È la prima di una serie di domande a cui risponde il sito del Ministero della Salute [1], che non ha dubbi nello spiegare che “la malattia mentale non è contagiosa. La fuga dai contatti sociali e lavorativi che consegue a tale paura peggiora la condizione delle persone con malattia mentale e porta alla stigmatizzazione dei luoghi di trattamento e dei professionisti della salute mentale. Questo allontana ancora di più la persona con sofferenza psicologica dall’inizio della cura più appropriata per la propria condizione clinica”. Abbiamo voluto riprendere in modo letterale quanto scritto dal Ministero perché soprattutto nell’ambito della salute mentale le parole sono importanti, anche considerando che termini dichiaratamente medicalizzanti hanno un impatto molto forte sulle persone, sia su chi soffre di disturbi psichici, sia sui loro familiari, sia sull’opinione pubblica. Parole scelte male o male utilizzate contribuiscono allo stigma che colpisce le persone che soffrono di disturbi psicologici e psichiatrici.
“Se una formazione culturale che affini le abilità che consentono di scegliere le parole giuste è importante per tutti” spiegava lo psichiatra Michele Tansella “essa è fondamentale per quelli per i quali le relazioni interpersonali sono sostanziali e determinanti, e per quelli per i quali le parole, quelle dette e quelle scritte, costituiscono l’essenza del loro lavoro” [2]. Psichiatri, psicologi e tutti i cosiddetti caregiver che assistono e supportano le persone con disturbi psichici sanno quanto sia importante usare le parole in modo corretto.
Proprio per combattere questi pregiudizi e promuovere la consapevolezza e la difesa della salute mentale contro lo stigma sociale il 10 ottobre di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale (World Mental Health Day), un’occasione per portare all’attenzione del pubblico un aspetto diverso relativo alla salute mentale.
Dottore, cosa vuol dire “stigma”?
Questa parola di origine greca indicava segni fatti sul corpo per evidenziare caratteristiche moralmente negative della persona. Deriva, infatti, dal sostantivo στίγμα (punteggiatura) e dal verbo στίζειν (marchiare) per indicare il marchio che nell’antica Grecia distingueva gli schiavi dagli uomini liberi. Con riferimento alla salute mentale sottintende una sorta di “etichetta” con cui si finisce col caratterizzare una persona considerandola diversa. È uno dei principali determinanti delle gravi difficoltà vissute dai pazienti psichiatrici: come leggiamo in un documento informativo del Ministero della Salute [3], “il pregiudizio che si accompagna alla malattia mentale e che deriva da paura e incomprensione, crea un circolo vizioso di alienazione e discriminazione, intesa come privazione dei diritti e dei benefici per la persona malata, la sua famiglia e l’ambiente circostante, diventando spesso la causa principale di un grave isolamento sociale, di difficoltà abitativa e lavorativa, di fenomeni di emarginazione. Le ricerche dimostrano, inoltre, che lo stigma è un’importante barriera che non solo allontana chi soffre dagli altri e da sé stesso, ma riduce anche la capacità di richiedere aiuto e supporto”.
È vero che chi soffre di una malattia mentale chiede raramente aiuto al medico?
Sì, molte persone con problemi di salute mentale scelgono di non cercare aiuto o di non mantenere i contatti con i servizi di salute mentale, a causa dello stigma e della discriminazione [3]. Esperienze di cura non positive sono un altro fattore che contribuisce ad emarginare chi soffre di problemi psichici. Il cambiamento – spiega l’Organizzazione Mondiale della Sanità – deve passare necessariamente dalla ricostruzione di una maggiore fiducia nella sicurezza e nell’efficacia delle cure. “Le politiche per la salute mentale devono mettere d’accordo una riforma strutturale dei servizi con una particolare attenzione alla qualità, garantendo l’erogazione di cure sicure, efficaci e accettabili messe in atto da professionisti e operatori competenti” [4]. Ma per contrastare lo stigma è molto importante anche il contributo che possono dare gli stessi pazienti.
Davvero chi soffre di disturbi psichici può favorire il superamento della discriminazione?
Certamente, eppure poche iniziative di sensibilizzazione dei cittadini sullo stigma in salute mentale hanno coinvolto i pazienti come costruttori del progetto. “Il fatto che una percentuale piuttosto elevata di iniziative anti-stigma non abbia ritenuto di coinvolgere gli utenti dei servizi potrebbe rappresentare il riflesso di una resistenza, ancora molto radicata nel nostro territorio, nel vedere il malato psichiatrico come un ‘esperto’ e depositario di conoscenze che potrebbero essere integrate al sapere ‘scientifico’ dei professionisti” ammette lo psichiatra Antonio Lasalvia [5]. “Numerose evidenze dimostrano come sia importante il coinvolgimento degli utenti dei servizi nelle iniziative di studio e di ricerca e come, nel resto del mondo, già da tempo si stia utilizzando tale risorsa”.
