Domanda insidiosa, alla quale è difficile dare una risposta in poche parole. Come iniziare? Forse da quello che disse un ministro, che “con la cultura non si mangia…”. Possiamo addirittura pensare faccia male alla salute? Intanto conviene precisare una cosa: il ministro era Giulio Tremonti, ma la frase era un po’ diversa, sicuramente meno offensiva nei confronti di un Paese come l’Italia, che ha nel proprio patrimonio culturale il bene più prezioso.
“L’espressione ‘con la cultura non si mangia’ è attribuita a Giulio Tremonti, allora ministro dell’Economia” ha puntualizzato Paola Dubini su Doppiozero. “Lui stesso nega di averla mai detta; la frase corretta, pronunciata in privato e destinata all’allora ministro Sandro Bondi che si lamentava per i tagli alla cultura, sarebbe: ‘In tutta Europa, anche a Parigi e Berlino, stanno tagliando i fondi alla cultura. È molto triste, una cosa terribile, lo capisco. Ma vorrei informare Bondi che c’è la crisi, non so se gliel’hanno detto: non è che la gente la cultura se la mangi’” [1].
Tutto l’animato dibattito seguito alla frase più o meno correttamente trascritta del ministro ha chiarito che con la cultura una nazione può anche prosperare e, quindi, dare dei benefici alla cittadinanza [2]. Non solo: esistono studi che mettono in evidenza come l’esposizione a stimoli culturali sia una componente fondamentale della crescita della personalità. La “povertà” può non essere solo economica e come nuoce alla salute la deprivazione finanziaria, anche quella culturale può avere conseguenze inaspettate.
Da dove nasce questa preoccupazione?
“Applicare il concetto di disuguaglianza solo per indicare differenze di reddito è riduttivo se vogliamo analizzare il rapporto tra la disuguaglianza e la salute mentale” spiega Alberto Siracusano, professore di Psichiatria all’università di Roma Tor Vergata.
“Oltre ai concetti di povertà economica, assoluta o relativa, è necessario considerare la presenza di nuove forme di povertà, come, ad esempio, la “povertà vitale”. Con questa espressione intendiamo uno stato di privazione vissuto dalla persona in cui la mancanza non riguarda solo gli aspetti quantitativi, cioè quelli materiali ed economici, ma ha a che fare soprattutto con una deprivazione di tipo qualitativo, in cui è la dimensione relazionale, affettiva, valoriale, spirituale a essere non sufficiente.”
Spesso, però, le persone meno abbienti sono anche quelle meno sollecitate da un punto di vista culturale: come possiamo distinguere le diverse cause di “povertà”?
Certamente il disagio economico è legato a quello culturale, al punto che le conseguenze negative dell’uno sono difficilmente distinguibili da quelle dell’altro. “È indiscutibile che la disparità economica pesi sulle altre forme di disuguaglianza” spiega Siracusano.
“Nei contesti sociali caratterizzati da notevoli disparità economiche vi è un maggior rischio di disuguaglianze culturali. L’accesso all’istruzione è un diritto che dovrebbe essere riconosciuto universalmente, tuttavia tanto nei Paesi a basso reddito quanto in quelli più evoluti economicamente è possibile riscontrare, nei livelli di istruzione, rilevanti differenze legate alle disparità economiche.”
Un numero speciale della rivista Nature [3] ha riassunto in questi termini la problematica della disuguaglianza culturale: spesso nel mondo la povertà e i contesti sociali costituiscono delle importanti barriere per accedere alle carriere scientifiche.
È un problema che riguarda solo gli adulti?
In realtà i problemi nascono proprio in età evolutiva: “Le interazioni tra l’individuo e il contesto modellano lo sviluppo in una continua interazione tra i fattori ambientali, i fattori biologici e le attività che consentono a ciascun individuo di interagire con quello che gli sta intorno.
Le esperienze negative, ma anche le esperienze che vedono un accudimento del bambino, sono descritte come i fattori principali in questo processo e quindi danno una forte motivazione per un intervento precoce. È fondamentale garantire che tutti i bambini vivano relazioni sicure, stabili e arricchenti, ed è una necessità che sollecita a concentrarsi quasi di più sul benessere dei bambini che sulle singole patologie che possono colpirli [4].”
Oltre ai bambini, chi è più colpito da condizioni di povertà non solo di tipo economico?
Abbiamo dati particolarmente drammatici riguardo a uno dei temi attualmente più discussi tanto a livello sociale che a livello della ricerca medica: la differenza di genere (in altre parole, la differenza tra maschi e femmine). Nonostante dal 2011 al 2014 la situazione sia leggermente migliorata e le retribuzioni di uomini e donne siano meno diverse, si è ancora ben lontani dal raggiungere una parità. Quindi, parlando in generale, le donne hanno meno possibilità di fruire di consumi culturali.
Altre considerazioni possono essere fatte a livello geografico, pensando a cosa significa vivere in una grande città o, al contrario, vivere in una comunità più ristretta, che non prevede la presenza di biblioteche, cinema, librerie e così via. “Le disuguaglianze di salute che oggi esistono tra Nord e Sud, tra Regione e Regione, tra Asl e Asl” ha dichiarato di recente Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) “sono lapalissiane ma anche scientificamente provate. Per queste ragioni noi medici e tutti gli altri professionisti sanitari condividiamo la preoccupazione sulle proposte politiche che vedono un aumento dei livelli di autonomia delle Regioni in tema di sanità. Ciò che rischia di accadere è di fatto una redistribuzione sul territorio delle risorse destinate alla Sanità, proprio in Regioni in cui il Sistema sanitario è più ricco ed efficiente, con inevitabile impoverimento di quelle Regioni, soprattutto nel sud del Paese, dove già si rileva un sistema in grave crisi. Le maggiori autonomie in ambito sanitario rischiano di creare insomma cittadini sempre più poveri e cittadini cui viene negato il diritto alla salute.”
Quindi, le “differenze” fanno male alla salute?
“Le differenze assolutamente no, le disuguaglianze sì” risponde Alberto Siracusano, co-autore insieme a Michele Ribolsi anche del libro La povertà vitale. “Mentre il conflitto provocato dalla differenza può essere fonte di arricchimento e di avanzamento, il conflitto che nasce dalla disuguaglianza può generare disagio fino al punto di innescare una psicopatologia e incidere sulla salute mentale. Se si genera un conflitto discriminante tra il sano e il folle, il povero e il ricco, il vecchio e il giovane, il maschio e la femmina, il bianco e il nero, il nord e il sud, si creano le condizioni per un impoverimento del benessere sociale e individuale. La povertà vitale si inserisce in tutto ciò proprio perché costituisce un fattore determinante nel provocare possibili conflittualità legate all’impoverimento delle capacita empatiche di capire l’altro.”
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