetiche i cambiamenti sarebbero pochi, e questo renderebbe anche improbabili effetti collaterali diversi rispetto a quanto riscontrato con i vaccini originari. Per certi aspetti, l’adattamento dei vaccini è una procedura usuale nel caso dell’influenza stagionale: ogni febbraio l’Organizzazione Mondiale della Sanità utilizza i dati dell’influenza circolante nell’emisfero australe, combinati con studi di laboratorio, per fare un’ipotesi plausibile su quali ceppi influenzali domineranno la stagione successiva [3].
Il percorso di approvazione da parte delle agenzie regolatorie sarà comunque lungo?
In realtà, nel caso di adattamento di un vaccino antinfluenzale già esistente le aziende produttrici devono limitarsi a dimostrare che le modifiche apportate sono efficaci nell’attivare la risposta capace di proteggere dalle varianti target [4]. Le industrie possono valutare il vaccino adattato in un gruppo di persone meno numeroso di quanto richiesto per la prima approvazione. Non sono tenuti a condurre grandi studi clinici ogni anno, come devono fare prima di ottenere l’approvazione per un nuovo vaccino.
Anche nel caso dei vaccini per Covid-19 è previsto qualcosa di simile: secondo la guida della Food and Drug Administration (FDA) le aziende che modificano i propri vaccini già autorizzati non sono tenute a disegnare e condurre studi approvativi su campioni di popolazione particolarmente vasti [5]. “La FDA dovrà muoversi ancora più velocemente di quanto non faccia per l’influenza. Con l’influenza hanno sei mesi per sviluppare nuovi vaccini; con la pandemia di coronavirus, ne avranno bisogno subito. Ma non verranno prese scorciatoie” rassicura Michael Osterholm [3].
L’ideale sarebbe ovviamente disporre di un vaccino universale, efficace contro tutte le varianti che potrebbero sorgere.
Ecco: ma quanto siamo lontani da un vaccino “universale”?
Se lo sono chiesto tre noti ricercatori molto autorevoli, tra i quali anche Anthony Fauci, che ne hanno parlato su una rivista scientifica assai nota e rispettata [6]. “Negli Stati Uniti”, hanno scritto sintetizzando la situazione in cui ci troviamo, “la pandemia di Covid-19 è stata parzialmente controllata da misure standard di salute pubblica come il distanziamento sociale, l’uso di protezioni facciali, l’isolamento delle persone malate ed esposte, la chiusura di luoghi in cui le persone si radunano in spazi ristretti, nonché dai vaccini SARS-CoV-2. Per quanto importanti siano questi vaccini, tuttavia, la loro efficacia protettiva diminuisce nel tempo, rendendo necessarie dosi di richiamo. La vaccinazione non è stata inoltre in grado di prevenire le varianti consentendo la successiva trasmissione ad altre persone anche quando il vaccino previene malattie gravi e fatali”.
Chi è stato naturalmente contagiato da SARS-CoV-2 può esserlo nuovamente e questo è già avvenuto e avviene con altri coronavirus endemici, virus influenzali e molti altri virus respiratori. “Inoltre, l’immunità conseguente all’infezione naturale da SARS-CoV-2, combinata con l’immunità indotta dal vaccino, non ha finora impedito l’emergere e la rapida diffusione di varianti virali come la variante Delta (B.1.617.2), altamente trasmissibile, e la recente variante identificata come Omicron (B.1.1.529)” [6].
I tre autori concludono ammettendo che è improbabile che SARS-CoV-2 venga del tutto eliminato, “per non dire eradicato; probabilmente continuerà a circolare indefinitamente in focolai periodici ed endemici. Nel frattempo, un numero imprecisato di coronavirus animali, di trasmissibilità e letalità sconosciute, potrebbe emergere nel prossimo futuro” [6]. Per questo l’impegno nella ricerca di nuovi potenti vaccini contro i coronavirus dev’essere intensificato, dando la priorità allo sviluppo di vaccini che possano promettere una copertura più ampia possibile.
Però, per lasciarci con una buona notizia, c’è una ragionevole certezza che “il booster dei vaccini mRNA attualmente in distribuzione può comportare risposte immunitarie più solide e durature, ovviando alla necessità di ulteriori richiami” [7].
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