Scrivere al computer fa male alla mente?

3 Novembre 2023 di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

È una domanda ricorrente e chissà se non sia tornata a farsela chi ha già visitato la mostra alle Scuderie del Quirinale dedicata a Italo Calvino, il grande scrittore di cui si celebra quest’anno il centenario dalla nascita. “Scrivo a mano, e faccio moltissime correzioni” confessava. “Direi che le parti cancellate sono più di quelle scritte. Quando parlo devo cercare le parole, e ho la stessa difficoltà quando scrivo. Poi faccio parecchie aggiunte, interpolazioni, che scrivo in caratteri molto piccoli. A un certo punto non riesco più a leggere la mia stessa scrittura, e allora uso una lente di ingrandimento per capire cosa ho scritto” [1].

Ho l’impressione che in alcune scuole il metodo di insegnamento della scrittura sia diverso da quello di un tempo: le bambine e i bambini di oggi sapranno ancora scrivere a mano?

I metodi di insegnamento si aggiornano in base a tanti fattori. È vero, però, che in alcune realtà sono state fatte scelte radicali. A partire dall’autunno 2016, gli studenti finlandesi hanno smesso di studiare a scuola la scrittura corsiva o la calligrafia: l’abilità di scrivere al computer è più rilevante secondo le autorità della nazione scandinava [2]. In molti sono rimasti perplessi di fronte a decisioni del genere.

Ho dei dubbi su queste scelte: davvero scrivere a mano in modo chiaro è del tutto inutile?

In effetti, c’è chi ha parlato del declino della scrittura a mano come se fosse la prova del declino della civiltà. “Ma se l’obiettivo dell’istruzione pubblica è preparare gli studenti a diventare adulti di successo e destinati a trovare lavoro, la capacità di digitare è indiscutibilmente più utile della scrittura a mano” ha scritto Anne Trubek sul New York Times [3]. “Ci sono pochi casi in cui la scrittura a mano è una necessità, e ce ne saranno ancora meno quando i bambini di oggi si diplomeranno in seconda elementare” prevede Trubek, una giornalista e letterata molto nota, autrice anche di un bel libro sulla storia e sul futuro incerto della scrittura manuale [4].

Sarà. Ma mi sembra di aver letto anche pareri diversi…

Certamente. Secondo alcuni ricercatori scrivere a mano – rispetto ad altri tipi di scrittura – aiuta ad apprendere lettere e parole. Questo anche perché la ricerca nell’ambito delle scienze cognitive spiega che gli aspetti motori e sensoriali del nostro comportamento hanno conseguenze che si estendono più in là di quanto possiamo, a prima vista, sospettare.

Uno studio pubblicato nel 2021 ha messo a confronto il ricordo a breve e medio termine di parole apprese digitando o scrivendo a mano [5]. “La scrittura a macchina è più faticosa di quella a mano – spiegano gli autori – e quindi potrebbe lasciare meno risorse mentali da dedicare alla memorizzazione delle parole, il che si tradurrebbe in un migliore richiamo della scrittura a mano rispetto a quella a macchina. Nel complesso, la scrittura a mano ha portato a un ricordo [dei diversi termini] migliore rispetto alla digitazione, in particolare con gli elenchi di parole più lunghi”.

Questo elemento potrebbe avere effetti anche nelle persone che studiano per un esame?

Sì, e gli autori discutono anche questo aspetto. Negli studenti universitari, essendo la digitazione più faticosa della scrittura a mano potrebbe avere un impatto negativo sulle prestazioni. Il ricordo del contenuto era migliore quando le parole erano state apprese prendendo appunti con carta e penna.

Di studi di questo tipo ne sono stati fatti altri?

La letteratura su questo argomento è abbastanza ricca, anche se spesso la qualità dei metodi di ricerca lascia a desiderare: per esempio, gli studi sono quasi sempre svolti su piccoli campioni di persone.

Un altro studio che ha voluto esplorare gli effetti della modalità di scrittura sul ricordo e il riconoscimento delle parole ha confrontato tre modalità di scrittura: scrittura a mano con penna su carta, scrittura a macchina su una tastiera convenzionale di un computer portatile e scrittura a macchina su una tastiera touch di un iPad [6]. Trentasei donne di età compresa tra 19 e 54 anni sono state istruite a scrivere parole (una lista diversa per ciascuna modalità di scrittura) lette ad alta voce, nelle tre modalità di scrittura. Successivamente, le partecipanti ricordavano in modo significativamente migliore le parole scritte a mano, rispetto a entrambe le condizioni di scrittura con tastiera.

Questo dato mi consola: e poi, vuoi mettere il profumo della carta?

Beh, l’influenza del profumo della carta non sembra sia stata ancora studiata, ma il tipo di supporto dove scriviamo sì. La differenza principale tra la scrittura su carta e quella al computer non soltanto risiederebbe nell’esecuzione motoria del testo (scrittura a mano contro digitazione) ma anche nel materiale su cui l’attenzione di chi scrive si concentra: carta e penna contro schermo e tastiera/mouse [7]. “La scrittura cartacea si basa sulla scrittura a mano, che richiede l’esecuzione grafo-motoria di ogni lettera/simbolo, tratto per tratto” spiegano gli autori di queta ricerca. “Durante questo processo, anche l’attenzione visiva è profondamente coinvolta e l’attenzione si concentra sulla superficie di scrittura (cioè la carta). Ciò rende la scrittura a mano un’attività lenta e laboriosa, che richiede una profonda integrazione delle risorse cognitive e attenzionali con le abilità motorie e percettive”.

