Il 30 maggio ricorre la Giornata Mondiale della Sclerosi Multipla, un’occasione per condividere conoscenze e sensibilizzare su una malattia neurologica cronica che interessa, solo in Italia, 140mila persone.
Sono ancora molti gli aspetti della sclerosi multipla che attendono risposte dalla ricerca scientifica; tra questi l’efficacia della vitamina D nel ridurre il rischio di ammalarsi. Esiste davvero una correlazione tra la carenza di questa vitamina e l’insorgenza della sclerosi multipla? Assumere un integratore è utile per la prevenzione?
Dottore, che legame c’è tra la vitamina D e la sclerosi multipla?
La vitamina D è una vitamina che si assume con l’alimentazione o che il nostro organismo sintetizza attraverso l’esposizione della cute al sole. Poiché l’alimentazione da sola non garantisce livelli essenziali di vitamina D e l’esposizione al sole deve essere adeguata per i rischi legati ai raggi UVB, in alcuni casi è necessario ricorrere agli integratori.
Questa vitamina si occupa principalmente di regolare come il nostro corpo gestisce il calcio e il fosforo, due elementi fondamentali per rafforzare le ossa e i denti e per mantenerli in salute. Tuttavia, influisce anche sulla funzione muscolare, sul rinnovamento dei tessuti e a sostegno del sistema immunitario [1].
La sclerosi multipla è una malattia autoimmune. Poiché la vitamina D ha una notevole azione sul sistema immunitario, da tempo si indaga sui potenziali benefici contro la malattia. In breve, la vitamina D è capace di attivare e far sviluppare linfociti (un tipo di globuli bianchi specializzati nella produzione di anticorpi) e altre cellule con funzioni simili [2].
Molti studi hanno evidenziato una correlazione tra bassi livelli di vitamina D nel sangue e un maggiore rischio di sviluppare la sclerosi multipla. Tuttavia, questa osservazione da sola non prova un rapporto di causa-effetto [3].
La carenza di vitamina D, allora, non causa la sclerosi multipla?
Intanto occorre chiarire che le cause della sclerosi multipla non sono ancora del tutto note. Essendo una patologia multifattoriale bisogna considerare più elementi alla sua origine: predisposizione genetica, fattori ambientali come l’esposizione a certi elementi (per esempio il fumo), e anche alcune infezioni da virus e batteri, come abbiamo spiegato in questa scheda.
La sclerosi multipla non è considerata una malattia genetica in senso stretto, poiché non esiste un singolo gene responsabile. Tuttavia, alcune varianti genetiche possono aumentare il rischio, specialmente se associate a fattori ambientali come bassi livelli di vitamina D [1].
Secondo gli studi epidemiologici che hanno osservato la diffusione della malattia in diverse popolazioni, la carenza di vitamina D può essere considerata uno dei fattori di rischio associati alla sclerosi multipla, ma non la causa diretta [4].
Come è stato ipotizzato il ruolo di questa vitamina nello sviluppo della sclerosi multipla?
Si è notato che la malattia era più diffusa nelle regioni geografiche nordiche, dove l’intensità della luce solare è minore. In alcune popolazioni del Nord Europa, caratterizzate da una dieta ricca di pesce grasso (ricco di vitamina D), invece, la prevalenza della sclerosi multipla risultava più bassa, nonostante la minore esposizione al sole. Queste osservazioni hanno dato il via a numerosi studi, tuttora in corso [2,3].
Allora, integrare la vitamina D aiuta a prevenire la malattia o a migliorare i sintomi?
Al momento non esiste una risposta definitiva a questa domanda: non c’è ancora un consenso unanime riguardo alla somministrazione di vitamina D a scopo preventivo contro la malattia. Diversi piccoli studi suggeriscono che possa avere un effetto positivo sui primi sintomi neurologici, ma siamo ancora lontani da prove cliniche solide e definitive [4]. Per questo motivo, la ricerca sta anche cercando di capire qual è la quantità migliore di vitamina D da usare, a seconda di come si presenta la sclerosi multipla e in quale fase si trova. [3,4].
L’assunzione di vitamina D è generalmente ben tollerata e considerata sicura; per questo motivo viene spesso raccomandata nelle fasi iniziali della malattia. È però importante che sia un medico a prescrivere e monitorare il trattamento [1].
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