La torcia olimpica sta per arrivare in Giappone, in tempo per l’apertura dei Giochi prevista per il 23 luglio. Non mancano, però, le difficoltà organizzative a causa di Covid-19. Infatti, nonostante la situazione globale sia migliorata rispetto a un anno fa, quando le Olimpiadi sono state rinviate per la prima volta, il Giappone ha prorogato lo stato di emergenza fino al 19 giugno. A questo proposito sul New England Journal of Medicine – una celebre rivista di medicina statunitense – è stato recentemente pubblicato un articolo che mette in guardia sui possibili rischi di svolgere le Olimpiadi durante una pandemia. In particolare, spiegano perché alcuni protocolli attualmente adottati per i Giochi non siano secondo loro sufficienti per ridurre al minimo i rischi di contagio [1].
Dottore, è mai successo che le Olimpiadi venissero cancellate?
Nella storia delle Olimpiadi ci sono tre precedenti simili: le edizioni di Berlino del 1916, di Tokyo del 1940 e di Londra del 1944, tutte rinviate a causa delle due guerre mondiali. Questa volta le Olimpiadi del 2020 sembrerebbe che si riescano a recuperare già quest’anno, mentre nei casi precedenti le manifestazioni non furono “recuperate”, ma alla città di Tokyo fu assegnata l’edizione del 1964. Nel 2016, invece, circa 150 esperti di sanità pubblica avevano firmato una petizione per annullare le Olimpiadi di Rio de Janeiro a causa dell’epidemia di Zika in Brasile. In quel caso si espose l’Organizzazione Mondiale della Sanità, affermando che i giochi non avrebbero contribuito alla diffusione internazionale del virus [2].
Dottore, quali precauzioni si prenderanno?
Il Giappone e il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) hanno promesso giochi “sicuri e protetti”, grazie all’adozione di protocolli sanitari rigorosi [2]. Nonostante i cittadini stranieri non siano ammessi a partecipare come spettatori, l’evento dovrebbe attirare circa 15.000 atleti insieme a migliaia di allenatori, membri dello staff e operatori dei media.
Tutte le norme per ridurre i rischi di Covid-19 sono contenute nei Playbook, guide ufficiali del CIO simili a dei libretti di istruzioni. Innanzitutto, chiunque si rechi ai Giochi è tenuto a sottoporsi a un tampone entro due giorni dalla partenza. Gli atleti saranno poi sottoposti a test giornalieri e verrà chiesto loro di scaricare una app per il tracciamento dei contatti. Si sottolinea anche l’importanza del distanziamento fisico, l’uso della mascherina e l’igiene, e si ricorda agli atleti di non utilizzare i mezzi pubblici [2,3].
Gli autori del già citato articolo uscito sul NEJM sottolineano, però, come nei Playbook non si preveda di delineare una scala del livello del rischio per le diverse attività sportive, con conseguenti misure protettive e preventive diverse. Le gare all’aperto e in cui gli atleti sono a distanza, infatti, risultano essere a basso rischio, mentre i giochi di squadra al chiuso sono associati a una maggiore probabilità di contatto e di successivo contagio [1].
Si parla anche dei vaccini nei Playbook?
Nei Playbook si incoraggiano, ma non si obbligano, atleti e personale alla vaccinazione. La questione, però, è molto delicata perché l’accesso a questa fondamentale misura di prevenzione potrebbe variare negli atleti a seconda della disponibilità di vaccini Paese di provenienza. Ad esempio, il Comitato Olimpico e Paraolimpico degli Stati Uniti sta incoraggiando tutti i propri atleti a farsi vaccinare e Paesi come la Lituania, l’Ungheria, la Serbia, Israele, il Messico e la Russia hanno già annunciato il massimo impegno per consentire ai loro atleti l’accesso prioritario o volontario al vaccino. Altri Paesi, però, come il Canada, la Germania e la Gran Bretagna hanno annunciato che i vaccini verranno somministrati prima alle popolazioni più vulnerabili [3]. In Italia saranno l’Istituto Spallanzani di Roma e il Palazzo delle Scintille di Milano i due hub dove saranno vaccinati le atlete e gli atleti in vista dei Giochi Olimpici [4].
Dottore, cosa ne pensano gli atleti che parteciperanno alle Olimpiadi?
La World Players Association – il comitato principale degli atleti dello sport di tutto il mondo – ha sottolineato una serie di aspetti da non sottovalutare. Ad esempio, gli atleti sono preoccupati di dover condividere stanze piccole e poco ventilate e hanno chiesto una revisione dei sistemi di ventilazione. Altri problemi che hanno identificato gli atleti – solo per citarne alcuni – sono la mancanza di dettagliate misure di distanziamento fisico da seguire all’interno degli spogliatoi, la mancanza di differenziazione tra le norme da adottare negli sport di squadra e negli sport individuali, l’assenza di indicazioni su come comportarsi in caso di contagi tra gli atleti [3].
Consideriamo, però, l’importante componente emotiva. Per molti atleti olimpici e paraolimpici, infatti, i Giochi di Tokyo potrebbero essere l’ultima possibilità di gareggiare a questo livello. Insomma, questione complessa che lascia spazio sia a considerazioni ispirate a prudenza, sia al coraggio: “Sono un atleta e ovviamente il mio pensiero immediato è che voglio partecipare alle Olimpiadi”, ha affermato Kei Nishikori, tennista giapponese. “Ma come essere umano mi rendo conto che siamo nel mezzo di una pandemia e se le persone non si sentono al sicuro è sicuramente un grande motivo di preoccupazione” [2].
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