È utile fare il test per il Citomegalovirus in gravidanza?

5 Febbraio 2024 di Maria Cristina Valsecchi

Il Citomegalovirus è un virus molto contagioso, ma se viene contratto da un adulto o da un bambino con il sistema immunitario ben funzionante, nella maggior parte dei casi non provoca alcun danno e l’infezione decorre senza sintomi o con sintomi lievi, come febbriciattola, malessere generale e ingrossamento dei linfonodi. Spesso passa del tutto inosservata. Se invece il contagio avviene in gravidanza e l’organismo materno trasmette il virus al feto, l’infezione può interferire con il suo sviluppo neurologico, provocando danni anche gravi come sordità, microcefalia, epilessia, deficit cognitivi o motori.

L’esame del sangue per la ricerca degli anticorpi contro il Citomegalovirus è raccomandato a tutte le donne in gravidanza, prescritto in occasione della prima visita o comunque entro il primo trimestre. Serve a stabilire se la futura mamma è entrata in contatto in passato con il virus e risulta quindi immune al rischio di infezione, se non è mai entrata in contatto con il virus e quindi è suscettibile al rischio, oppure se al momento del test ha un’infezione da Citomegalovirus in corso.

Dottore, è obbligatorio sottoporsi al test?

La raccomandazione di sottoporre a screening per il Citomegalovirus tutte le donne in gravidanza è contenuta nell’ultimo aggiornamento delle Linee guida per l’assistenza alla gravidanza fisiologica pubblicato a dicembre del 2023 dall’Istituto Superiore di Sanità [1]. La precedente edizione delle linee guida, risalente al 2011, non raccomandava il test, perché all’epoca non erano disponibili farmaci per prevenire la trasmissione del virus al feto in caso di infezione materna.

Nel 2020, invece, il farmaco valaciclovir, che riduce in modo significativo il rischio di trasmissione dell’infezione al feto e riduce il rischio di danni fetali se la trasmissione è già avvenuta, è stato autorizzato alla vendita in Italia dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Dunque, se la donna risulta suscettibile al rischio di infezione è previsto che ripeta l’esame ogni 4-6 settimane fino alla 24° settimana di attesa. Nel caso in cui risulti infetta in occasione del primo test o di uno dei successivi, le viene prescritto il valaciclovir [2].

Nonostante la raccomandazione sia molto recente, già in passato molti ginecologi consigliavano alle proprie assistite di sottoporsi al test durante l’attesa, per diagnosticare tempestivamente eventuali danni arrecati al feto dall’infezione.

Dottore, l’esame è gratuito o devo pagarlo?

L’esame per il Citomegalovirus non è ancora offerto gratuitamente in gravidanza, nonostante la raccomandazione ufficiale, perché non è stato ancora incluso tra le prestazioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale elencate nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Lo sarà in occasione del prossimo aggiornamento dei LEA. Il valaciclovir, invece, è interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, come stabilito dall’AIFA.

Come si trasmette il virus e qual è l’entità del rischio di infettare il feto?

Il Citomegalovirus si trasmette attraverso tutti i fluidi corporei: saliva, sangue, urina, lacrime, sperma, secrezioni vaginali e latte materno. Inoltre, può passare attraverso la placenta e raggiungere il feto se contratto in gravidanza. In Italia si stima che il 70-80% degli adulti sia stato infettato in qualche momento della propria vita. La probabilità di contrarre l’infezione è massima per i bambini da 0 a 3 anni, diminuisce per quelli più grandi e in età adulta.

Non è disponibile un vaccino che permetta di prevenire il contagio. Per questa ragione si raccomanda alle donne suscettibili in gravidanza di limitare i contatti non necessari con bambini piccoli, non baciarli sulla bocca, lavarsi accuratamente le mani dopo aver cambiato il pannolino a un bambino e prima di preparare il cibo o di mangiare, non condividere posate, stoviglie o spazzolini con bambini piccoli, lavare gli oggetti e le superfici che sono entrati in contatto con i fluidi corporei di un bambino, come i giocattoli portati alla bocca o il piano del fasciatoio [3].

