Alluvioni e uragani ci sono sempre stati, ma la comunità scientifica è concorde nell’affermare che la frequenza e soprattutto l’intensità di questi fenomeni estremi sono aumentate in misura significativa in seguito alla crisi climatica in atto [1].
Ciò impone di riflettere sulle conseguenze per la salute delle enormi quantità di acqua che sempre più spesso vediamo invadere i campi o i centri abitati. Non c’è solo l’immediato bilancio in termini di traumi e vite umane causato dalla violenza della natura che travolge auto e abitazioni, abbatte alberi e pali della luce, allaga sottopassaggi e cantine. Le conseguenze per la salute di un anomalo accumulo di acqua proveniente da piogge abbondanti, crolli di dighe, esondazioni di laghi e fiumi, possono prolungarsi a medio e lungo termine, attraverso la diffusione di malattie infettive, la liberazione di sostanze tossiche, la perdita di beni materiali e immateriali che determinano [2].
Dottore, mi sta dicendo che nelle acque alluvionali si nascondono minacce per la salute?
Uno degli effetti più noti delle alluvioni è la contaminazione delle acque da parte di materiale proveniente dalla rete fognaria. Nelle aree del mondo dove queste malattie sono endemiche (Africa, Asia meridionale, Caraibi) si rischiano quindi focolai o epidemie di malattie trasmesse per via orofecale come il colera o il tifo [3]. Anche in altri Paesi come il nostro, tuttavia, altri germi possono contaminare le ferite, preesistenti o causate dai traumi legati all’evento [4].
In campagna non va trascurato il possibile effetto sulle coltivazioni. Qualche anno fa, per esempio, l’Istituto Superiore di Sanità identificò un’epidemia di epatite A causata dal consumo di frutti di bosco surgelati e consumati crudi, provenienti da un terreno dell’Est Europa contaminato da acque di scarico in seguito a un’alluvione [5].
Quando poi le acque tardano a ritirarsi, si possono sommare altre minacce infettive legate alla maggior riproduzione di insetti, in particolare le zanzare, che possono portare virus come quello della Dengue. In certe zone possono avvicinarsi più facilmente alla popolazione altri animali come i roditori, che potrebbero essere vettori di altre malattie, per esempio i ratti con la loro urina possono essere portatori di leptospirosi, pericolosa per i cani ma anche per gli esseri umani [6].
Sia in campagna sia in città, infine, nelle acque trasportate dalla furia di un evento estremo possono facilmente trovarsi anche sostanze chimiche tossiche, come la benzina o l’olio delle auto travolte, metalli pesanti, piombo, arsenico, vernici, pesticidi, diserbanti, detergenti, solo per citarne alcuni [7,8].
La loro diffusione può essere dovuta alla rottura di un deposito o di una condotta, all’interruzione della fornitura di energia elettrica che può compromettere i meccanismi di sicurezza, all’allagamento di una miniera abbandonata, spiega il documento prodotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per sensibilizzare pubblico e decisori su questi rischi. Alcune di queste sostanze possono prendere fuoco o avere un effetto corrosivo sulla pelle, l’inalazione di gas irritanti può danneggiare le vie aeree, la loro ingestione con acqua o alimenti contaminati può provocare avvelenamenti, e così via [9].
Dottore, gli effetti di un disastro naturale si protraggono nel tempo?
Uno studio uscito ai primi di ottobre 2024 su Nature ha dimostrato che le vittime di un uragano o di una tempesta tropicale non sono solo quelle decedute per annegamento o in seguito ai traumi del momento [10]. Dopo aver studiato tutti gli eventi registrati negli Stati Uniti dal 1930 al 2015, i ricercatori dell’Università di Stanford hanno dimostrato che, nei 15 anni successivi a ognuno dei 500 cicloni tropicali che hanno colpito la Costa Atlantica o del Golfo in quel periodo, si potevano contare nella zona colpita dai 7.000 agli 11.000 morti in più che se l’evento non fosse accaduto.
In totale, per gli 85 anni considerati, si parla per tutti gli Stati Uniti di un numero che va dai 3,6 ai 5,2 milioni di decessi, più del 3% della mortalità totale nazionale. Già nel 2018, d’altra parte, uno studio dell’Università di Harvard aveva osservato che l’uragano Maria a Porto Rico era stato seguito nei mesi successivi da quasi 5.000 decessi, quasi 70 volte più di quelli dichiarati dalle autorità [11]. Un altro studio ha dimostrato recentemente come l’esposizione a un uragano o a una tempesta tropicale aumenti il rischio di ricovero ospedaliero nei 16 anni successivi [12].
A questo bilancio possono contribuire condizioni innescate dai fattori citati prima (infezioni, avvelenamenti e intossicazioni, per la mortalità a breve termine; tumori e malattie da accumulo di sostanze tossiche per la mortalità nei 15 anni successivi). Ma, alla luce dell’importanza dei determinanti socioeconomici della salute, gli autori sottolineano anche altri possibili meccanismi per spiegare un effetto così prolungato nel tempo: alla distruzione di un uragano può seguire la chiusura di attività ed esercizi con conseguente disoccupazione che, insieme alla perdita delle case, può spingere le persone a sradicarsi dal contesto in cui sono cresciute, perdendo una rete familiare e sociale di appoggio; qualcuno può essere costretto a utilizzare per la ricostruzione i risparmi tenuti da parte per sopperire a eventuali spese mediche, davanti alle quali, soprattutto in un sistema privatistico come quello statunitense, poi si troverà sguarnito; più in generale, un territorio colpito da una catastrofe si ritrova più povero. Il maggiore impatto del fenomeno sulle fasce più fragili della popolazione, soprattutto quella di origine afroamericana, lo conferma.
Tutti questi studi si riferiscono a eventi che fino a pochi anni fa avremmo fatto fatica a traslare nella realtà italiana, ma quello a cui stiamo assistendo negli ultimi anni ci spinge a tenere conto di questa ricerca, seppure calibrata su situazioni di maggiore gravità ed estensione.
Dottore, ma allora che cosa si può fare?
Prima di tutto, dovremmo imparare a non sottovalutare un allarme meteo, anche quando pochi giorni o settimane prima si è tradotto in un nulla di fatto. Le previsioni non sono infallibili, ma, anche considerando la gravità delle manifestazioni climatiche cui stiamo assistendo, è sempre meglio stare sul lato della prudenza e seguire le indicazioni che vengono comunicate al pubblico, per esempio quando viene consigliato di non uscire di casa, non prendere l’auto, salire ai piani alti e così via.
Se poi si è vittima di un’alluvione, bisogna fare il possibile per non restare a lungo a contatto con l’acqua. I soccorritori e i volontari devono essere adeguatamente protetti e lavarsi bene alla fine di ogni turno, prestando particolare attenzione a disinfettare eventuali ferite o semplici graffi.
Occorre infine un impegno da parte delle istituzioni per considerare anche i danni a medio e lungo termine conseguenti a un evento di questo tipo, per evitare di abbandonare i cittadini al loro destino, ricordando che da questo dipende anche la loro salute, un bene pubblico da proteggere a vantaggio di tutti.
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