Ne potrebbero beneficiare sia il gruppo sociale al quale il progetto è indirizzato, sia gli stessi utenti dei servizi psichiatrici. “Per i primi, infatti, il contatto con persone con malattia mentale potrebbe condurre a una maggiore sensibilità nei confronti del tema e contribuire ad apportare reali cambiamenti negli atteggiamenti, favorendo così una maggior empatia e una minore distanza sociale. Per gli utenti dei servizi, dall’altro lato, questa potrebbe rappresentare un’importante opportunità per percepirsi in un ruolo diverso rispetto a quello di ‘malato mentale’, dando loro, al contempo, la possibilità di apprendere nuove abilità e competenze. La partecipazione attiva dei pazienti a iniziative dotate di finalità specifiche potrebbe inoltre promuovere un aumento della loro autostima e favorire sentimenti di autoefficacia” [5].
Il messaggio di queste campagne è dunque che la sofferenza psichica è una malattia come le altre?
In certo senso sì, e che le persone che ne sono affette sono persone come le altre [6]. Questi sono i principi che ispirano le campagne anti-stigma, campagne sulle quali ad oggi però non abbiamo grandi evidenze di efficacia: quello che servirebbe davvero è un cambiamento culturale più profondo, che mettesse in discussione “quelle paure che rendono il disturbo mentale, l’idea della follia, uno degli spettri della società occidentale assieme alla morte e ad altre catastrofi” dice ancora Lasalvia [6].
Ma è possibile superare un disturbo psichico?
Certamente. Anzi la fatidica frase “dalla malattia mentale non se ne esce” è un’altra delle false verità che il Ministero della Salute classifica come fake news [1]. C’è da dire che l’espressione “disagio psichico” raccoglie un insieme vasto e variegato di problemi di diversa natura e di differente gravità. Gli strumenti a disposizione del medico, degli psicoterapeuti e degli infermieri psichiatrici sono altrettanto diversi, ognuno più o meno adatto a essere utilizzato sulla base delle prove disponibili derivanti dalla ricerca clinica più rigorosa. È molto importante che anche in ambito psichiatrico e psicologico i trattamenti siano valutati in modo accurato: troppe volte in passato ci si è affidati a “cure” per le quali mancavano evidenze di efficacia. Ma la sofferenza psichica e la salute mentale sono ambiti particolarmente complessi: “Di qualunque tipo siano i progressi compiuti nel rafforzare le prove di efficacia nella psichiatria contemporanea” ha scritto il famoso psichiatra Anthony Clare “la sfida per gli specialisti e i servizi di salute mentale consiste nel comprendere come continuare a erogare trattamenti diversi, basati su differenti paradigmi teorici, a persone diverse tra loro” [7].
Una cosa molto importante è impegnare e sostenere i medici di medicina generale, dal momento che, in primo luogo, molte persone con una sofferenza psichica è a loro che si rivolgono. Il medico di medicina generale è generalmente in grado di riconoscere la condizione di sofferenza mentale, di valutarne natura e gravità, di suggerire eventualmente al proprio assistito il migliore percorso di approfondimento diagnostico e terapeutico di tipo specialistico. L’ambulatorio del medico di medicina generale – l’ambito delle “cure primarie” – è un vero e proprio osservatorio privilegiato della patologia presente nella popolazione [8]. È importante che la presa in carico da parte del servizio sanitario sia tempestiva: oggi, grazie all’intervento precoce e all’uso di tutti i trattamenti terapeutici a disposizione, i pazienti hanno maggiori probabilità di esito favorevole, rassicura il Ministero della Salute, “portando la persona affetta da disturbi mentali al miglior funzionamento personale e sociale possibile. Molte, infatti, vanno a scuola, lavorano, hanno famiglia, conducono una vita piena” [1].
Attenzione e intervento precoce sono ancora più importanti se a manifestare dei sintomi è un bambino o un adolescente. In questi casi è anche fondamentale che il servizio sanitario garantisca attività assistenziali in day hospital e in ambulatorio, assicurando al contempo alla famiglia un supporto sufficiente per consentirle di avere un ruolo attivo nel programma di cura e di riabilitazione [9].
Come aiutare una persona che soffre di disagio psichico?
“Ci sono molti comportamenti e atteggiamenti che si possono mettere in atto per aiutare chi ha problemi di salute mentale ad affrontare la situazione e a fare la differenza nella loro vita” sostengono gli esperti del Ministero della Salute [1]. “Purtroppo è molto diffusa la messa in atto di una distanza sociale nei confronti di persone affette da disagio mentale, è, quindi, importante cercare di stabilire un contatto con la persona fornendo comprensione e supporto senza il pregiudizio che quotidianamente affronta e che provoca mancanza di fiducia in sé stessa e vergogna” [1].
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