È vero, lo dimostrano le rilevazioni dell’ISTAT e dei sistemi di sorveglianza del Ministero della Salute, a partire dal dato più importante di tutti: quello della mortalità neonatale, cioè dei decessi che si verificano entro il primo mese di vita. Nelle Regioni del Nord-est sono 2,5 ogni mille nati, nel Nord-ovest 2,29, in quelle del Centro 2,2 su mille. Nelle Regioni del sud sono 2,85 ogni mille nati e nelle isole ben 3,05 su mille. Si tratta, in assoluto, di numeri molto piccoli, in linea con quelli degli altri Paesi europei, ma la differenza tra Centro-Nord e Sud Italia è evidente.
In particolare, la percentuale di nati di basso peso che muore entro il primo mese di vita nelle Regioni del Sud è maggiore di quelle del Centro-Nord. Una possibile spiegazione di questo fenomeno, secondo uno studio coordinato dall’Istituto Mario Negri di Milano, è l’esistenza di un divario tra Sud e Centro-Nord in termini di qualità dell’assistenza sanitaria dei neonati più fragili.
Dottore, ci sono altre differenze tra Sud e Centro-Nord?
Altre differenze significative tra Sud e Centro-Nord Italia riguardano i fattori di rischio e i fattori protettivi a cui i piccoli sono esposti nelle prime fasi della loro vita e, ancor prima, durante lo sviluppo prenatale.
La percentuale di donne che affrontano la gravidanza in forte sovrappeso è maggiore nelle Regioni meridionali, così come la percentuale delle future mamme affette da una qualche malattia cronica.
A tutte le donne che progettano una gravidanza è raccomandata l’assunzione di un integratore di acido folico a cominciare almeno da un mese prima del concepimento fino al terzo mese di attesa, per la prevenzione di gravi malformazioni come la spina bifida e la labio-palatoschisi. La percentuale di future mamme che assumono l’integratore correttamente è minore al Sud rispetto al Centro-Nord.
Ci sono poi le vaccinazioni raccomandate in gravidanza, per trasmettere anticorpi al nascituro e proteggerlo nelle prime settimane di vita. Anche in questo caso, al Sud la percentuale delle future mamme che si vaccinano è inferiore rispetto al Centro-Nord. Infine, riguardo la nascita e i primi giorni di vita dei bambini, al Sud è maggiore la percentuale di parti cesarei, maggiore la percentuale di neonati a cui viene somministrato latte artificiale o soluzione glucosata durante il ricovero in ospedale e minore la percentuale di bimbi che al momento delle dimissioni vengono allattati al seno in esclusiva.
Quali conseguenze hanno questi fattori sulla salute dei bambini?
Numerosi studi hanno dimostrato che l’esposizione a fattori di rischio e fattori protettivi nelle prime fasi della vita ha un impatto determinante sulla salute futura di un individuo. I ricercatori coordinati dall’Istituto Mario Negri hanno reclutato migliaia di bambini residenti nelle diverse aree geografiche del Paese, nati tra il 2019 e il 2020, e seguiranno la loro crescita fino al compimento dei sei anni per valutare quanto diversi fattori ambientali e comportamentali influiscano sul loro sviluppo e la loro salute. Per il momento hanno raccolto e pubblicato i dati relativi alle condizioni di salute dei genitori, alla gravidanza e alle prime fasi della loro esistenza, evidenziando differenze significative tra Sud e Centro-Nord Italia. Col tempo valuteranno le conseguenze di queste differenze per elaborare delle strategie utili a ridurre le disuguaglianze.
Dottore, a cosa sono dovute queste differenze tra Sud e Centro-Nord?
Le differenze evidenziate sono dovute al divario economico tra le Regioni e alle politiche sociali e sanitarie adottate a livello locale. Quelle più ricche hanno più mezzi da investire nell’organizzazione del percorso nascita, nell’assistenza sanitaria alle donne in gravidanza e al momento del parto, nell’informazione su quali siano i comportamenti a rischio e quali i comportamenti protettivi prima del concepimento e durante l’attesa. Hanno più mezzi da investire nell’assistenza ai neonati fragili e ai bambini con patologie croniche complesse. La percentuale di bimbi ammalati costretti a spostarsi in una regione diversa dalla propria per sottoporsi a cure mediche è maggiore al Sud rispetto al Centro-nord. È il cosiddetto fenomeno della migrazione ospedaliera pediatrica.
Il divario economico non riguarda solo i servizi pubblici, ma anche la popolazione. Le Regioni del Sud Italia sono quelle con la percentuale più elevata di minorenni in condizioni di povertà assoluta. Le famiglie in condizioni di disagio economico hanno problemi abitativi: case piccole e sovraffollate in cui è favorita la circolazione delle malattie infettive e in cui l’umidità e la presenza di muffe aumentano il rischio di soffrire di malattie infiammatorie delle vie respiratorie. La percentuale di minorenni che non riescono a consumare almeno un pasto proteico al giorno è dell’8,4% in Sicilia, del 5,4% in Campania e del 4,9% in Basilicata, contro lo 0,2% del Piemonte e lo 0,7% di Abruzzo e Marche.
Ancora, lo stress dovuto all’insicurezza economica contribuisce al persistere di abitudini dannose tra gli adulti, come il fumo, che ha conseguenze negative anche per la salute dei bambini. La carenza di strutture pubbliche gratuite per l’infanzia, asili e ludoteche, comporta l’isolamento sociale dei bambini delle famiglie in condizioni di disagio economico, che non possono permettersi di iscriverli a costose strutture private. L’isolamento sociale è un fattore che ha un forte impatto sulla salute fisica e psicologica. Le politiche sociali ed economiche che penalizzano la salute dei bambini si riflettono inevitabilmente sulla salute della popolazione generale e, in un circolo vizioso, sulle condizioni economiche di tutto il Paese.
“Noi tutti abbiamo giurato” ha affermato Filippo Anelli, il Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, “come professionisti, come medici, all’inizio del nostro lavoro, di considerare le persone tutte uguali, ma le differenze che ci sono in termini di sopravvivenza tra Nord e Sud, tra centro e periferia di una città, tra ricchi e poveri rendono questa nostra aspirazione difficile. Chiediamo alla politica di colmare le differenze di accesso al Servizio sanitario nazionale, di modificare gli indici che danno per privilegiati quelli che, per luogo di nascita o di residenza, hanno una possibilità di sopravvivenza maggiore rispetto a quelli che vivono in aree geografiche più disagiate e che invece hanno un’aspettativa di vita e di salute molto più bassa”.