“Il Comitato Tecnico Scientifico (CTS) si è riunito in data odierna per analizzare il documento ricevuto dal Ministro della Salute relativo alla partecipazione del pubblico alle manifestazioni sportive, predisposto dalla Conferenza delle Regioni e Province Autonome. Al riguardo, per quanto riguarda la partecipazione del pubblico agli eventi delle diverse discipline sportive e delle diverse serie, […] il CTS ritiene che, sulla base degli attuali indici epidemiologici ed in coerenza con quanto più volte raccomandato, non esistano – al momento – le condizioni per consentire negli eventi all’aperto e al chiuso, la partecipazione degli spettatori nelle modalità indicate dal documento predisposto dalla Conferenza delle Regioni e Province Autonome”. Per il momento, dunque, non potremo tornare allo stadio occupando quel 25 per cento di posti che la Conferenza delle Regioni aveva chiesto di poter aprire ai tifosi.
Per comprendere le ragioni di questa decisione, conviene fare un passo indietro e tornare nello stadio di San Siro, al 19 febbraio scorso, quando l’Atalanta e il Valencia si sfidavano per proseguire il proprio cammino in Europa. “Era tutto affollato. Le strade, tutti i dintorni, lo stadio. Praticamente una città intera che si era trasferita a Milano. È stato fantastico, incredibile” leggevamo sul Wall Street Journal lo scorso aprile, quando riportava il commento di un tifoso presente allo stadio. Sì, era davvero incredibile: un disastro che ha probabilmente amplificato il contagio del SARS-CoV-2 in Lombardia. “In un unico raduno di massa, si stava per dimostrare come gli eventi sportivi potessero finire al centro di una pandemia globale” [1].
Proprio in queste settimane in cui le decisioni difficili assunte dalle istituzioni italiane sono celebrate rendendoci tutti orgogliosi dei sacrifici fatti, non si può non ammettere che giocare quella partita di calcio e permettere a diverse migliaia di tifosi di assieparsi sugli spalti non fu una buona idea. Il coronavirus era così presente all’interno dello stadio, quella notte, che al rientro in Spagna un giocatore su tre del Valencia risultò positivo.
Dottore, la notte allo stadio di San Siro fu un episodio isolato?
Non proprio. Anche perché se nel nostro Paese l’epidemia aveva già iniziato a manifestarsi in maniera preoccupante, in altre nazioni il contagio sembrava poter essere controllato. Nell’ultima settimana prima che lo sport americano chiudesse le porte, il famoso stadio coperto di New York – il Madison Square Garden – ha ospitato oltre centomila persone, senza che le autorità abbiano preso provvedimenti. E il risultato lo conosciamo. Secondo William Schaffner, medico infettivologo del Vanderbilt University Medical Center e intervistato dal quotidiano statunitense prima citato, gli specialisti considerano eventi del genere come un potenziale “amplificatore distintivo”: ambienti ideali per la trasmissione del virus.
Perché può essere così pericoloso recarsi allo stadio?
Come hanno fatto osservare due ricercatori iraniani in una lettera all’Asian Journal of Sports Medicine, prima, durante e dopo la partita la distanza di sicurezza tra le persone non era adeguata, l’esposizione alle persone potenzialmente già contagiate durava a lungo e l’assembramento determinava una carica virale elevata. Il direttore del reparto di Terapia intensiva dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Luca Lorini, ha dichiarato pochi giorni dopo: “Sono sicuro che 40.000 persone si sono abbracciate e baciate per quattro volte, visto che l’Atalanta ha segnato quattro volte: un acceleratore incredibile per il contagio” [2].
Cosa si può fare, continuando a essere prudenti?
Un’esperienza interessante è quella australiana. Va ricordato che in quell’area l’epidemia si è accesa anticipatamente rispetto ad altri paesi e l’esperienza maturata può insegnare qualcosa anche ad altre nazioni. Ebbene, l’Istituto australiano per lo sport ha preparato un documento che riassume i principi fondamentali per la ripresa delle attività sportive e la loro apertura al pubblico. I principi delineati nel documento si applicano allo sport ad alte prestazioni, quindi non a livello amatoriale. Si tratta di indicazioni di base che prevedono che “la reintroduzione dell’attività sportiva avverrà in modo cauto e metodico, sulla base delle migliori prove disponibili per ottimizzare la sicurezza degli atleti e della comunità. Le decisioni in merito alla tempistica della ripresa (il “quando”) dell’attività sportiva devono essere prese in stretta consultazione con le autorità governative (statali, territoriali e della sanità pubblica locale). La priorità in ogni momento deve essere quella di preservare la salute pubblica, riducendo al minimo il rischio di trasmissione comunitaria” [3]. Sono principi condivisibili, anche se apparentemente solo improntati al buon senso.
