I dati che riguardano la Covid-19 sono in continua evoluzione. A oggi, però, la letteratura disponibile suggerisce in modo sempre più chiaro che i bambini in età scolare si ammalino meno frequentemente – e in forma più lieve – rispetto agli adulti [1]. Il numero dei contagi, delle forme gravi, dei ricoveri, degli accessi nelle terapie intensive e dei decessi, infatti, tende a crescere con l’età. Al 14 maggio, secondo il report bisettimanale dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia i bambini di età fino a 9 anni risultati positivi al test erano 1.774 (meno dell’1% del numero totale dei contagiati), con una lieve prevalenza dei maschi. Tra i bambini ammalati sono registrati solo tre decessi, con un tasso di letalità molto basso (0,2%). Nella fascia di età 10-19 anni il numero di contagi al 14 maggio era pari a 3.148, senza alcun decesso [2].
Sono numeri simili a quelli osservati nella Repubblica Popolare Cinese: uno studio pubblicato a febbraio sul Journal of American Medical Association riferiva che, su oltre 72 mila casi, i bambini di età inferiore ai dieci anni erano meno dell’1%, e non era stato registrato alcun decesso [3].
Perché i bambini si ammalano meno di Covid-19?
Le ragioni della bassa incidenza e della minore gravità dell’infezione nei bambini non sono ancora chiare. Per il momento sono state fatte delle ipotesi che però devono essere confermate da studi più approfonditi. Si pensa, per esempio, che i bambini possano avere una risposta immunitaria innata più attiva rispetto agli adulti [1]. “Inoltre il loro sistema immunitario è ancora in fase di sviluppo e potrebbe rispondere ai patogeni in maniera differente” [4]. Ancora, l’assenza di malattie concomitanti nel bambino, il non essere stati esposti a fumo di sigaretta e a inquinanti ambientali potrebbero contribuire alla bassa prevalenza della malattia [1]. Ancora, “i bambini soffrono più frequentemente di infezioni respiratorie e potrebbero avere un più alto livello di anticorpi contro i virus rispetto agli adulti” [4]. Infine, alcuni studi hanno avanzato l’ipotesi che “la porta” utilizzata dal virus per attaccare le cellule dell’apparato respiratorio (il recettore ACE2) nei bambini possa essere meno funzionante rispetto agli adulti. Soprattutto, la proteina ACE2 nei bambini è più presente nel sangue rispetto a quanto non sia negli adulti: questo ACE2 “solubile” potrebbe agire “da scudo” nei confronti del virus. [1].
Dunque, non c’è motivo per allarmarsi?
Sebbene i più piccoli abbiano, quindi, meno probabilità di sviluppare sintomi del nuovo coronavirus rispetto agli adulti, non è escluso che anche in questa fascia d’età si possa sviluppare una malattia respiratoria grave, tale da richiedere un ricovero ospedaliero.
I casi più gravi si sono verificati prevalentemente nei lattanti (0-1 anni) [5]. Nelle successive fasce di età i sintomi più comuni sono febbre, tosse, faringite, senso di debolezza e mancanza di energia (astenia) e dolore muscolare (mialgia). Nello studio di Dong et al. i sintomi più comunemente evidenziati nei bambini sono tosse (48,5%) e faringite (46,2%). Dalla stessa rassegna cinese emerge che, dei 2.143 casi pediatrici affetti da Covid-19, il 94% stava bene in salute (i cosiddetti casi asintomatici) o aveva un’infezione lieve o moderata che non rendeva necessario ossigeno o supporto ventilatorio [4]. Da ciò che emerge invece dal rapporto della massima istituzione di sanità pubblica statunitense (i Centers for Disease Control and Prevention), i bambini con Covid-19 che hanno richiesto il ricovero soffrivano di un’altra malattia preesistente. Tra i piccoli pazienti, il 50% soffriva già di patologie polmonari, in primis l’asma, una delle patologie più diffuse al mondo (in altri casi vi erano problemi cardiovascolari e condizioni di immunodepressione) [6].
Dottore, ho sentito parlare della sindrome di Kawasaki, ma cos’è?
“È una violenta risposta immunitaria dell’organismo che può colpire diversi organi e tessuti” ha scritto Elena Boille, vicedirettrice del settimanale Internazionale in un recente articolo, a conferma di quanto questo problema emergente rappresenti una preoccupazione non solo per i medici pediatri, ma anche per i cittadini e, soprattutto, per i genitori [7]. Nell’articolo di Boille si precisa che i casi registrati sia in Italia sia in altri Stati europei sono comunque casi rari, ma è bene che vengano segnalati dai medici ai servizi sanitari nazionali per capire a cosa possono essere legati [7].
Angelo Ravelli, segretario del Gruppo di studio di Reumatologia della Società Italiana di Pediatria, ha scritto una lettera a 11 mila colleghi pediatri per comunicare che “nelle ultime settimane è stato osservato, in particolar modo nelle zone del paese più colpite dall’epidemia di Sars-CoV-2, un aumento della frequenza di bambini affetti da malattia di Kawasaki” e il problema è stato segnalato anche sulla prestigiosa rivista di medicina Lancet [8]. Anche la Pediatric intensive care society britannica ha avvertito i suoi medici dell’aumento nei bambini di “uno stato infiammatorio multisistemico che richiede cure intensive” [8].
Restano dubbi: “Non è chiaro se si tratti di una vera e propria malattia di Kawasaki indotta dall’infezione virale o se le forme che si stanno osservando siano invece una manifestazione infiammatoria sistemica dell’infezione, simile ma non del tutto identica a una classica malattia di Kawasaki” precisano Andrea Taddio e Alberto Tommasini dell’IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo” in un articolo in anteprima [9]. Concludendo che, “sebbene questi bambini necessitino di un’assistenza ospedaliera più sostenuta della norma è bene sottolineare che, con le opportune terapie, l’esito è quasi sempre favorevole. Inoltre, va sottolineato che mentre tutti hanno ricevuto terapie antinfiammatorie maggiori, la maggior parte di questi bambini è guarita senza l’aggiunta di farmaci antivirali”.
Il presidente della Società italiana di pediatria – Alberto Villani – ha tenuto a precisare all’agenzia ANSA che “una cosa è ciò che può provocare il Covid-19 e un’altra è la malattia di Kawasaki”. Lo stesso professor Villani, clinico pediatra dell’ospedale Bambino Gesù IRCCS di Roma, ha spiegato all’Huffington Post: “L’origine della Kawasaki rimane ancora oggi incerta e l’ipotesi che possa essere una reazione scatenata da infezioni non è scartata, ma si tratta comunque di una malattia conosciuta dal 1967, rispondente a criteri precisi e ben noti: Sars-CoV 2, dunque, non può essere considerato in assoluto l’agente scatenante dell’infiammazione, perché è un virus nuovo tipizzato e mappato geneticamente solo lo scorso gennaio” [10]. Sembrano essere d’accordo i Centers for Disease Prevention and Control prima citati, che hanno pubblicato una scheda dedicata a questa “nuova malattia” pediatrica [11].
Tutto questo conferma la complessità delle questioni scientifiche sollevate dalla Covid-19 [12]: probabilmente, nello studio della risposta che viene dai bambini potrebbero giungere delle informazioni molto utili per comprendere meglio la malattia e trovare percorsi per la prevenzione e il trattamento.
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