Chi in passato ha avuto l’infezione è immune dal rischio di contrarla nuovamente. Tuttavia, poiché al termine dell’infezione il virus non viene completamente eliminato dall’organismo, ma rimane nascosto in forma latente, questo può riattivarsi se per qualche ragione le difese immunitarie del soggetto si abbassano. In caso di riattivazione in gravidanza, però, il rischio per il concepito è minimo. La probabilità che una madre infetta contagi il feto è circa del 30%, la probabilità di contagio in caso di riattivazione del virus è inferiore al 2% [3].

Dottore, cosa succede se lo trasmetto al feto?

Il 10-15% dei bambini che durante la gravidanza sono stati infettati dal Citomegalovirus manifesta sintomi o conseguenze evidenti alla nascita. In una piccola percentuale può emergere in seguito, entro i primi quattro anni, un deficit uditivo che non era presente alla nascita. Il rischio di danni gravi è maggiore per i piccoli che sono stati infettati nel primo trimestre di gravidanza, diminuisce sensibilmente per chi è stato infettato nel secondo e terzo trimestre.

L’infezione contratta al momento del parto o in seguito, attraverso il latte materno, non comporta conseguenze per i piccoli che hanno un sistema immunitario ben funzionante [3].

Dottore, come si legge il risultato del test?

L’esame raccomandato in gravidanza consiste nella ricerca in un campione di sangue materno di due anticorpi specifici per il Citomegalovirus: l’immunoglobulina M (IgM) e l’immunoglobulina G (IgG). La prima viene prodotta quando l’organismo entra in contatto per la prima volta con il virus, quindi risulta positiva se l’infezione è in corso oppure è stata contratta nel corso degli ultimi 3-4 mesi. L’IgG è l’anticorpo che conserva la memoria di un’infezione passata e permette al sistema immunitario di attivare immediatamente le sue difese in caso di nuovo contatto con il virus.

Se il responso del test che si effettua in gravidanza è IgG negativa e IgM negativa, vuol dire che la futura mamma non è mai entrata in contatto con il virus in passato e non è infetta al momento. È quindi suscettibile al rischio di infezione. Se il risultato è IgG positiva e IgM negativa, vuol dire che la donna ha contratto il virus in passato, non è attualmente infetta ed è immune dal rischio di infezione. Se il risultato è IgG negativa e IgM positiva, vuol dire che è infetta da meno di una settimana, tanto che il suo organismo non ha ancora avuto tempo di produrre IgG. Infine, se è IgG positiva e IgM positiva, vuol dire che è stata contagiata nel corso degli ultimi 3-4 mesi e probabilmente ancora infetta.

Dottore, cosa devo fare se ho un’infezione in corso?

Come dicevamo, se risulta infetta entro la 24° settimana di gravidanza, può assumere il valaciclovir, che riduce del 70% il rischio di trasmissione al feto e, dopo almeno otto settimane dalla data presunta del contagio, può effettuare un’amniocentesi per diagnosticare un’eventuale infezione del concepito. Se il virus è assente nel liquido amniotico, vuol dire che il piccolo non è stato contagiato e si può sospendere la somministrazione del valaciclovir. Se il virus è presente nel liquido amniotico, vuol dire che il feto è stato infettato e la somministrazione del valaciclovir deve proseguire fino al termine della gravidanza, per ridurre il rischio di conseguenze sul suo sviluppo.

Queste decisioni, in ogni caso, devono essere valutate e prese con il proprio medico curante e non di propria iniziativa.

Argomenti correlati:

Gravidanza

Autore Maria Cristina Valsecchi

Maria Cristina Valsecchi lavora come giornalista scientifica freelance per diverse testate, occupandosi principalmente di salute riproduttiva e salute materno-infantile. Con la collega Valentina Murelli ha creato il sito web indipendente di informazione sulla salute della donna “Eva - Sapere è potere” (https://evasaperepotere.wordpress.com/).
Tutti gli articoli di Maria Cristina Valsecchi