Quali sono i punti principali della proposta approvata dalla Conferenza delle Regioni per la riapertura al pubblico degli stadi?
Si prevede che l’ingresso sia consentito solo agli spettatori muniti di mascherine, a cui sia stata misurata la temperatura, che potranno assistere solo in posti a sedere assegnati personalmente, distanziati e nei limiti massimi del 25 per cento della capienza dell’impianto. Il Comitato Tecnico Scientifico del Ministero ha comunque raccomandato nella propria nota di oggi, 26 settembre 2020, che per ogni evento autorizzato dalle norme attualmente in vigore (sia assicurata) “la prenotazione e la preassegnazione del posto a sedere con seduta fissa, il rigoroso rispetto delle misure di distanziamento fisico di almeno 1 metro, l’igienizzazione delle mani e l’uso delle mascherine. Qualora l’evento non possa garantire le citate misure di prevenzione, i numeri indicati nel DPCM dovranno necessariamente essere ridotti dagli enti organizzatori e posti sotto la valutazione e la responsabilità delle autorità sanitarie competenti”.
Cosa ne pensano i medici di questa proposta?
Un parere molto chiaro è quello di Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) che all’agenzia ADNKronos Salute ha dichiarato: “Abbiamo conquistato, grazie a mesi di disciplina, un primato riconosciuto dall’Europa nella gestione dell’epidemia di Covid-19. Ora occorre continuare sulla strada della cautela e della prudenza, per non perdere i risultati acquisiti con tanti sacrifici. Questo anche in considerazione della riapertura delle scuole, che inevitabilmente porta a un moltiplicarsi dei contatti tra le persone, ma che attualmente deve essere considerata la priorità per il paese. Riaprire ora gli stadi potrebbe significare il ripetersi di quanto è successo con la riapertura delle discoteche. In questa fase, invito a migliorare la trasmissione delle partite attraverso canali televisivi, limitando, come già avviene, l’accesso agli stadi e mantenendo tutte le misure necessarie ad evitare gli assembramenti e i contatti ravvicinati: distanziamento, accessi scaglionati, uso delle mascherine e dei disinfettanti” [4].
Un altro aspetto molto importante da considerare è che la permanenza in uno stadio – beninteso, con distanziamento fisico e all’aperto – espone al contatto con persone sconosciute. È un elemento fondamentale che rende più problematica – se non impossibile – l’attività di tracciamento dei possibili contagi. Infatti, un conto è monitorare una classe scolastica o un reparto lavorativo, risalendo all’occorrenza ai contatti familiari e sociali dei diversi bambini o dei lavoratori, e un altro è ricostruire i possibili contatti tra sconosciuti che hanno trascorso vicini due ore del proprio tempo [5].
Quale futuro deve attendersi un tifoso di calcio?
Sicuramente, un auspicio per molti aspetti condivisibile è quello espresso dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha detto di augurarsi di poter presto tornare in tribuna per assistere a una partita della propria squadra del cuore. Questo vorrebbe dire essere tornati alla normalità.
Va detto, però, che il blocco di diversi mesi che ha interessato le manifestazioni sportive ha innescato dei filoni di ricerca interessanti. Per esempio, alcuni studiosi stanno interrogandosi sull’influenza positiva che una riduzione del numero degli spettatori potrebbe avere sull’ecosistema: l’impatto ambientale dei comportamenti degli spettatori sarebbe notevolmente ridotto a causa di una diminuzione del consumo di risorse ambientali, in particolare derivanti dalla riduzione dei viaggi e del trasporto locale da parte degli spettatori [6].
A ogni modo, è difficile pensare agli stadi vuoti come a una nuova normalità: una decisione politica deve tenere conto del compromesso tra i benefici delle misure di protezione della salute e i costi della sospensione dell’industria degli sport di squadra, seguendo – come si suol dire – un principio di proporzionalità tra la rilevanza della decisione di sanità pubblica e la comprensibile aspirazione a non deprimere un insieme importante di attività economiche.
Il Comitato del Ministero ha concluso la propria nota auspicando che la riapertura possa presto essere riconsiderata “sulla base dei risultati del monitoraggio di impatto delle riaperture della scuola e della pubblica amministrazione”. Del resto, la ricerca sull’impatto delle decisioni dei governi per “allentare” progressivamente le restrizioni utili al contenimento della pandemia prosegue e sta dando i primi risultati, che confermano però la necessità di mantenere alta la guardia per evitare di ritornare in una situazione di grave sofferenza per i sistemi sanitari e, soprattutto, per i cittadini [7].
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