Quando scrivo a mano mi sembra di creare qualcosa…

È una sensazione che hanno in molti: con il nostro movimento costruiamo ogni lettera così che chi scrive può arrivare a sperimentare un senso di proprietà nei confronti dell’oggetto che sta costruendo col proprio impegno. Il modo di “mettere in pagina” le nostre parole e la natura tattile e tangibile della pagina cartacea aiutano a costruire una mappa cognitiva chiara ed efficiente del testo scritto.

Alla fine, però, non dipenderà anche da quanto siamo bravi nel digitare al computer?

Sì, e possiamo dirlo dal momento che è stato studiato anche questo aspetto. Il tipo di carico cognitivo esercitato da una specifica modalità di scrittura dipenderebbe essenzialmente dalle caratteristiche del discente [7].

Come spiega lo studio di Olena Vasylets e Javier Marin dell’università di Barcellona, “per gli scrittori che non sono dattilografi esperti (per esempio, i giovani studenti), l’esecuzione di un compito di scrittura al computer potrebbe comportare una dispersione di risorse”, in quanto l’impegno cognitivo necessario potrebbe essere condizionato da altri processi mentali collegati alla mera esecuzione del lavoro di battitura. “Al contrario, i dattilografi esperti, capaci di un processo di esecuzione automatizzato nell’ambiente digitale, sarebbero in grado di dirigere le loro risorse cognitive principalmente verso processi cognitivi più complessi, finalizzati alla pianificazione e alla revisione dei contenuti” [7].

Per quanto riguarda la scrittura su carta, la maggiore lentezza e l’esperienza tattile possono spiegare un’elaborazione più profonda durante l’esecuzione, con il concomitante investimento delle risorse cognitive nel processo di riflessione e di apprendimento e scrittura. Per farla breve, le differenze individuali potrebbero determinare il tipo e il livello dell’impegno cognitivo richiesto dalla specifica modalità di scrittura durante l’esecuzione del compito.

Riepilogando: se scriviamo a mano il risultato è migliore?

Ferma restando l’importanza delle caratteristiche individuali, in alcuni studi è stato notato un miglioramento nella composizione scritta complessiva (qualità, lunghezza e fluidità del testo) nel caso di esercizi di scrittura a mano. Analogamente, uno studio ha dimostrato che gli studenti pianificano i loro testi con maggiore attenzione quando usano carta e penna rispetto a quando usano la tastiera [8].

Però, sia i progressi costanti nella tecnologia, sia i cambiamenti culturali che stanno facendo crescere bambini e bambine in parte diversi da un tempo disegnano una realtà in trasformazione. Per esempio, i word processor consentono una facile revisione dei testi anche grazie ai correttori ortografici e già oggi al riconoscimento vocale dei testi che possono essere trasferiti sulla pagina. Sono vantaggi che potrebbero venire incontro anche alle difficoltà che incontrano gli scrittori e i lettori più deboli [9].

Insomma i cambiamenti nell’era digitale possono avere anche aspetti positivi?

Sì, anche i bambini che iniziano a scrivere potrebbero diventare scrittori migliori e l’apprendimento della scrittura a mano – occupando meno spazio nella loro istruzione – potrebbe lasciare spazio ad altre attività formative. “Le tastiere sono una fortuna per gli studenti con difficoltà di apprendimento e nella cosiddetta motricità fine, nonché per gli studenti che – avendo una pessima scrittura a mano – finiscono per essere valutati meno di quelli che scrivono in modo ordinato, indipendentemente dalla qualità del contenuto del loro lavoro.”

È un aspetto noto come “effetto scrittura”, studiato da Steve Graham dell’Arizona State University: “Quando agli insegnanti viene chiesto di valutare più versioni dello stesso elaborato che differiscono solo per la leggibilità, alle versioni scritte in modo ordinato vengono assegnati voti più alti per la qualità complessiva della scrittura rispetto alle versioni con una calligrafia più scadente” [10]. In definitiva, scrivere al computer consente a tutti di partire dallo stesso livello.

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Autore Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Luca De Fiore è stato presidente della Associazione Alessandro Liberati – Network italiano Cochrane, rete internazionale di ricercatori che lavora alla produzione di revisioni sistematiche e di sintesi della letteratura scientifica, utili per prendere decisioni cliniche e di politica sanitaria (www.associali.it). È direttore del Pensiero Scientifico Editore. Dirige la rivista mensile Recenti progressi in medicina, indicizzata su Medline, Scopus, Embase, e svolge attività di revisore per il BMJ sui temi di suo maggiore interesse: conflitti di interesse, frode e cattiva condotta nel campo della comunicazione scientifica. Non ha incarichi di consulenza né di collaborazione – né retribuita né a titolo volontario – con industrie farmaceutiche o alimentari, di dispositivi medici, produttrici di vaccini, compagnie assicurative o istituti bancari.
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